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Se Cose dell’altro mondo ha introdotto alla 68 Mostra del Cinema di Venezia l’argomento immigrazione in modo ludico e surreale, con Terraferma di Emanuele Crialese, proiettato oggi in concorso, la prospettiva cambia.
In un'isola del Mare Nostrum, Filippo, un ventenne orfano di padre, vive con la madre Giulietta e il Nonno Ernesto, un vecchio e irriducibile pescatore che pratica la legge del mare. Durante una battuta di pesca, Filippo ed Ernesto salvano dall'annegamento una donna incinta e il suo bambino di pochi anni. In barba alla burocrazia e alla finanza, decidono di prendersi cura di loro, almeno fino a quando non avranno la forza di provvedere da soli al loro destino. Diviso tra la gestione di viziati vacanzieri e l'indigenza di una donna in fuga dalla guerra, Filippo cerca il suo centro e una terra finalmente ferma.Terraferma è la terza opera che Emanuele Crialese dedica al mare della Sicilia in un'instancabile ricerca estetica avviata con Respiro nove anni prima. Come Conrad, Crialese per raccontare gli uomini sceglie “un elemento altrettanto inquieto e mutevole”, una visione azzurra ‘ancorata' questa volta al paesaggio umano e disperato dei profughi. Sopra, sotto e intorno a un'isola intenzionalmente non identificata, il regista guarda al mare come luogo di infinite risonanze interiori. Al centro del suo ‘navigare' c'è di nuovo un nucleo familiare in tensione verso un altrove e oltre quel mare che invade l'intera superficie dell'inquadratura, riempiendo d'acqua ogni spazio.
Dentro quella pura distesa assoluta e lungo il suo ritmo regolare si muovono ingombranti traghetti che vomitano turisti ed echi della terraferma, quella a cui anela per sé e per suo figlio la Giulietta di Donatella Finocchiaro. Perché quel mare ingrato gli ha annegato il marito e da troppo tempo è avaro di pesci e miracoli. Da quello stesso mare arriva un giorno una ‘madonna' laica e nera, che il paese di origine ha ‘spinto' alla fuga e quello ospite rifiuta all'accoglienza. La Sara di Timnit T. è il soggetto letteralmente ‘nel mezzo', a cui corrisponde con altrettanta drammaticità la precarietà sociale della famiglia indigena, costretta su un'isola e dentro un garage per fare posto ai vacanzieri a cui è devoto, oltre morale e decenza civile, il Nino ‘griffato' (e taroccato) di Beppe Fiorello. Ma se l'Italia del continente, esemplificata da tre studenti insofferenti, si dispone a prendere l'ultimo ferryboat per un mondo di falsa tolleranza dove non ci sono sponde da lambire e approdare, l'Italia arcaica dei pescatori e del sole bruciante (re)agisce subito con prontezza ai furori freddi della tragedia. Di quei pescatori il Filippo di Filippo Pucillo è il degno nipote, impasto di crudeltà e candore, che trova la via per la ‘terraferma' senza sapere se il mare consumerà la sua ‘nave' e la tempesta l'affonderà. Nel rigore della forma e dell'esecuzione, Crialese traduce in termini cinematografici le ferite dell'immigrazione e delle politiche migratorie, invertendo la rotta ma non il miraggio del transatlantico di Nuovomondo. Dentro i formati allungati e orizzontali, in cui si colloca il suo mare silenzioso,
Terraferma trova la capacità poetica di rispondere alle grandi domande sul mondo. Un mondo occupato interamente dal cielo e dal mare, sfidato dal giovane Filippo per conquistare identità e ‘cittadinanza'.

TERRAFERMA di Emanuele Crialese

Se Cose dell’altro mondo ha introdotto alla 68 Mostra del Cinema di Venezia l’argomento immigrazione in modo ludico e surreale, con Terrafe...
Cosa succederebbe al nostro Paese se tutti gli immigrati sparissero di colpo? Francesco Patierno (Il mattino ha l’oro in bocca), sualla scorta di un precedente film di Alfonso Arau (A Day without a Mexican) cerca di immaginarlo in Cose dell’altro mondo, proiettato a Venezia nella sezione Controcampo. Nel film Diego Abatantuono è l’imprenditore di una cittadina veneta che vanta tra i suoi operai un buon numero di stranieri con regolare permesso di soggiorno. Nonostante ciò, l’uomo d’affari non rinuncia al suo pistolotto razzista quotidiano contro i “diversi” che va in onda sulla tv locale, parlando un semidialetto molto divertente e con battute che susciterebbero l’invidia di un Calderoli. Fatto sta che l’ipotesi tanto vagheggiata che tutti salgano sui barconi o prendano il cammello e tornino a casa si concretizza per una sorta di fenomeno sovrannaturale. Come se qualcuno lassù avesse ascoltato le invocazioni del signorotto locale.
Il tema dell’immigrazione viene qui affrontato con umorismo e senso del paradosso, mostrando non solo le conseguenze socioeconomiche in un Paese in cui tutti i lavori umili sono svolti dagli stranieri, ma anche le ripercussioni affettive che una sparizione così repentina potrebbe suscitare.
L’obiettivo evidente del film è quello di restituire una dimensione emotiva a un problema che solitamente viene trattato solo in ambito socio-politico. I tre protagonisti del film: l’imprenditore Abatantuono, sua figlia (la maestra idealista Valentina Lodovini) e il commissario Valerio Mastandrea si ritrovano improvvisamente faccia a faccia con i problemi e e le relazioni che si erano buttati alle spalle. La sparizione delle badanti, dei netturbini, dei filippini, degli operai a cottimo e così via diventa così il detonatore di una deflagrazione sentimentale: senza quei punti di riferimento, ogni personaggio è, infatti, costretto ad affrontare la propria solitudine, le proprie ipocrisie. Una “fiaba” coraggiosa, con un punto di vista ben preciso e manifesto, che ha l’ambizione (e il desiderio) di abbattere i pregiudizi a colpi di risate.

COSE DELL'ALTRO MONDO di Francesco Patierno

Cosa succederebbe al nostro Paese se tutti gli immigrati sparissero di colpo? Francesco Patierno (Il mattino ha l’oro in bocca), sualla scor...
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