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The Gillard government is hell bent on pursuing its Malaysia solution because it believes that's the only way of stopping asylum seekers trying to reach Australia by boat.
But even if the policy of sending people back to where they've come from is a great deterrent Labor is facing two roadblocks that could prove insurmountable.
First, Opposition Leader Tony Abbott has declared "Malaysia is out" as far as he's concerned and the government needs coalition support to put offshore processing back on solid legal ground after last week's High Court ruling.
Second, even if the Migration Act and the Guardianship of Children Act are amended refugee advocates could challenge the Malaysia solution in the courts again - and it's not certain the commonwealth would win.
So faced with the prospect of a second bruising defeat why is the Gillard government pushing ahead with Malaysia?
The detailed answer was provided in a briefing to Abbott this week by immigration department officials.
They said the Malaysia solution was a "game changer" whereas sending people to Nauru or Manus Island in Papua New Guinea wouldn't deter them from boarding a boat because most, after a wait, would still end up in Australia.
People smugglers didn't know that when the so-called Pacific Solution began but they do now.
Department boss Andrew Metcalfe argues that the key to stopping the boats - if that's what government wants to do - is quickly returning people overseas.
It's proven to have worked in the past - the last time in 2001 and 2002 when the former Howard government towed boats back to Indonesia.
This wouldn't work nowadays as people smugglers have learnt to sabotage boats, there's no guarantee of safety for asylum seekers and, anyway, Indonesia wouldn't have a bar of it.
But, the departments says, the people swap with Malaysia was a "virtual tow-back" with humanitarian safeguards built in. Hence Immigration Minister Chris Bowen's description of it as an "elegant" policy.
The High Court begged to differ when it said the deal struck between Canberra and Kuala Lumpur wasn't good enough because a destination country had to be bound by domestic or international law to provide protection.
To get around that is simple enough, according to Australian National University international law expert Professor Don Rothwell.
The federal parliament could simply rewrite section 198A of the Migration Act so that the minister no longer had to declare a third country - say Malaysia - provided refugee assessment and human rights protections.
Prof Rothwell says if the intent was clear and unambiguous, and ruled out judicial review, the statute would override any international obligations Australia owed asylum seekers under the UN refugee convention.
It would be tough but effective.
However, there's another bump in the legal road.
Parliament would also have to change the law to allow the minister to send unaccompanied children to a third country for processing - and that could prove much trickier.
"Guardianship is not just a statutory creation but it's also recognised under the common law," Prof Rothwell told AAP.
"So there would still be the potential for legal argument to be made that the government of Australia has obligations to unaccompanied minors that arrive in this country under the common law."
But even if the changes could survive legal challenge Prime Minister Julia Gillard has to get past Abbott first.
It's been reported he might only support changes to migration law which allowed offshore processing in countries that had signed the UN refugee convention.
That could be done quite easily, Prof Rothwell says.
Which would leave Gillard in a political bind and Abbott, potentially, in a moral one.
The PM could acquiesce, give up on Malaysia, and reopen the Nauru and Manus Island centres only.
But according to departmental advice that won't stop the boats.
Alternatively, she could dig in. But without being able to change the law offshore processing wouldn't be an option.
Onshore processing only could see 600 people arriving by boat every month which would quickly overwhelm Australia's detention capacity.
If people lived in the community while being processed there's a risk of European-style unrest, the government has been told.
Abbott's dilemma is more complex.
If he insists on saying no to Malaysia all advice suggests the flow of boats will increase.
That might be good for him politically in that he can continue to use the arrivals to attack Labor (unless the government successfully changes the entire tenor of the debate).
But if the Gillard government falls Abbott may well face the same border protection problem.
It's a case of "Be careful what you wish for". (businessspectator.com.au)

PM and Abbott face off over boat arrivals

The Gillard government is hell bent on pursuing its Malaysia solution because it believes that's the only way of stopping asylum seeker...

 effettuata da Transcrime diretto da Ernesto U. Savona, professore di criminologia ha l’obiettivo di ricostruire le scelte ed i percorsi di vita che gli ex MSNA hanno hanno seguito dopo il compimento del diciottesimo anno di eta’ con l’uscita dal sistema di presa in carico da parte dei Servizi, ricostruendone traiettorie, motivazioni, tappe ed eventi critici…. Questa ricerca si concentra sulle storie di alcuni ex minori stranieri che sono stati assistiti dai Servizi territoriali della Provincia autonoma di Trento. Una delle principali criticita’ del percorso di vita dei MSNA e’ infatti rappresentato dalla transizione all’eta’ adulta.

 

Lo scopo e’ quello di aprire una riflessione per capire se e come le politiche sociali locali hanno avuto un ruolo nell’orientare in positivo la vita del minore e cosa si potrebbe fare, in aggiunta a quello che si sta gia’ facendo, per rendere questi interventi piu’ efficaci.

Cosa Farò da Grande

La ricerca   “Cosa farò da grande. La transizione nell’età adulta degli ex minori stranieri non accompagnati nella Provincia di Trento”  ef...
Egiziani e afgani sono i minori che, giungendo in Italia da soli, dunque 'non accompagnati', sono esposti al rischio di cadere nella rete dello sfruttamento.

Lo denuncia Save the Children nel nuovo dossier 'I piccoli schiavi invisibili', in collaborazione con l'Associazione On the Road -Consorzio Nova.

Sono 6.340 i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia: Afganistan, Tunisia, Egitto e Marocco i principali paesi di provenienza.

I ragazzi egiziani, spiega Save the Children, giungono in Italia con una ''forte determinazione a lavorare per contribuire al proprio sostentamento e a quello delle famiglie che, d'altra parte, pagano ai trafficanti cifre notevoli, anche fino a 8 mila euro, per garantire loro il viaggio verso il nostro paese''.

Alla ricerca dunque spasmodica di un lavoro i minori egiziani, come rilevato da Save the Children attraverso le sue attivita' di protezione di almeno 5.850 minori migranti non accompagnati fra il 2010 e il 2011, possono finire in circuiti di sfruttamento lavorativo, per esempio nel settore ortofrutticolo con 'guadagni' giornalieri di pochi euro, o cadere vittime di organizzazioni criminali per essere sfruttati nello spaccio di sostanze stupefacenti.

L'Italia, conclude Save the Children, ''si conferma un paese di transito per i minori afgani, spinti a partire dall'Afghanistan o dal Pakistan o dall'Iran, dove spesso le loro famiglie decidono di rifugiarsi per sottrarsi alla guerra. Pur di raggiungere la meta, cioè il più delle volte i paesi del Nord Europa, sono disposti a tutto: vivere in strada, fare lavori pericolosi e non retribuiti fino anche a prostituirsi o compiere attività illegali''.

PICCOLI SCHIAVI INVISIBILI

Egiziani e afgani sono i minori che, giungendo in Italia da soli, dunque 'non accompagnati', sono esposti al rischio di cadere nell...

Osman, nome fittizio, ha tredici anni ed è uno dei centinaia di minori stranieri non accompagnati che vengono «ospitati» nella ex base Loran a Lampedusa o nel Cara di contrada Imbriacola. La sua è una storia emblematica, che abbiamo raccolto tra le tante e che rappresenta, meglio di qualunque ragionamento politico, lo stato delle cose. Osman è di origine eritrea, e la sua famiglia lavorava a Tripoli da quando lui è nato. I genitori non gli hanno mai raccontato come fossero arrivati li, ma da alcuni accenni e ricordi di famiglia, affiora un viaggio pericoloso e difficile, in cui aveva perso la vita suo fratello maggiore. Ora quel viaggio mortale è toccato anche a lui, come una nemesi per non si sa quali colpe. Osman è arrivato in Italia dalla Libia una ventina di giorni fa, imbarcato a forza da qualcuno che voleva liberarsi della sua famiglia e spedirlo, come una «bomba biologica» dall'altra parte della costa. Osman non era solo all'inizio di questa drammatica avventura: aveva vicino il padre, che però è «scomparso» nel viaggio, mentre la madre è stata trattenuta in Libia, chissà dove. 
Quando gli si chiede la sua storia, ti dice che la tragica fine del padre non è stata causata dalle condizioni del viaggio, come per molti altri, bensì dal fatto che lo scafista lo abbia gettato in mare come esempio per gli altri «passeggeri». «Ma è un buon nuotatore si salverà», dice abbassando gli occhi. Al suo arrivo, dopo tre giorni di mare, stipato con altre 400 persone su un barcone fatiscente, è stato tratto a riva dalle Guardia costiera. Si ricorda che lo scafista ha gettato il navigatore satellitare in mare appena le motovedette li hanno avvistati, forse per non far capire da chi venivano le direttive per il viaggio. Dopo un sommario controllo sanitario sulla banchina è stato trasferito alla base di contrada Imbriacola, dove è stato identificato e poi trasferito alla ex base Loran, in questo posto circondato da filo spinato e guardato giorno e notte da personale di polizia o dell'esercito, che ha l'ordine di fare entrare solo le organizzazioni umanitarie preposte all'assistenza. Dopo l'identificazione e il trasferimento è partita la trafila umanitaria; i volontari delle organizzazioni non governative, o delle Nazioni Unite, lo hanno avvicinato ed hanno faticosamente conquistato la sua fiducia. 
Non è facile far capire ai ragazzi la differenza tra i ruoli ma, soprattutto, non è facile fargli capire che qualcuno stia ancora dalla loro parte. Dopo questo primo approccio, che è durato diversi giorni, superato il primo shock, Osman è stato informato dei suoi diritti, e sostenuto nelle scelte difficili che deve fare: vuole chiedere lo status di rifugiato politico? Sa cosa significa? È in grado di scrivere della sua condizione denunciando puntualmente le minacce alla sua vita? Sa che così facendo non potrà tornare in Libia? O vorrebbe tornare in Eritrea, dalla quale però la sua famiglia è fuggita ma lui non sa il perché? Oppure vuole semplicemente ritrovare qualche parente in Europa al quale chiedere l'affido? Sa che come minore straniero non accompagnato ha diritto a essere assistito ed a non essere rimpatriato? Ma sapere tutto questo non basta ad Osman; lui ha anche delle domande, e timidamente le pone: perché sono rinchiuso qui? Perché non posso uscire, ho commesso qualche reato? Cosa mi è successo? Perché ad un certo punto una pioggia di missili si sono abbattuti su Tripoli, perché ci hanno cacciato via? Se siete voi italiani che ci bombardate perché adesso non ci volete aiutare? Domande alle quali, in realtà, almeno parzialmente, vorrebbero poter rispondere centinaia di Comuni italiani, per disponibilità espressa formalmente anche dal Presidente dell'Anci, e che sarebbero disponibili ad attivare le loro reti di assistenza in favore di questi minori non accompagnati. Ma sulla strada di questa solidarietà dovuta, c'è un grosso problema: i fondi stanziati sono assicurati solo per quest'anno, e poi? E ancora, nell'immediato dell'emergenza sbarchi: solo pochissimi operatori hanno il diritto di assistere i minori, e dunque i tempi si allungano a dismisura e le loro domande restano inevase, spesso inascoltate, mettendo i ragazzi in uno stato di profonda frustrazione e di vera e propria deprivazione sensoriale, che li porta ad episodi di autolesionismo, di tentato suicidio, pur di «evadere» in qualche modo da queste prigioni senza nome, costretti come sono a fissare l'azzurro accecante del mare ed il dardeggiante del sole meridiano nel cielo, soli con i loro ricordi, senza poter uscire e reclusi senza aver commesso alcun reato. Raffaele K. Salinari(Presidente Terre des Hommes)

La storia di Oman, tredicenne eritreo ora a Lampedusa

Osman, nome fittizio, ha tredici anni ed è uno dei centinaia di minori stranieri non accompagnati che vengono «ospitati» nella ex base Lora...
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