Cie, Paleologo: “No alla proliferazione illimitata” CIE


Critico il docente di Dirito d’asilo dell’università di Palermo sul documento programmatico del Viminale. La proposta più preoccupante è quella di creare “moduli idonei a ospitare persone dall’indole non pacifica”
PALERMO – “Al fallimento sembrano destinate le proposte partorite dagli esperti del ministero dell’interno sui Cie”. A sostenerlo è Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto d’asilo all’università di Palermo. “Se si traducessero in norme – spiega – renderebbero ancora più conflittuale la situazione nei centri di detenzione e porterebbero immediatamente l’Italia, ancora una volta, sul banco degli imputati davanti ai tribunali internazionali”.


“In una fase nella quale non è certo neppure se si riuscirà a costituire un governo o se si andrà a nuove elezioni – dice -, sarebbe assai importante, intanto, che si eliminassero attraverso i referendum proposti dal partito radicale alcune norme del Testo unico 286 del 1998”.
“Le proposte referendarie presentate dal Partito Radicale sono aperte ad una condivisione più ampia da parte delle forze politiche, sindacali e delle associazioni mentre le proposte contenute nel documento ministeriale sui Cie vanno nella direzione di una proliferazione illimitata dei CIE su tutto il territorio nazionale con un inasprimento delle condizioni di trattenimento”.
Su molti punti del documento del ministero sui Cie il docente appare critico. Secondo Paleologo, “il rapporto ministeriale parte già da una premessa errata ricollegando alla ‘Primavera Araba’ l’aumento della presenza degli immigrati nei Cie, mentre invece appare a tutti evidente, come la maggior parte degli immigrati trattenuti nei centri siano provenienti dal circuito carcerario o siano immigrati presenti da anni in Italia, che si sono trovati nella condizione di irregolarità a seguito della perdita del posto di lavoro”. “Nel rapporto inoltre – continua Paleologo – si prende atto che i centri ‘operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali’, senza riferire però che alcune strutture sono parzialmente vuote per carenze di personale e per problemi insorti con gli enti gestori a seguito del forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni, come nel caso del Cie di Milo a Trapani”.
Il rapporto prende atto che il tempo medio di permanenza nei Cie nel 2012 “è stato di 38 giorni a fronte di un 50,6 di espulsi dopo il trattenimento”, dato che lo stesso ministero riconosce “non completamente indicativo della situazione reale”, ma che comunque costringe anche la commissione all’ovvia constatazione della inutilità della detenzione amministrativa fino a 18 mesi. “La proposta contenuta nello studio del ministero – prosegue il docente – corrisponde a quanto già anticipato mesi fa dal ministro dell’interno Cancellieri, e consiste nella riduzione della durata massima della detenzione amministrativa a dodici mesi, una proposta che non modifica certo la situazione insostenibile dei Cie italiani, e non corrisponde neppure alla attuazione della Direttiva comunitaria sui rimpatri del 2008″.
Inoltre, “a fronte dei numerosi casi di autolesionismo che si verificano nei Cie, individuati dal ministero dell’interno come atti preordinati al ricovero in strutture sanitarie esterne – sottolinea ancora il docente -, il documento propone un rinforzo dei presidi sanitari organizzati all’interno dei Cie allo scopo evidente di ridurre i casi di ricovero in ospedale. E’ facile immaginare con quali conseguenze e con quale indipendenza di giudizio, anche alla luce dei frequenti contrasti già riscontrati da anni tra le rilevazioni dei medici interni, convenzionati con l’ente gestore e con la prefettura, ed i medici indipendenti che operano nelle strutture ospedaliere che rilevano spesso patologie e traumi ignorati all’interno dei Cie”.
L’aspetto forse più preoccupante dell’intero rapporto riguarda la “Tutela della pacifica convivenza all’interno dei Centri”, in quanto secondo il rapporto “non infrequenti risultano gli episodi di sedizione e rivolta che si registrano all’interno dei Centri” con “condotte violente ed antisociali da parte di alcuni ospiti, che spesso sfociano in danneggiamenti severi delle strutture, con conseguente perdita di ricettività delle stesse o, a volte, necessità di chiusure temporanee per provvedere al ripristino”. “Si ripropongono anche in questo caso misure già sperimentate – afferma Paleologo -, come il trasferimento in altre strutture di trattenimento, oppure ‘la creazione, all’interno di ogni Cie, di moduli idonei ad ospitare persone dall’indole non pacifica’. Si prevedono così trattamenti detentivi di rigore per quelle persone che le autorità di polizia definiscono “dall’indole non pacifica”.
Allo stesso riguardo il rapporto sembra contraddittorio anche quando precisa che “poiché la totale assenza di attività all’interno dei Centri, che si sostanzia in un ozio forzato, comporta un aumento di aggressività e malessere tra immigrati trattenuti e forze dell’ordine, modalità di trattenimento distinte ed una diversa suddivisione degli spazi permetterebbero agli ospiti di trascorrere il tempo in maniera costruttiva con la possibilità di svolgere, in un contesto più armonico e gradevole, attività ricreative e sportive”. Però si osserva subito dopo che occorre limitare l’utilizzo degli impianti sportivi all’aperto e si prevede “la predisposizione di un sistema di difese passive all’interno di ogni Cie, in modo da scongiurare sul nascere i tentativi di fuga, attualmente assai frequenti”.
Il rapporto incide anche sulla libertà di comunicazione con l’esterno prevedendo nuove limitazioni, anche queste già sperimentate nella pratica, per l’uso dei telefoni cellulari, in particolare se dotati di videocamera. “Rimane la forte preoccupazione dice Paleologo – che l’uso dei telefoni sia vietato del tutto e che le schede telefoniche non consentano quella libertà di comunicazione con l’esterno che è garantita dalla legge e dal regolamento di attuazione n.394 del 1999”.
Altre perplessità insorgono al docente quando è evidente “il tentativo suggerito dal rapporto di trasferire all’ente gestore il ruolo di ‘intercettare le situazioni di disagio e di canalizzarle in modo costruttivo, attraverso l’ascolto, il dialogo e la mediazione, allo scopo di prevenire il sorgere di situazioni conflittuali”. “Si ignora però la vera radice dei conflitti ricorrenti all’interno dei Cie – dice – e ciò appare in contrasto con l’abbattimento dei costi delle convenzioni, che in molte strutture sta comportando proprio l’effetto opposto, con la rarefazione del personale degli enti gestori e con una sovra utilizzazione delle forze di polizia, al punto che alcune strutture funzionano a capienza limitata proprio per le carenze di personale”.
Fonte: www.redattoresociale.it
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