Il documento ministeriale di indirizzo, per provare a superare l’emergenza Nord Africa non convince. E intanto il 31 dicembre si avvicina.
Vengono dal Ghana, dal Mali, Sudan, Nigeria, Costa d’Avorio, Etiopia, Ciad, Burkina Faso, Pakistan, Bangladesh e Somalia. Sono tutti fuggiti “a forza” dalla Libia. Sono uomini e donne e minori sbarcati tra la primavera e l’estate dello scorso anno a Lampedusa e ancora molti di loro aspettano di vedere riconosciuto il loro status di rifugiati. Vivono nel timore di essere ricacciati indietro verso le violenze da cui sono scappati. Sono poco più di ventimila i profughi giunti l’anno scorso in Italia che hanno fatto domanda di protezione internazionale e che sono stati accolti all’interno del piano della cosiddetta emergenza Nord Africa.
Sono scappati dal loro Paese dopo essere stati feriti con pistole, coltelli, bastoni o cocci di bottiglia. Hanno visto violentare le loro donne e uccidere i loro parenti. Hanno perso casa, lavoro, amicizie e affetti in pochi minuti. Sono stati inseguiti e imprigionati. Sono stati torturati, minacciati e insultati in ogni modo. Per questioni etniche, religiose, sociali e famigliari. Sono sopravvissuti a tutto. Al dolore, alle perdite, al distacco. Sono scappati con ogni mezzo: a piedi o nascosti su camion. Hanno attraversato mari e deserti. Sono partiti in 100 ed arrivati in 10. E poi di nuovo braccati, imprigionati e picchiati, anche in Libia che i neri non li ha mai voluti, caricati a forza su barche di fortuna. Incastrati l’uno sull’altro, a centinaia. Notti e giorni sul mare, nel buio, nel freddo, senza cibo né acqua. Loro e nostro malgrado verso l’Italia. Sono questi i profughi dell’emergenza nord Africa.
Molti di loro sono già stati intervistati dalla Commissione Territoriale competente per il riconoscimento dello status di rifugiato e quasi tutti hanno ricevuto dalla Commissione un rifiuto secondo le indicazioni neppure velate del nostro Governo, spaventato per i numeri, elevati per i nostri standard (ma non già per quelli tedesco e francese abituati a cifre ben più consistenti), di approdi nel nostro Paese di richiedenti asilo. Gli sbarchi poi sono quasi cessati ma questo non ha impedito che all’urlo “emergenza” corrispondesse una politica di sostanziale rifiuto dei profughi.
Nei grandi numeri è facile perdere di vista i diritti e lo status giuridico dei singoli. Migliore fortuna avrebbero potuto avere quegli stessi profughi se fossero arrivati in Italia “spalmati” in un periodo di tempo più lungo, in due anni piuttosto che in 6 mesi e magari non in piena crisi economica. Ma i profughi per definizione raramente hanno fortuna. E riuscire a “superare” l’intervista in Commissione è stata per molti di loro una prova impossibile e fallimentare e lo stesso dicasi per l’interrogatorio davanti al giudice in sede di ricorso avverso il rifiuto.
Non è mai semplice raccontare a degli estranei, in pochi minuti tutto il peggio della vita, le torture, la prigionia, gli abusi, i lutti, le umiliazioni, il terrore, la vergogna. E magari mostrare cicatrici che vorresti cancellare. Sono costretti a raccontare l’indicibile e a ricordare ciò che nessuno vorrebbe aver vissuto né vorrebbe ascoltare. Spesso vengono accusati di essere vaghi, imprecisi. Di raccontare storie inverosimili. E’ solo un problema di incomprensione: è difficile accettare che si possa essere incarcerati, torturati, minacciati o si possa assistere all’uccisione dei propri cari, per aver rifiutato un matrimonio imposto, o per una lite per la spartizione di un’eredità o la successione al trono di un villaggio di poche anime, o per non aver pagato un debito, o essersi rifiutati di compiere riti tribali o infibulazioni o magari solo per essere figli di un esponente politico o religioso. Né si riesce a credere che sia possibile sopravvivere a tutta questa sofferenza. E se non si è un grado di comprendere, si rifiuta. E loro, i profughi, vengono sistematicamente rifiutati: dalla nostra politica miope e in qualche modo criminale, dalla Commissione o dai giudici che liquidano come inverosimili storie tragicamente vere ma insopportabili.
E’ per questo che da circa un anno si lavora per raccogliere firme per una petizione affinché il Governo disponga il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in favore dei profughi sbarcati sulle nostre coste durante la cosiddetta primavera araba. Ora, a meno di tre mesi dalla scadenza dell’emergenza nord Africa, si vocifera su una delibera del Governo che prevederebbe il rilascio di permessi umanitari o per protezione sociale per i profughi “rifiutati” o che ancora devono essere ascoltati dalla Commissione.
Ma per ora sono solo voci: quello che è sicuro invece è che lo scorso 26 settembre è stato approvato dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni un documento di indirizzo per il superamento dell’emergenza Nord Africa. Di che cosa si tratti in realtà, anche dopo un’attenta lettura, è cosa poco chiara. Più che un documento programmatico sembra una tardiva dichiarazione di intenti.
La scadenza dell’emergenza di fatto consiste nella cessazione dell’accoglienza dei profughi che, senza documenti o con la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato ancora in itinere (magari in fase giudiziale), rischiano concretamente di trovarsi il allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre letteralmente in mezzo ad una strada. Ad ingrossare le fila dei senza fissa dimora o dei trattenuti nei Cie.
L’Acnur come il Cir ed il Centro Astalli dopo aver letto il documento hanno espresso la loro preoccupazione perché da una parte il piano contenuto nel documento andava adottato già da un anno e non in prossimità dello scadere del termine del 31 dicembre, d’altra parte il documento non fornisce comunque concrete indicazioni sulle misure da adottare per i richiedenti asilo che non hanno ricevuto una forma di protezione dalle Commissioni Territoriali o dai Tribunali.
Nel documento ci sono alcuni aspetti positivi, quali l’ampliamento della capacità ricettiva del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar), il rafforzamento del ruolo delle Regioni e del ministero del Lavoro e le proposte relative alla protezione dei minori stranieri non accompagnati, la previsione di un costituendo tavolo nazionale di coordinamento e la delineazione, per quanto fumosa, di metodologie per tentare di superare la fase emergenziale con una successiva basata principalmente sull’inserimento socio-lavorativo dei migranti. Ma il problema per ora resta lo stesso: come possiamo rassicurare le migliaia di profughi che non sanno dove dormiranno tra due mesi né se avranno ancora diritto ad esistere nel nostro Paese?
Sarebbe sano, anche per evitare che queste legittime preoccupazioni sfocino in rabbia, dare una concreta risposta e vera e doverosa accoglienza alle civili richieste futuro di queste persone.
Alessandra Ballerini - Corriere Immigrazione