Minori non accompagnati, una task force al lavoro

La buona volontà non basta”, è la frase del momento per chiunque ha a che fare con minori stranieri che arrivano nel nostro paese non accompagnati.
Associazioni, enti locali, persino al ministero si rendono conto che è urgente trovare la quadra per far sì che si esca al più presto da una situazione “che fa acqua da tutte la parti”, come sottolinea Raffaela Milano, responsabile Italia-Europa di Save the children Italia, l’associazione che, in coordinamento con Unhcr (l’Agenzia Onu per i rifugiati), Croce rossa italiana e Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, presidia le coste italiane ove avvengono gli sbarchi e cerca di assicurare a ogni minore i servizi necessari una volta arrivato nel nostro paese. Il sistema attuale di accoglienza fa acqua “perché l’inserimento in comunità d’accoglienza non avviene, i mediatori scarseggiano, e la maggior parte delle volte i giovani migranti vengono ammassati in strutture” dove, appunto, non basta la buona volontà degli operatori coinvolti.
I problemi, oggi più che mai, sono due: i numeri degli arrivi e i soldi che non ci sono. I numeri, esplosivi: al 16 giugno (fonte ministeriale) erano 7.154 i minori presenti sul territorio nazionale, oltre ad altri 2.050 considerati “irreperibili” perché hanno fatto perdere le loro tracce, presumibilmente già arrivati all’estero, la meta della maggior parte di essi. Di questi, almeno 6mila, secondo i dati raccolti da Save the children, sono arrivati dall’inizio del 2014, in maggioranza da Eritrea, Somalia ed Egitto. Dei presenti nelle strutture, il 92 per cento sono maschi e l’età media è 16 anni, ma l’aspetto impressionante è l’attuale collocazione: il 46 per cento di loro è in luoghi d’accoglienza in Sicilia, mentre la media delle altre regioni si aggira su un misero 3 per cento. Perché?
Mancano i fondi per l’ingente retta giornaliera (che va da 50 a 110 euro al giorno a seconda del luogo e dei servizi, essendo in minori stranieri equiparati a quelli italiani) che i Comuni, a cui compete la presa in carico secondo la legge vigente, dovrebbero versare agli enti gestori delle strutture. Nemmeno l’aiuto dello Stato, che nel 2013 è salito a 25 milioni di euro (circa 20 euro giornaliere a testa), riesce oggi a essere incisivo. “Nessuno si assume le responsabilità, e i minori rimangono nelle strutture di prima o seconda accoglienza, con disagio per sé stessi e per le comunità locali”, sottolinea Milano.

La via d’uscita da quella che è una vera emergenza (ma gestita in regime di normalità) si sta cercando sul tavolo che vede riuniti da mesi Anci e Conferenza Stato-Regioni: incremento del fondo nazionale, adeguamento al ribasso dello standard delle rette d’accoglienza in un’ottica meno assistenziale e più di ‘scambio’ con i soggetti coinvolti, strutture più snelle come mini appartamenti con meno servizi rispetto alle comunità, e Regioni che armonizzino le normative in vigore, oggi molto diverse tra loro. Con le associazioni che a loro volta, supportate da vari parlamentari, hanno presentato un ddl (disegno di legge che è al vaglio della Commissione competente) che chiede un maggiore e diverso impegno sulla questione, a partire dal potenziamento dell’affido familiare e della nomina di tutori volontari per i minori. Le strade, tutto sommato, sembrano convergere verso soluzioni condivise. “Bisogna trovare un equilibrio tra spesa ed efficacia dei servizi”, è il leit motiv che anche in questo caso accomuna ministero, enti locali e Terzo settore. Magari guardando ai paesi d’Europa dove l’accoglienza funziona: in Olanda, lo Stato paga al minore straniero trovato sul proprio suolo il viaggio verso il centro di identificazioni più vicino (l’andarci è una sua decisione). In Italia viene scortato da almeno due poliziotti, con relativi costi. Chi sbaglia? Vita.it Daniele Biella
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