Minori straniere non accompagnate e sfruttamento sessuale: Il caso delle ragazze nigeriane.

Minori straniere non accompagnate e sfruttamento sessuale: Il caso delle ragazze nigeriane.

E’ “Traffiking” il termine utilizzato per designare l’attività criminale basata sul trasferimento illegale di persone da un paese all’altro, al fine di indurle allo sfruttamento sessuale, al lavoro forzato e alla schiavitù domestica. Un fenomeno che ogni anno coinvolge sempre più donne straniere, in particolare bambine , e che annienta ogni diritto umano.Secondo le stime Eurostat, nel mondo i minori vittime di tratta e di sfruttamento si aggirano intorno a un milione e 200 mila, una realtà drammatica in cui si registra un numero oscuro elevato rispetto ai casi effettivamente identificati . In Italia sono circa 1.125 le persone inserite in programmi di protezione, di cui il 10% ha meno di 18 anni e si tratta di ragazze. Tra i minori migranti non accompagnati, le bambine rappresentano un segmento ancor più vulnerabile, per le quali il rischio di essere vittime di stupro, violenze o di essere costrette a prostituirsi è concreto. Ad essere coinvolte nel fenomeno dello sfruttamento sessuale, sono per lo più ragazze nigeriane, rumene e di altri paesi dell’Est Europa indotte alla prostituzione su strade o in luoghi chiusi. Private della loro dignità, i racconti di violenza di queste minori sono disperati e cruenti, le loro condizioni sono assimilabili alla schiavitù.

I Push factors, i cosidetti fattori di spinta verso le migrazioni, sono molteplici. Quasi tutte, scappano nella speranza di migliorare la qualità della loro esistenza e/o della loro famiglia, a causa dell’instabilità politica ed economica che connota i loro paesi di origine. Alcune fuggono da matrimoni forzati, dal rischio di mutilazioni genitali, da servizi di leva obbligatori come accade in Eritrea nel campo di addestramento Sawa, in cui le ragazze sono sottoposte ad ulteriori abusi , a rapporti sessuali forzati e lavori pesanti. Talvolta il reperimento delle vittime avviene attraverso il circuito delle rete familiare e di conoscenti, che si accordano con le organizzazioni criminali che organizzano il viaggio e i relativi documenti falsi. E’ il caso delle ragazzine nigeriane.

Sono loro ad essere, maggiormente coinvolte nel mercato del sesso, spinte dalla povertà delle loro famiglie, l’Europa viene presentata come la meta da dove poter ricominciare, con un nuovo lavoro. Molte sono completamente ignare del destino che le attende, altre invece ne sono consapevoli e d’accordo con la famiglia. Prima della partenza viene effettuato normalmente un rito voodoo, ripetuto anche in Italia o lungo il viaggio, utilizzato come strumento di controllo e di consolidamento della relazione di sottomissione, oltre che per sigillare l’accordo sul pagamento del debito contratto dalle ragazze per raggiungere l’Europa, e che deve essere rimborsato al reclutatore o alla “Mamam”, figura femminile che esercita un ruolo chiave. L’esercizio della stregoneria, posta alla base delle credenze di alcune popolazioni africane, condiziona cosi tanto le ragazze da far loro temere disastrose ripercussioni, richiamate attraverso il malocchio per se stesse e per le proprie famiglie nel momento in cui si dovesse venir meno all’accordo stipulato. A ciò si aggiunge una scarsa conoscenza delle valute occidentali, cosicchè il debito giunge a quote elevatissime, a volte sino ai 50/60 mila euro, ai quali si sommano anche il costo mensile della postazione in strada e l’affitto delle stanze in cui le ragazze risiedono.

Per riuscire a sopportare il peso di questa vita, le ragazze sono spinte a prendere antidepressivi e sostanze psicotrope, sia per prolungare le ore quotidiane di sfruttamento sia per essere più rilassate nel loro atteggiamento verso i clienti. Il numero degli aborti clandestini è notevolmente in salita, cosi come il contagio di malattie sessualmente trasmissibili, tanto che si parla di una vera e propria “epidemia in rosa”. Ogni tentativo di ribellione è severamente punito e talvolta viene a mancare il desiderio di fuggire poiché la vita imposta si presenta cosi degradante ed infamante da non lasciare intravedere alcuna prospettiva di miglioramento per il futuro se non l’accettazione passiva dello status quo. La paura, la vergogna e lo stato di depressione contribuiscono ad annichilire la personalità di queste nuove schiave.

Nel nostro paese, la tratta di persone ai fini dello sfruttamento sessuale costituisce la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali, dopo il traffico illegale di armi e droga.

Gli interventi legislativi per contrastare il fenomeno non sono mancati. Ricordiamo la legge n.228/2003, Misure contro la tratta di persone, con la quale si è provveduto a stabilire un pesante inasprimento della pena, fissata nella reclusione da otto a venti anni, con un aumento da un terzo alla metà della pena da infliggere quando le vittime dei reati di riduzione in schiavitù ai fini dello sfruttamento sessuale o prelievo di organi, siano persone di età inferiore ai 18 anni. Troppo poco rispetto a un fenomeno dalla portata sempre più ampia. La Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale stipulata il 25 ottobre 2007, aveva stabilito la necessità di garantire l’accesso alla giustizia da parte dei minori vittime attraverso l’istituzione presso ogni tribunale di un elenco di gruppi, fondazioni ed organizzazioni non governative ed associazioni in grado di garantire l’assistenza psicologica e affettiva alla persona offesa minorenne .Il nostro Paese è in ritardo nonostante abbia ratificato quanto stabilito nella Convenzione già il primo ottobre 2012. Nell’articolo 18 del DPR n.286/98,(Disciplina sull’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero), si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale al fine di consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di organizzazioni criminali, con la possibilità di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. L’Italia ha provveduto ad adottare un Piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli essere umani, sulla base di una direttiva europea del 2011 redatta dal Dipartimento delle Pari Opportunità e approvata in via definitiva solo nel 2016.

Nonostante i ritardi legislativi, non mancano gli interventi sociali a favore delle minori straniere non accompagnate. Il primo atto di cura è l’ascolto di queste ragazze, inteso anche come capacità degli operatori di riuscire a leggere ed interpretare gesti non verbali. In una logica di welfare mix, fondamentale è l’impegno degli organismi del Terzo settore. In particolare si citano i servizi di primo contatto con le vittime, volti a sostenerli dando loro consulenza legale e psicologica, informazioni sui loro diritti, accompagnamento ai servizi territoriali e socio-sanitari. Importante è il lavoro dei peer-educator, per individuare i minori in strada e aiutarli nella fuoriuscita dallo stato di sfruttamento attraverso unità mobili di strada e centri diurni a bassa soglia per i neo-maggiorenni. Sono state attivate anche dei servizi di helpline telefonica per sostenere i minori, disponibile in sei lingue. Molti sono i progetti che prevedono borse di studio e di lavoro oltre che di accompagnamento all’autonomia abitativa. Il filo che lega queste iniziative è l’intento di aiutare queste ragazze a ricostruire la propria identità e il proprio progetto di vita. Molte di loro giungono in Italia con sogni da realizzare, hanno una progettualità migratoria definita, che viene spezzata da un destino crudele. Lo scopo è quello di ridare valore alla loro dignità di donne, di riattivare le loro capacità di empowerment e di resilienza. Il lavoro sociale in questo campo è complesso e delicato ma sicuramente non impossibile. Bisogna agire con maggiore responsabilità, per restituire il diritto all’infanzia e alla speranza che non devono essere più considerati come un semplice obiettivo da realizzare alla luce dell’esistenza del problema, bensì devono essere intesi nei termini di una vera necessità, che deve essere fatta propria da parte dei governi ma anche da chi è più in basso nella catena dell’accoglienza e della gestione del fenomeno.

Floriana Ciotola


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