Migranti in ostaggio a Grammichele: "Ci tenevano nascosti, qui siamo in prigione"

Sono senz'acqua da tre giorni. Accusano i gestori del centro di chiamarli "sporchi negri" e "animali". "Quando ci sono delle visite istituzionali ci nascondono. Tra noi c'è gente che sta male e ha bisogno di cure mediche"


"Siamo in prigione, senza acqua da tre giorni, questa per noi è una galera. E c'è gente malata che ha bisogno urgente di cure mediche". Sono ventiquattro i migranti subsahariani che da oltre undici mesi, in attesa di un minimo cenno di riscontro sulla loro richiesta di asilo, vengono maltrattati e vivono in isolamento nel centro Sprar di Grammichele gestito dall'associazione San Francesco 4 ottobre, in un ex convento di suore della carità. "Ci chiamano sporchi negri e quando distribuiscono il cibo ci dicono: mangiate, animali". 


Tra i ventiquattro migranti c'è Samba, un ragazzo del Gambia che cerca con l'approvazione degli altri ospiti di fare da portavoce: "La signora che gestisce il centro ci riempie sempre di insulti, quando le diciamo che abbiamo un problema risponde che non ha tempo per noi. Questa non è gente buona, cosa ci stanno a fare? Solo per i soldi. Noi non abbiamo rapporti sociali con nessuno, solo una persona in undici mesi è venuta qui ad ascoltare i nostri problemi". Tra i migranti due hanno necessità di curarsi: "Ho gli occhi gonfi e non ho i soldi per comprare le medicine, devo farlo con i risparmi del mio pocket money, ma come faccio?" e mostra orgoglioso un collirio, come se quello bastasse a risolvere quel problema alla vista che si porta dietro dal Gambia. 



Il racconto shock dei migranti non finisce qui. "Tre di noi lavorano, fanno dei tirocini e a fine mese ricevono dei soldi. Quando invece siamo noi a chiedere di lavorare i gestori del centro ci minacciano di chiamare la polizia, per ogni problema dicono che chiamano la polizia". Samba in compagnia di un altro coinquilino del centro esce dalla sua stanza e indica una casa abbandonata: "Quando ci sono stati dei controlli da parte delle autorità siamo stati nascosti laggiù per tre volte, abbiamo chiesto perché e loro ci hanno risposto che se avessimo fatto ancora domande avrebbero chiamato la polizia". palermo.repubblica.it

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