Pubblicati i risultati del progetto internazionale “Protecting Children on the Move” che a Roma, Patrasso e Calais, fra 2011 e 2012, ha offerto una prima accoglienza a 1.094 “minori non accompagnati” in viaggio verso il Regno Unito, la Germania e il Nord Europa. Ma solo 37 hanno accettato di entrare nei servizi istituzionali di protezione, per tutta una serie di motivi…
Arrivano fortunosamente in Grecia, in Italia, in Francia. Vogliono raggiungere il prima possibile i familiari in Inghilterra, in Germania o nel Nord Europa. Sono influenzati dai familiari, dalle reti di trafficanti e da informazioni più o meno superficiali, ma cercano un futuro migliore e più sicuro, formazione, lavoro. E hanno fretta di lasciare i nostri Paesi anche per la debolezza, le lungaggini (e a volte le vere e proprie insidie: vedi il sistema “Dublino II”) dei nostri sistemi d’accoglienza e d’asilo e delle procedure di ricongiungimento familiare. Sono i minori “non accompagnati in transito” a cui si è rivolto il progetto internazionale “Protecting Children on the Move”, i cui risultati sono stati pubblicati in queste settimane.
Patrasso, Roma, Calais: trovarli è facile
Finanziato dal Fer, il progetto è stato condotto dall’Unhcr in collaborazione con Save the Children Italia e il nostro ministero dell’Interno, con l’Ong greca Praxis e il ministero ellenico della Salute e della sicurezza sociale e con l’Ong francese France terre d’asile. L’obiettivo: raccogliere dati quantitativi e qualitativi, in concreti interventi e servizi di drop-in, prima accoglienza, ascolto ecounselling, su un fenomeno sino ad oggi poco studiato a livello europeo, e per il quale, soprattutto, mancano ancora risposte specializzate.
Fra agosto 2011 e maggio 2012 gli operatori degli organismi partner hanno assistito in drop-in fissi o mobili 1.094 minori non accompagnati in transito negli snodi chiave di Patrasso (407 ragazzi), Roma (520) e Calais (167) e ne hanno contattati 1.083 inoutreach. A livello di indagine il progetto si è concentrato sui minori afghani (la nazionalità più numerosa fra i beneficiari): quasi tutti maschi (appena tre le ragazze) hanno tra i 15 e i 17 anni, benché gli operatori abbiano incontrato anche bambini di nove.
Prima o poi se ne vanno
La maggioranza dei ragazzi incontrati a Calais e Patrasso hanno potuto usufruire dei servizi offerti fino a cinque mesi dal giorno di primo contatto. A Roma invece i ragazzi non sembrano fermarsi più di due settimane, forse perché in Italia – come sottolinea il rapporto finale del progetto – «è relativamente facile organizzare il proseguimento del viaggio».
Con onestà e trasparenza il rapporto ammette che in tutti e tre i Paesi partner il progetto “Protecting children on the move” ha avuto «un impatto limitato sulla protezione a lungo termine dei minori non accompagnati in transito, sia per quanto riguarda il numero di minori entrati nei programmi nazionali di protezione e assistenza sia per quanto riguarda il convincimento a non proseguire il loro rischioso viaggio». Infatti appena 37 minori (poco più del 3% dei 1.094 assistiti dal progetto) hanno accettato l’invio ai servizi di protezione istituzionali (16 in Grecia, 7 in Italia grecia e 14 in Francia).
“Perché non riusciamo a tenerli”
Fra le cause di questa dispersione, il rapporto del progetto cita in primo luogo le pressioni delle famiglie e dei trafficanti perché i ragazzi portino a termine i loro “progetti migratori” e le pressioni dei connazionali che in Italia, in Francia e in Grecia hanno già avuto esperienze negative.
Ma soprattutto elenca:
1) in tutti e tre i Paesi i meccanismi di protezione-integrazione, più legati all’età dei minori che al loro status, li penalizzano una volta che hanno compiuto i 18 anni;
2) i servizi d’accoglienza sono poco capaci di “ascoltare” le esigenze di questo tipo di “utenti”;
3) nelle procedure per accedere ai servizi istituzionali, i ragazzi hanno paura a farsi registrare e a lasciare le impronte digitali: preferiscono un soggiorno da homeless perché temono di finire nelle maglie del regolamento “Dublino II” e di essere reinviati in Grecia, Francia e Italia una volta raggiunto il Nord Europa. In effetti, denuncia il rapporto Protecting Children on the Move, «secondo informazioni raccolte da partner e controparti nei Paesi europei ma anche da casi personali incontrati durante il progetto, i minori possono essere fatti tornare nei Paesi attraversati in precedenza a norma dell’art. 6 del regolamento. Le ragioni non sono sempre chiare e possono essere a discrezione del singolo Paese membro, indipendentemente dal miglior interesse del minore. Può trattarsi dell’identificazione e dalla rilevazione delle impronte digitali come adulto in un altro Paese membro, nonostante il riconoscimento come minore nel Paese d’arrivo, come può trattarsi di una previa domanda d’asilo presentata nel “Paese competente” da un minore riconosciuto come tale in entrambi i Paesi»…;
4) i limiti legali per il ricongiungimento familiare nei Paesi membri dell’Ue: la maggior parte dei ragazzi desidera raggiungere fratelli maggiori, zii o cugini, figure che non sono contemplate dal “Dublino II”, dalla direttiva sul Ricongiungimento familiare e da gran parte degli ordinamenti nazionali;
5) infine, le lungaggini delle stesse pratiche di ricongiungimento.
Se la riforma è nel cassetto dal 2008…
Il rapporto Protecting Children on the Move presenta varie storie di ragazzi incontrati durante il progetto. Offre in appendice alcuni esempi di materiali informativi “child-friendly” realizzati in Francia, Italia e Grecia. E si conclude con alcune dettagliate raccomandazioni. In una di queste si prende positivamente atto della proposta di revisione dell’art. 6 del “Dublino II” contenuta in una “proposta di rifusione” del regolamento presentata dalla Commissione europea, ma ad oggi non ancora approvata. Il documento risale ormai al 2008…
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