«La quota più consistente è formata da 16-17enni, ma arrivano sempre più spesso ragazzini di 14 anni, 13 anni e anche più piccoli» sottolinea Ganda Cascio, psicologa e coordinatrice di una delle équipe dell’ong "Terre des Hommes" attive in Sicilia. Un’emergenza nell’emergenza, perché nel 2016 il numero dei minori non accompagnati ha registrato una crescita impressionante. In base alle stime di Save the Children dal 1° gennaio al 31 agosto 2016 sono sbarcati in Italia 15.300 minori soli. Nel 2015, il conteggio si era fermato a quota 12.300. Vengono soprattutto dal Gambia (circa 1.900 in base ai dati del ministero dell’Interno, aggiornati al 31 luglio), Eritrea (1.800 minori), Egitto (1.795), Nigeria, Guinea, Somalia e Costa d’Avorio. Si mettono in viaggio per le ragioni più diverse.
I somali fuggono da un Paese ancora segnato da una lunga guerra civile, gli eritrei e i gambiani vogliono lasciarsi alle spalle feroci dittature. C’è poi chi fugge dalla povertà e si mette in viaggio alla ricerca di un futuro migliore, talvolta con il sostegno dei familiari come avviene per molti minori egiziani. «Ma c’è un filo conduttore che accomuna le storie di questi ragazzi: le violenze che hanno subito in Libia, lo choc per aver assistito impotenti alla morte di un amico, di un compagno di viaggio – spiega Giovanna di Benedetto –. L’attraversamento del Mediterraneo è un altro elemento traumatico: molti non sanno nuotare e sono costretti a viaggiare su imbarcazioni fatiscenti, stipati all’inverosimile».
Esperienze che lasciano segni profondi. Cicatrici sul corpo e nell’anima. «Molti soffrono di incubi, disturbi del sonno, rivivono le esperienze traumatiche che hanno vissuto», spiega Ganda Cascio. Proprio per dare una risposta a queste situazioni, gli operatori di "Terre des Hommes" offrono supporto psicologico ai minori ospiti in diversi centri di accoglienza tra le province di Siracusa e Catania. «Ci sono poi casi di minori che soffrono di ansia o depressione a cause delle lunghe permanenze nei centri di accoglienza e dell’incertezza sul proprio futuro», aggiunge. Proprio questa incertezza spinge migliaia di minori a lasciare i centri di accoglienza: chi rimane per mesi in un limbo senza fare nulla, senza corsi di italiano né progetti di integrazione, talvolta decide di rimettersi in viaggio.
Diversa la situazione per eritrei, somali ed etiopi, che vedono l’Italia come una tappa di passaggio verso il Nord Europa dove sperano di riabbracciare i propri familiari. Avrebbero la possibilità di ottenere il ricongiungimento per via legale, ma i tempi lunghi li scoraggiano. «Oggi, per ricongiungere un minore con i suoi parenti in un altro Paese europeo serve circa un anno. Inoltre, la normativa europea non permette il ricongiungimento con i familiari oltre il secondo grado, come gli zii o i cugini», spiega Manuela De Marco, dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana.
Una norma sicuramente pensata per tutelare il minore, ma che mal si adatta a quei contesti di "famiglia allargata" così diffusi in molte culture. E così migliaia di ragazzini e di adolescenti si rimettono in viaggio. Tramite le reti di connazionali si dirigono a Nord oppure tornano ad affidarsi ai trafficanti. Una situazione che espone questi ragazzini a ulteriori rischi di sfruttamento da parte di organizzazioni senza scrupoli.
Fonte: Avvenire.it
Autore: Ilaria Sesana
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