Visualizzazione post con etichetta codice deontologico sui migranti. Mostra tutti i post
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Aprendo i giornali non si può che essere colpiti dati “titoloni”. Parole che impattano emotivamente, ma che a volte raccontano qualcosa di diverso rispetto all’articolo. Lo straniero fa notizia! Proviene proprio dai media la grandissima responsabilità nel costituire il sentire comune ed il senso dell’immigrazione.
Nel 2008 è entrata in vigore la Carta di Roma, il codice deontologico sui migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta, firmato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in collaborazione con l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR).  Una necessità , in quanto il racconto mediatico inevitabilmente contribuisce a costruire l’immagine dell’immigrato. “Ondata migratoria”, “Sbarco”, “Emergenza” evocano l’immagine dell’invasione da parte di soggetti diversamente titolati. Una analisi della Fondazione Leone Moressa, condotta sulle maggiori testate giornalistiche tra il gennaio e giugno 2014, pone l’attenzione sulle parole più frequentemente utilizzate che posano l’accento sulla provenienza geografica, oppure avvalendosi  dello stato giuridico entro cui vengono collocati: rifugiato, clandestino, esiliato. Così dietro a queste etichettature scompaiono i volti, scompaiono le persone, scompaiono vite.
Gli articoli di cronaca non mancano di indicare l’etnia di chi ha commesso l’atto illecito, fatto che fa costruire nell’immaginario collettivo il binomio “atto illecito= gruppo etnico”.
Dalla cronaca giunge la costruzione dei un percorso irrevocabile per ogni persona che sbarca: gli immigrati sono poveri, che vengono coinvolti in atti di cronaca nera, che vanno ad aumentare la criminalità.
E’ troppo spesso una comunicazione “di pancia”. Analisi di dati, disanima di fenomeni  non viene offerta se non in dossier dedicati, a cui molto spesso il pubblico si sottrae per complessità espositiva e noiosità dei numeri. Ma sono proprio questi che sfatano “il sentito dire”!
Teniamo fermo il concetto per cui una diversità di opinione  non è una brutta cosa: la differenza arricchisce la situazione.
Ascoltare è più importante e produttivo che parlare… Parlare può essere utile per persuadere gli altri delle proprie opinioni. Ascoltare è utile per apprendere nuove informazioni. Ma è lecito fare domande: le domande fanno parte dell’ascolto! E così è necessario imparare a fare domande…Attenzione a non cadere nella trappola della percezione selettiva, che consiste nel recepire le cose in modo tale da suffragare un’idea preconcetta. Questa entra in azione negli stereotipi e pregiudizi: la mente è ancorata a uno schema fisso e rileva soltanto ciò che risponde bene ad esso. Dal pregiudizio e stereotipi derivano emozioni, e quanto le emozioni entrano nella logica delle opinioni esse diventano pericolose.
Così si parla ancora di ondata migratoria, senza tenere in considerazione che è un dato strutturale che riguarda l’Italia da oramai 30 anni. Migrazioni dai prossimi confini dell’est, poi nord africa, poi da un est più lontano…una migrazione mondiale. Perseverare in una narrazione che sostiene la paura dell’alterità, non fa che aumentare i sentimenti di fuga come la xenofobia, la discriminazione e fomentare atti di violenza.
Le generalizzazioni comportano che le medesime etichette valgano per tutti.
Occorre una conoscenza approfondita e una propensione alla dialettica. Parliamo di un “noi” rispetto a “loro”. La voce degli immigrati non è invitata al dialogo, è pur sempre un monologo, volto alla conservazione della nostra cultura e non proteso al confronto. “Questa è casa nostra, o fai quello che dico io o te ne vai”. I social rimbalzano post stereotipati, promossi da soggetti il cui cognome già di per sé rappresenta una migrazione interna rispetto al luogo di residenza. Ma se perdiamo la memoria, se dimentichiamo di raccontare, perdiamo anche le nostre capacità di trasformaci, di adattarci di fronte ai cambiamenti e quindi di sopravvivere. Sarebbe bello proporre, ad alcuni di questi, qualche spezzone del film  L’era glaciale: “ il mondo si sta sciogliendo…”
Imporre ad un immigrato la cultura del Paese in cui comincia una nuova vita, significa snaturarlo. L’annullamento progressivo è esso stesso motivo di alienazione con conseguenze gravi per l’individuo stesso e il presupposto per una ribellione violenza, perché, a tal punto, non si ha più nulla da perdere.
Le parole contribuiscono a creare il presente, quindi a costruire un senso civico. Ci permettono di metabolizzare la realtà e diventano ponti per il futuro.
Sta a noi (o più propriamente ai giornalisti!) scegliere di quali pietre lastricare il nostro cammino.
Dott.ssa Elena Crestani – collabora con l’Università di Ferrara circa lo studio della tematica dei Minori Stranieri non Accompagnati



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“I MIGRANTI CI INVADONO” Lo Straniero fa notizia!

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