“Porti insicuri”: la storia dei minori stranieri che scappano da soli

«Non c’era un traduttore. Parlavo con la polizia del porto a gesti. Con le mani ho cercato di spiegare loro che volevo stare in Italia. Con le mani ho detto che avevo 15 anni. Loro, sempre con le mani, mi hanno detto: “Tu hai 20 anni, devi tornare in Grecia”».
 Mohammed, 15 anni, in fuga dalle macerie della guerra afghana che forse ci siamo dimenticati, è uno dei migliaia di migranti e richiedenti asilo che affrontano un viaggio drammatico per raggiungere l’Italia dalla Grecia, nascosti nei traghetti commerciali che solcano l’Adriatico. Molti di loro sono adolescenti, poco più che bambini. Si lasciano alle spalle migliaia di chilometri partendo dal Corno d’Africa, dall’Afghanistan e dalla Siria. Arrivati in Grecia, ormai a un passo dall’Europa che sognano, trascorrono mesi nelle retrovie del porto di Patrasso nel tentativo di imbarcarsi nelle grandi navi che solcano l’Adriatico.

Le loro storie – di Saddam, Hamza e Omar – sono raccontate nel documentario“Riammessi” di Paolo Martino, prodotto da Zalab, e nel rapporto “Porti insicuri” dell’associazione Medici per i Diritti Umani (Medu). L’ultimo tratto per arrivare in Italia si fa nascosti sotto un camion. Così lo raccontano davanti alle telecamere:«Quando sei lì sotto quello che provi è paura, la paura di essere scoperto. Il cassone è molto piccolo, devi stare rannicchiato, c’è appena lo spazio per respirare. Tra un camion e l’altro dovevo strisciare perché sapevo che lì dentro è pieno di telecamere. Il pavimento della stiva era allagato, c’era acqua dappertutto, ero fradicio, congelato». La parola magica è «Vai!» detto dalla polizia greca dopo il controllo del tir, vuol dire che non si sono accorti del migrante: «Quando ho sentito quella parola ero felicissimo», racconta Omar.
Alle volte, capita che ci scappi anche il morto, per asfissia o schiacciato sotto le ruote. In ogni caso, il coraggio nell’affrontare la traversata non trova riscontro nei porti italiani. In nove casi su dieci, coloro che vengono scoperti durante il viaggio o allo sbarco (1.809 nel 2012) sono respinti dalle autorità italiane verso la Grecia. Capita anche con minori non accompagnati. In una missione semestrale nella zona del porto di Patrasso, Medu ha incontrato 15 minori rimandati indietro dai porti italiani, anche più volte, senza che ne fosse stata accertata l’età. Sette minori afgani avevano sul corpo i segni di violenze subite ad opera dei poliziotti greci e di gruppi razzisti.
In base a un accordo siglato tra Grecia e Italia nel 1999, tra le due sponde dell’Adriatico si parla di “riammissione” al posto del “respingimento” poiché la frontiera è interna agli accordi di Schengen. Ma le modalità non sono certo quelle previste dall’accordo bilaterale. Le riammissioni sono lampo, nell’80% dei casi sono eseguite nel giro di poche ore, tanto che il migrante fa ritorno in Grecia sulla stessa nave con cui è arrivato, affidato al comandante.
Si usa insomma il termine “riammessi” come politically correct per indicare che vengono rimandati in un paese devastato dalla crisi economica e da una violenza xenofoba senza precedenti, dove il diritto d’asilo non viene di fatto garantito e dove migranti e rifugiati devono spesso affrontare condizioni di vita inumane e degradanti.
Secondo l’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), che ha avviato un’azione legale alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si tratta di una violazione di norme nazionali e europee. Da Ancona a Venezia, da Brindisi a Bari, i porti italiani sono insicuri per i diritti umani. Non viene garantita la possibilità di chiedere asilo politico, il diritto all’informazione, ai servizi di interpretariato e orientamento legale, e procedure adeguate di accertamento della minore età. «Mi hanno messo in una stanza per due ore – racconta N., 16 anni, anche lui afghano – aspettando che la nave fosse piena. Poi sono venuti, hanno chiesto il mio nome e mi hanno fatto firmare un foglio che poi si sono tenuti. Ero sotto shock». Omar, che ad Ancona dice alla polizia di voler fare domanda di asilo politico, si sente rispondere: «Non è un problema nostro». di Stefano Pasta
Riammessi (doc, 9’, Italia, 2013)
di Paolo Martino
Montaggio: Matteo Cusato, Sara Zavarise
Fotografia: Kami Fares
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