Bambini romeni, oltre 5 mila rischiano disturbi psicologici al rientro in patria


Oltre 5 mila bambini migranti di ritorno in Romania dimostrano un rischio significativo di sviluppare specifici disturbi emotivi e psicologici. Un numero che è destinato a crescere di circa mille unità l’anno. Il 72,05 per cento dei bambini, dopo aver trascorso quasi più di tre anni all’estero senza interagire con l’ambiente socio-culturale di origine, indica tra le cause di mancato adattamento, le nuove abitudini acquisite e l’aver dimenticato lo stile di vita romeno.
E’ quanto emerge dalla ricerca presentata oggi a Bruxelles “Children’s Rights in Action. Improving children’s rights in migration across Europe. The Romanian case” all’interno del programma “Fundamental Rights and Citizenship”, progetto finanziato dalla Direzione Generale di Giustizia della Commissione Europea, alla presenza tra gli altri di Gianni Pittella Vice-Presidente Parlamento Europeo, Ivano Abbruzzi Direttore Ricerca e Progetti Fondazione Albero della Vita Onlus e Margaret Tuite Dipartimento di Giustizia Commissione Europea. La ricerca ha l’obiettivo di promuovere una maggiore consapevolezza sui diritti dei minori nei processi di migrazione per sviluppare buone pratiche e linee guida comuni affrontando temi quali la migrazione romena, i diritti dei bambini, il ruolo del sistema scolastico nel processo di integrazione e il ritorno dei migranti in Romania come un nuovo fenomeno europeo.

Sebbene l’Italia sia tra le meta preferite da due terzi dei migranti romeni, la ricerca rivela che il nostro è ancora un paese problematico per l’integrazione: 6 famiglie romene su 10 dichiarano di aver incontrato numerosi ostacoli legali e burocratici. Dalla ricerca realizzata su un campione di 242 famiglie romene residenti a Roma, Milano e Torino viene fuori che la maggior parte dei bambini romeni residenti in Italia teme di dichiarare la sua nazionalità e la nasconde a causa delle discriminazioni legate alla confusione tra nazionalità romena e Rom. In questo senso, diventa centrale nella stigmatizzazione della nazionalità il ruolo dei media. In Spagna, attraverso una decisa azione politica “anti stereotipo” è stato possibile abbattere e demistificare i pregiudizi generati dalla popolazione nei confronti dei migranti. In Italia solo il 75,2% dei figli degli intervistati beneficia delle cure pediatriche, contro l’84,5% della Spagna.
Nella classifica delle città più difficili spicca Roma: quasi 4 famiglie su dieci, il 37,5% del campione, dichiarano di avere avuto difficoltà nell’integrazione (nel Lazio si concentrano quasi 200 mila romeni, per un totale di un milione di persone residenti in Italia. Fonte Istat). Al secondo posto Milano (complessa per il 25% degli intervistati). Bene Torino (solo il 12% dice di aver avuto problemi). Nell’ambito scolastico, va evidenziato che se da un lato il 93,5% dei bambini è regolarmente iscritto a scuola, il 10,7% è stato bocciato alla scuola primaria. Il 12,3% dei maschi e il 10% delle femmine hanno perso uno o più anni scolastici per colpa del fenomeno migratorio. Il gruppo più a rischio è quello tra i 11 e 13 anni: 2 bambini su 10 vengono bocciati.
A causa della crisi economica che sta colpendo alcuni dei Paesi di destinazione più comuni per le migrazioni dei romeni (Spagna e Italia), molte famiglie hanno deciso di tornare ai loro paesi di origine. Un processo che coinvolge anche i bambini che devono reinserirsi nel loro paese di provenienza dopo un lungo periodo trascorso all’estero. A fronte di ciò, la Fondazione l’Albero della Vita, dall’analisi dei risultati della ricerca, chiede alle autorità europee di agire e mettere in atto misure in grado di difendere i diritti dei bambini migranti ponendo alcuni obiettivi chiave. Monitorare e valutare il modo in cui i media affrontano il tema delle migrazioni affinché la comunicazione si liberi da ogni tipo di stereotipo, garantire la valutazione delle politiche europee di inclusione e verificare l’efficacia sul raggiungimento dei risultati. Infine, promuovere l’educazione interculturale all’interno delle scuole aumentando, da un lato, i programmi dedicati ai bambini migranti volti all’apprendimento della lingua e della cultura del Paese ospitante e, dall’altro, offrendo corsi di formazione per gli insegnanti, educatori, assistenti sociali e funzionari della giustizia a contatto con gli immigrati per una migliore conoscenza del multiculturalismo.
“Questo studio dimostra che sia l’integrazione nel Paese di destinazione che il processo di reinserimento in quello di origine sono processi complessi che vanno adeguatamente sostenuti da interventi politici efficaci – commenta Ivano Abbruzzi, Direttore Ufficio Progetti e Ricerche della Fondazione l’Albero della Vita. In Italia ad esempio, i dati dimostrano che è necessario rafforzare le politiche sociali destinate all’accoglienza dei bambini migranti e, a questo riguardo, per sviluppare buone pratiche di intervento in difesa dei loro diritti, diventa fondamentale creare una sinergia con le scuole”, conclude Abbruzzi.
Fonte: www.redattoresociale.it
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