In Egitto ragazzi dall'età compresa tra 14 e 10 anni partono da soli per raggiungere fantomatici parenti a Roma, Torino, Milano


In Italia sono arrivati lo scorso anno 560 minori “non accompagnati” dall’Egitto. Questi arrivi sono avvenuti via mare, ma entro la fine del 2012 potrebbero essere molti di più.
UNICI EMIGRATI - A sostenere questa tesi è Save The Children, l’organizzazione che si occupa della protezione dei bambini costretti in situazioni di rischio e condizioni di vita difficili, la quale stima un aumento degli arrivi per quest’anno in quanto l’Egitto è l’unico Paese in cui la gente continua a partire in maniera costante, mentre invece il flusso sembra essersi interrotto dagli altri Paesi del Nord Africa.

SENZA TUTELA - Questi ragazzi hanno un’età compresa tra 14 e 19 anni e rischiano la vita per un lungo e tortuoso tragitto via mare su piccole imbarcazioni e in condizioni disumane per cercare un lavoro. Di per sé questi numeri non fanno una grande impressione, in special modo se paragonati ai numeri complessivi dei migranti che arrivano ormai da anni sulle coste italiane da vari paesi africani. A stupire è il fatto che nonostante i vari trattati internazionali che dovrebbero tutelare l’infanzia, si assiste ad arrivi in solitaria senza alcun rispetto per il diritto allo studio, al gioco, alla famiglia, allo sviluppo della personalità.


UNA DURA REALTA’ - “Qui non c’è nulla, mentre lì c’è lavoro”. “Non c’è lavoro qui, non c’è nulla”. A parlare così sono due ragazzi di 12 e 13 anni, rispettivamente Sami e Sherif, intervistati a Khamara e ad Abu Qir, due località costiere nei pressi di Alessandria, dalle quali partono i barchini che attraversano il Mediterraneo con 100 e più persone a bordo, alcune delle quali poi non arrivano a destinazione. Questo ad esempio è stato il destino di un ragazzo di 17 anni di Gharbya, località del Delta, gettato a mare dal suo “traghettatore” e morto annegato in quanto, pur non sapendo nuotare, ha cercato in ogni modo di raggiungere le coste della Sicilia.
VERSO ROMA, TORINO, MILANO - “Anche se approdano in Sicilia, Calabria e Puglia, la maggior parte di questi bambini cercano poi di raggiungere tre grandi città italiane: Roma, Torino e Milano, nelle quali famiglie dei loro paesi egiziani di origine – rispettivamente Gharbya, Qalyubeya e Assiut – vivono da anni. Da queste sperano di ricevere assistenza per vivere meglio e trovare un lavoro”, racconta Carlotta Bellini, coordinatrice della ricerca in Italia.
TRISTE FUTURO - Peccato però che questi “zii” non garantiscono loro alcuna protezione. Anzi, spesso questi ragazzi vengono ridotti in schiavitù, vengono violentati o costretti alla prostituzione. Se invece arriva il “successo”, vuol dire che al termine della traversata ci si trova impiegati ai mercati generali, nelle pizzerie o in campagna a raccogliere frutta e ortaggi. Una non vita forse, ma sempre meglio del nulla.
Ansa
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