Come riportato dal quotidiano The Nation di Islamabad circa 20 migranti tra Pakistani e Afghani sono morti mentre cercavano di raggiungere il sogno chiamato Europa. Le probabili cause, scrive il quotidiano, la fame e la sete. La tragedia è avvenuta fra le montagne del Beluchistan, nota area di passaggio dei migranti che intraprendono il loro viaggio di speranza verso l’Europa dal Pakistan e dall’Afghanistan.
The Nation ricorda che ogni anno diverse sono le persone che dal Pakistan e dall'Afghanistan tentano di attraversare queste montagne per giungere in Europa, via l'Iran, guidati da trafficanti di uomini senza scrupoli che spesso al minimo pericolo si dileguano lasciando i migranti soli e abbandonati in zone non proprio accoglienti
Di seguito riportiamo le parole tratte da La Repubblica.
Richiedenti asilo: il 20% dall'Asia. In base ai dati riportati dal Ministero dell'Interno, nel 2011 l'Italia ha ricevuto 7.346 domande di asilo provenienti da cittadini asiatici. Si tratta di poco meno del 20% del totale delle domande presentate. Nel dettaglio, i richiedenti asilo asiatici provenivano dal Pakistan (2.444), dal Bangladesh (1.691) e dall'Afghanistan (1.503). Durante lo stesso anno sono state esaminate 5.708 domande di richiedenti asilo asiatici, alcune delle quali presentate, per la verità, nel 2010. L'esito di queste domande varia molto in base al paese di origine. Si va infatti da un tasso di riconoscimento di protezione internazionale molto alto, dell'82% per gli afghani, al 50% per i pakistani, fino al 12% per i cittadini del Bangladesh. Va precisato che la stragrande maggiornaza di richiedenti asilo asiatici arriva in Italia via mare dalla Turchia e dalla Grecia, approdando sulle coste pugliesi e calabresi. Nel 2011 i cittadini afghani sbarcati in Italia sono stati oltre 2.000 (630 minori), i pakistani 1.500 (120 minori).
Minori non accompagnati in transito in Italia. Perché non si fermano nel nostro paese? Da anni ormai la stazione Ostiense di Roma è divenuta nota per la presenza quasi costante di decine di cittadini afgani, richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale o di "invisibili" in arrivo dalla Grecia ed in transito verso il Nord Europa. Nel gruppo, che sopravvive in condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie, si distinguono numerosi minori non accompagnati (MSNA). Partendo dal rapporto pubblicato dall'UNHCR "Trees only move in the wind" (giugno 2010), alla fine del 2010 un progetto di ricerca dell'UNHCR Italia si è posto l'obiettivo di capirne di più su questa categoria di MSNA: perché così tanti di questi ragazzi scelgono di non rimanere in Italia, dormendo all'addiaccio in attesa di proseguire il viaggio verso i paesi del Nord Europa?
Questionari per capire le ragioni. Per rispondere a questi interrogativi, un team composto da una ricercatrice di formazione antropologica e da un mediatore linguistico-culturale ha frequentato i luoghi di ritrovo dei minori afgani, dalla stazione Ostiense ai centri diurni ed alle mense della carità gestitidalle associazioni, visitando inoltre alcuni centri d'accoglienza finanziati dal Comune di Roma. Nel corso dei tre mesi del progetto, sono stati intervistati, tramite un questionario articolato,15 minori afgani non accompagnati in transito e 9 minori afgani ospitati presso centri di accoglienza, oltre a 7 adulti afgani (sia di passaggio che residenti in Italia). I ragazzi intervistati, in maggior parte sedicenni e diciassettenni (un solo bambino di 10 anni era riuscito ad arrivare a Roma senza familiari), avevano lasciato i luoghi d'origine in Afghanistan, Pakistan o Iran in media circa un anno prima dell'incontro con il team UNHCR.
Una visione edulcorata del Nord Europa. Dall'analisi dei dati forniti da EUROSTAT emerge che, mentre il numero di minori afgani non accompagnati che fa domanda di protezione internazionale nei paesi UE risulta in costante aumento (+42% in media nei paesi UE dal 2008 al 2009), nello stesso periodo in Italia le domande di protezione presentate da questa categoria sono calate del 55%. Questo a fronte di un flusso crescente di minori afgani non accompagnati sulle coste pugliesi e calabresi (384 quelli sbarcati nel 2009 contro i 105 del 2008) (fonte: Ministero dell'Interno). Più delle metà dei ragazzi intervistati che dormivano alla stazione Ostiense aveva scelto - da solo o con i familiari - il paese di destinazione fin dalla partenza. Emerge dalle loro risposte una visione forse edulcorata della realtà nei paesi dell'Europa settentrionale, propagata sia dagli emigranti di ritorno che dai trafficanti, interessati a prolungare il viaggio dei ragazzi come degli adulti. Tra di loro prevale la tendenza a citare l'aspirazione ad un "futuro migliore" o ad una "buona educazione" come motivo preponderante per la partenza.
Le fughe per i pericoli immanenti. I ragazzi ancora indecisi o quelli ospitati presso le strutture d'accoglienza (e che avevano dunque deciso di presentare domanda di protezione internazionale in Italia), invece, descrivevano per lo più partenze improvvise, dettate da un pericolo imminente come rastrellamenti o vendette messi in atto dai talebani. Molti di essi avevano impiegato più tempo per arrivare in Italia rispetto ai loro coetanei in transito e si erano spesso fermati durante il viaggio: in Iran o in Turchia per guadagnarsi il denaro necessario per la tappa successiva, a Patrasso, in Grecia, nel tentativo di nascondersi all'interno o sotto uno dei tir in partenza per Bari, Ancona o Venezia.
Le ragioni per andarsene dall'Italia. Una combinazione di diversi fattori sembra spiegare perché solo alcuni ragazzi afgani non accompagnati si fermino in Italia, mentre la maggior parte prosegue verso il Nord Europa. Oltre alla disponibilità economica - molti dei ragazzi al cosiddetto "AfghanPark" all' Ostiense erano in attesa di ricevere fondi dalle famiglie attraverso la rete informale dell'Hawala, sistema informale di trasferimento di valori basato sull'onore di una vasta rete di mediatori - emergeva, tra chi aveva deciso di ripartire, una consapevolezza del difficile percorso verso l'integrazione per i titolari di protezione internazionale in Italia.
Le parole di un quattordicenne. Nelle parole di un ragazzo quattordicenne: "Non farò domanda d'asilo qui perché dormo ad Ostiense con degli afgani [adulti] che hanno i documenti, ma vivono comunque lì. Non voglio finire come loro". Pressati sia dai trafficanti che dalle famiglie in Afghanistan, Pakistan o Iran, che li spingono a proseguire il viaggio verso nord, molti di questi ragazzi non possono contare sulle informazioni accurate sulla legislazione e sui percorsi d'accoglienza per i MSNA in Europa che potrebbero aiutarli a prendere decisioni informate e ponderate. La stragrande maggioranza è convinta, ad esempio, che, in base alla legislazione europea (il famigerato "Dublino II" o Regolamento CE 343/2003), verrebbero automaticamente rinviati in Italia se dovessero essere fotosegnalati nel paese, per poi far domanda di protezione internazionale in un altro stato europeo.
Le autorità sono irresponsabili. Dalle interviste emerge, infine, come, a fronte di quella che viene percepita come una tendenza ad allontanarsi dall'Italia da parte dei minori afgani non accompagnati, le autorità italiane - enti locali, forze dell'ordine, operatori delle strutture d'accoglienza - non si assumano sempre la responsabilità di offrire protezione a questi ragazzi, pur molto visibili nei luoghi di aggregazione come la stazione Ostiense. Senza un intervento deciso e coordinato di tutti gli attori coinvolti, incluse le ONG e le organizzazioni internazionali, la maggior parte di questi minori sembra purtroppo destinata dunque a continuare a vedere l'Italia come luogo di passaggio.
Migliaia gli sfollati. Raggiunge quota 181.021 il numero delle persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa dell'operazione di sicurezza - tutt'ora in corso - condotta dal Governo nel nord-ovest del Pakistan. Molti dei nuovi arrivati dal territorio di Khyber Agency si rivolgono all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) presso il campo per sfollati di Jalozai, che si trova vicino alla città di Peshawar nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa.
Circa 10.000 persone al giorno. L'operazione UNHCR fa parte di un più ampio impegno interagenzie a sostegno dell'autorità provinciale per la gestione delle catastrofi (Provincial Disaster Management Authority, PDMA). Per far fronte al flusso dei nuovi arrivi, nel campo di Jalozai sono stati allestiti 72 banchi per la registrazione. Circa 10.000 le persone registrate ogni giorno. La grande maggioranza delle persone registrate - intorno all'85% - sceglie di non vivere nel campo, preferendo restare ospite presso amici, parenti o in sistemazioni prese in affitto. Oltre 11.000 famiglie -per un totale di più di 50.000 persone - si sono spostate a Jalozai.
I kit di sopravvivenza. La PDMA ha in programma - a breve - di aprire altri due punti per la registrazione, che fungeranno anche da centri per la distribuzione di assistenza umanitaria. Sono più di 37.000 i kit di aiuti umanitari - contenenti articoli come materassi e taniche per l'acqua - distribuiti finora dall'UNHCR. Altre agenzie dell'ONU come UNICEF, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Programma Alimentare Mondiale (PAM) garantiscono assistenza nei settori della salute materna e infantile, della protezione dei minori, dell'acqua, dei sistemi igienico-sanitari, dell'istruzione primaria, della distribuzione di razioni alimentari e delle vaccinazioni.
L'assistenza nei campi. Nell'area di Jalozai sono state erette 4.000 nuove tende, utilizzate per dare una sistemazione ai nuovi arrivati. Nel campo è disponibile ulteriore spazio per ospitare adeguatamente altre famiglie. Sono in atto sistemi per identificare e assistere le persone con specifiche necessità di protezione. Nel punto di registrazione di Jalozai è stato allestito uno sportello legale e reclami per facilitare i gruppi di persone particolarmente vulnerabili che potrebbero aver bisogno di ulteriore assistenza a causa di moduli per la registrazione smarriti, di carte d'identità nazionali scadute o di documenti d'identità mancanti. Come risultato delle operazioni di sicurezza contro i gruppi militanti, nella provincia Khyber Pakkhtunkhwa e nella regione FATA del Pakistan sono oltre 650.000 le persone sfollate.