Contro il dramma delle spose bambine

Quante bambine e ragazze adolescenti sono pronte per il matrimonio? Eppure la pratica è incredibilmente diffusa: una ragazza su nove, nei paesi in via di sviluppo, è già sposata prima di compiere 15 anni, secondo le Nazioni Unite.
Si stima che ci saranno circa 14,2 milioni di nuove spose bambine ogni anno da qui al 2020. 
Spinti in gran parte da povertà e tradizioni culturali, questi matrimoni sono di solito organizzati dai membri della famiglia. Le conseguenze fisiche ed emotive possono essere dirompenti, anche mortali. Stephanie Sinclair, fotografa vincitrice del Premio Pulitzer, ha documentato matrimoni di bambine in tutto il mondo per più di un decennio. Il suo lavoro, che è stato raccolto in un reportage pubblicato da National Geographic nel 2011, ha contribuito ad aumentare la consapevolezza di questo fenomeno e a sensibilizzare comuni cittadini e leader mondiali. Abbiamo intervistato Sinclair a seguito di un recente convegno organizzato dalla Commissione sullo stato della donna (CSW) delle Nazioni Unite. 




Qual è l'aspetto più allarmante di questi matrimoni?

Penso che la cosa da cui dobbiamo partire è che nella maggior parte dei casi queste bambine non vogliono sposarsi. Vogliono una vita normale. Vogliono giocare con i loro amici, vogliono ricevere un'educazione completa e avere una piena adolescenza. Questi matrimoni svestono tante ragazze della loro innocenza spesso prim'ancora della pubertà, e questo è intollerabile in una società globale come la nostra. Questi matrimoni non sono dannosi soltanto per le bambine coinvolte. Sono alla radice di tanti altri mali sociali: la povertà, le malattie, la mortalità materna, la mortalità infantile, la violenza contro le donne. Sono tutti sintomi diversi connessi allo stesso male. Risolvendo il problema dei matrimoni precoci e forzati anche tutte queste altre questioni ne beneficieranno. Come ha detto qualcuno durante il convegno CSW: cerchiamo di essere onesti, quando una bambina di otto anni fa sesso con un ventenne, è stupro. È stupro di minori. È qualcosa che non possiamo accettare.

È cambiato qualcosa dal reportage pubblicato su National Geographic nel 2011? Sono stati fatti maggiori sforzi per fermare questi matrimoni?
All'uscita del servizio non c'era lo stesso tipo di consapevolezza pubblica che c'è adesso sulle spose bambine. Poco dopo, The Elders, un gruppo indipendente di leader mondiali che si occupa di pace e diritti umani, ha preso a cuore la questione formando Girls Not Brides, un'associazione che conta oggi più di 200 volontari con base in Africa, Sud Asia, Medio Oriente, Europa e Nord America, uniti dall'impegno comune di porre fine a questi matrimoni precoci e forzati.


La mia agenzia di foto, VII, ha poi collaborato anche con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) per una campagna di due anni sul tema, che ha preso il via con una grande mostra presso la sede delle Nazioni Unite a New York l'11 ottobre 2012, in occasione della prima Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze. Le mie fotografie sono state incluse nel report dell'UNFPA pubblicato quel giorno, dal titolo "Marrying Too Young". Ora sto continuando a produrre nuovi lavori sul tema con il contributo della collega e regista Jessica Dimmock. Abbiamo un blog sul sito web della nostra campagna, tooyoungtowed.org, e pubblicheremo altre storie e aggiornamenti sugli spostamenti della mostra itinerante in giro per il mondo.

Cos'altro si può fare?

È necessario un approccio multiforme per affrontare la questione del matrimonio precoce. L'istruzione è ancora la difesa migliore. Il che significa mantenere i figli a scuola il più a lungo possibile, così come educare le comunità sull'impatto nocivo del matrimonio precoce sulla salute delle loro ragazze, le loro nipoti, e le loro società nel complesso. Sono fermamente convinta che non vi sia solo la necessità di azioni di sensibilizzazione e di prevenzione, ma si debba trovare anche il modo di aiutare le ragazze che sono già state costrette in questi matrimoni, attraverso incentivi finanziari alle loro famiglie per far loro proseguire gli studi, o tramite corsi di formazione professionale in modo che possano avere una maggiore voce in capitolo nella propria vita e in quella delle loro famiglie. Un trattamento medico di qualità è altrettanto necessario per le ragazze costrette a partorire in giovane età. Queste ragazze hanno bisogno di soluzioni a lungo termine.

Purtroppo, non vi è alcuna soluzione rapida. Ma sembra che ci sia un crescente movimento mirato a porre fine al matrimonio precoce. Pochi mesi fa, l'ex segretario di Stato Hillary Clinton ha annunciato la nascita di un programma pilota in Bangladesh, finanziato dall'Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID), che coinvolgerà leader religiosi, media, governi e ONG locali. L'arcivescovo Desmond Tutu, presidente di The Elders, ha annunciato un obiettivo molto ambizioso: porre fine a questa pratica entro il 2030. Se il problema rimarrà una priorità a livello mondiale, riusciremo a rispettare tale termine. Modi per farlo ci saranno sempre. Bisogna solo essere creativi. Molte iniziative hanno preso il via, ora si tratta di mantenere lo slancio.



Come pensi di continuare a occuparti di questo problema?

Sono appena tornata dalla Tanzania, dove con Jessica Dimmock stiamo raccogliendo informazioni sulle ripercussioni sanitarie nelle giovani spose. Ci torneremo tra circa due settimane. Stiamo mettendo insieme materiali per un report delle Nazioni Unite. Ci stiamo concentrando sul problema della fistola, che è solo uno dei tanti problemi di salute che colpiscono le spose bambine, assieme al prolasso uterino e la rottura dell'utero. Quando ero in Yemen ho intervistato un ginecologo donna che mi ha detto: "Quando le ragazze nel vostro paese sono all'inizio della loro vita, le ragazze nel nostro paese sono alla fine".

Hai sentito le storie personali di molte spose bambine. Ce n'è una che ti ha particolarmente colpito?

Sono tutte strazianti, ma probabilmente quella che mi ha segnato di più è stata la storia di Tahani. Aveva otto anni quando l'ho incontrata, e due anni prima, a sei anni, si era sposata con il suo marito venticinquenne a Hajjah, in Yemen. Appare anche nel video che abbiamo girato all'epoca del reportage, "Too Young To Wed".  Anche se era giovanissima - non le erano ancora cresciuti tutti i denti - c'era in lei una consapevolezza che la faceva sembrare più vecchia. Era la prova evidente di un trauma, come la dissociazione che le permetteva di parlare, a otto anni, delle sue esperienze sessuali. L'innocenza era andata persa. Tahani era andata a scuola, e viveva accanto a una scuola, ma non è stata in grado di completare la sua istruzione perché alla morte della madre non c'era più nessuno che prendesse le sue difese.


Nessuna storia a lieto fine?

Sì, una. Nel 2010, ho fotografato una ragazza yemenita di nome Nujoud Ali. Grazie al suo coraggio e con l'aiuto di un avvocato donna di nome Shada Nasser, Nujoud è stata in grado di ottenere il divorzio a 10 anni, pochi mesi dopo il matrimonio. Ora sta avendo una seconda chance nella vita. Possiamo solo sperare che altre ragazze che vogliono seguire gli stessi passi di Nujoud ottengano il sostegno di cui hanno bisogno.

Fonte
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