Minori a "perdere", più di 10.000: l’odissea dei baby-migranti che sbarcano in Sicilia

Bamba ha 18 anni, ma è arrivato in Sicilia che era ancora minorenne. È sbarcato a Portopalo un anno fa, dopo un lungo viaggio iniziato in Senegal, il suo Paese di origine: un mese in Mali e altri undici in Libia, dove ha subito anche la prigione, con tutte le violenze che comporta.
Come lui ce ne sono migliaia in Sicilia, in Italia. Bambini e bambine, adolescenti, giovani uomini e giovani donne che arrivano sulle nostre coste senza alcun adulto di riferimento, o perché sono partiti da soli - di solito con la responsabilità di venire in Europa per mantenere tutta la famiglia rimasta nei luoghi natali - o perché i genitori non sono sopravvissuti alle onde del mare e alla ferocia degli scafisti.  
Yonas, Efrem, Tommy, Mohamed, Zaman, Ahmed, Shopon, Ebrima, Shoeb sono solo alcuni dei ragazzi che abbiamo incontrato nell’ultimo mese. E i loro sorrisi stupiscono e scaldano il cuore intristito dalle loro storie.
Vengono dall’Eritrea, dalla Tunisia, dal Bengala, dall’Egitto, dal Bangladesh, dal Gambia, dall’Afghanistan e da molti altri Stati. Quando sono arrivati in Sicilia erano tutti minori e molti lo sono ancora. Minori stranieri non accompagnati, questa la dicitura esatta in burocratese, sintetizzata per comodità nell’acronimo MSNA. Quattro lettere dietro cui, a volte, si corre il rischio di dimenticare che ci sono gli occhi di esseri umani giovani, vulnerabili, a volte poco più che bambini.



Secondo i dati del Ministero dell’Interno integrati con le stime degli operatori di Save the Children effettuate nell’ambito del progetto Praesidium, cui partecipano anche UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees), IOM (International Organization for Migration) e Croce Rossa Italiana, tra l’1 gennaio 2014 e il 28 ottobre 2014 sono arrivati in Italia via mare più di 150 mila migranti, tra cui oltre 16.500 donne e almeno 23.400 minori. Un numero cinque volte superiore a quello registrato nel 2011 (4.599), anno segnato dal grande esodo provocato dalle primavere arabe, e l’aumento esponenziale dei numeri registrati è dovuto in modo determinante al peggioramento della situazione politica nei Paesi d’origine e in Libia, luogo di transito ormai fuori controllo e tappa obbligata per la maggior parte dei migranti che vi subiscono le più atroci vessazioni.
Dei 23.400 minori, tra bambini e adolescenti, arrivati negli ultimi dieci mesi, 11.500 sono approdati insieme ad un adulto di riferimento, mentre i restanti 11.900 sono arrivati da soli (la maggior parte da Eritrea, Egitto e Somalia), con un’età compresa tra i 15 e i 17 anni, ma anche tra i 12 e i 13 anni, e se sono rimasti soli dopo aver perso i genitori durante la traversata in mare sono ancora più giovani. Sopravvissuti a guerre civili, persecuzioni, fame e miseria e a viaggi che per molti di loro sono durati mesi, addirittura anni. Lasciando segni indelebili non solo sui loro corpi.

Il territorio italiano maggiormente interessato è la Sicilia, considerato che tra gennaio e settembre 2014, su 855 sbarchi in Italia, 589 sono avvenuti in Sicilia, per un totale di 8.165 minori non accompagnati sugli 11.507 complessivi.
Ma al di là dei numeri, cosa accade a questi ragazzi una volta giunti sulle nostre coste? Quale sistema di accoglienza e protezione li attende? E con quali prospettive?
Per i minori stranieri non accompagnati che decidono di restare nel luogo di approdo e di non proseguire il viaggio verso il nord dell’Europa, inizia un percorso lento e macchinoso che abbiamo provato a percorrere insieme a loro e ai tanti volontari e operatori che li assistono. Un percorso che, dopo lo sbarco presso uno dei porti siciliani più vicini, di solito tra Siracusa, Ragusa e Agrigento, prevede il trasferimento nelle strutture di prima accoglienza per minori dove viene avviata la procedura per ottenere la nomina da parte del tribunale minorile di un tutore legale che si occupi di garantire i loro diritti e i loro bisogni primari, guidandoli anche nelle procedure di richiesta della protezione internazionale e in quelle finalizzate al trasferimento presso strutture dedicate. Ovvero gli Sprar, nel caso siano richiedenti asilo e rifugiati, oppure le comunità alloggio per minori e le case famiglia, nel caso in cui siano migranti cosiddetti “economici” in cerca di maggiori opportunità di formazione e lavoro. Una distinzione, quest’ultima, che non sempre risponde alle reali esigenze dei minori, considerato che la loro giovane età e le ragioni che li hanno spinti fino alle coste italiane li rendono comunque soggetti particolarmente vulnerabili e per questo ugualmente bisognosi di specifica protezione, a fronte del loro diritto in quanto minorenni di restare in Italia fino al compimento dei 18 anni. Termine prorogabile fino ai 21, nel caso in cui siano stati inseriti nei progetti di integrazione e formazione scolastica e professionale previsti negli sprar e nelle comunità per minori, non invece nei centri di prima accoglienza.

Sono queste le strutture più grandi e problematiche, che arrivano ad accogliere anche 150 ragazzi di età e origini diverse che dovrebbero rimanervi al massimo 72 ore. Molti di loro, invece, a causa dei numeri sempre crescenti e dell’impossibilità delle strutture dedicate di fare fronte alle richieste di inserimento, vi rimangono incastrati per tempi molto più lunghi. Come sta accadendo a Samba, 17 anni, gambiano, assegnato “temporaneamente” nove mesi fa al Papa Francesco di Priolo, dove con molta probabilità finirà per festeggiare a breve il suo diciottesimo compleanno senza essere stato inserito in uno progetto di accoglienza integrata.
Mentre la macchina istituzionale si muove a fatica e con lentezza, tuttavia, questi ragazzi possono contare su un vero e proprio esercito umanitario che ha fatto della solidarietà il motore di iniziative che meritano di essere raccontate, tanto quanto le storture e i deficit istituzionali che vanno denunciati.

Con questo spirito abbiamo portato avanti questa inchiesta. Accostandoci con pudore alle storie personali dei minori che abbiamo incontrato, per rispettare la loro giovane età e la sofferenza di una vita che vogliono lasciarsi alle spalle, su cui era nostro dovere non infierire con domande invadenti. Sarà dunque attraverso i loro sorrisi e quelli di chi li aiuta ogni giorno che proveremo a raccontarvi la loro nuova battaglia. Fatta di diritti, burocrazia e integrazione.
[1- continua]
Ornella Sgroi lasicilia.it

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