Da minori ospitati nei centri a clandestini nei CIE. Due di loro, nonostante la minore età certificata più volte, sono finiti a Ponte Galeria. Mentre il Comune di Roma aumenta le visite per "stanare" i falsi minorenni. Tutte da fare in un ospedale militare
“Non posso dormire, non posso mangiare, sono spaventato, ho paura”. Samir ha 17 anni e mezzo, viene da Dacca. Attorno a lui tanti coetanei dello stesso Paese. E’ arrivato qui in Italia in cerca di fortuna e ora si trova davanti a Montecitorio, cartello alla mano, a chiedere più garanzie per il suo futuro perché nel centro ai minori stranieri non accompagnati dove vive non riesce più a prendere sonno. Due suoi amici si trovano ora al CIE di Ponte Galeria, nonostante la loro minore età certificata da altre visite mediche. Ci sono finiti tramite disposizione di giudice cautelare. Samir ha paura di finire come loro, di non studiare più l’italiano, di non poter più aiutare la famiglia in Bangladesh.
NOI COME VOI - “Gli illegali siete voi fate soldi su di noi” e “Papa Francesco anche noi siamo figli di Dio” sono solo alcuni dei cartelli che sovrastano la piazza. I giovani presenti oggi saranno almeno un centinaio. Tutti migranti bangladeshi affidati ai centri di accoglienza della capitale. “Il Comune di Roma – spiega l’avvocato Salvatore Fachile dell’Asgi – dopo qualche settimana ha ricominciato un giro di ulteriori visite ai ragazzi ospitati nei centri e già certificati come minorenni”. La decisione di Roma Capitale è partita per contrastare il business dei falsi minori a danni del Comune. Solo che nel turbinio dei controlli finiscono anche loro. Per un fortuito caso del destino si trovano nel posto e momento sbagliati: Italia e ad un passo dalla maggiore età. “Sono ragazzi – continua l’avvocato – che adesso secondo il Comune devono sostenere una seconda visita, presso un ospedale militare, con il rischio fortissimo di esser considerati come maggiorenni. Gli accertamenti sull’età possono esser letti in modo differente: un ragazzo di 17 anni e mezzo rischia di diventare uno di 18 anni e tre mesi”. Il tutto dopo periodi trascorsi in centri più familiari e misura di “piccoli”: ”Questi giovani – spiega Fachile – che sono arrivati quasi alla fine di un percorso di inserimento sociale a spese dello Stato, ora, vicini al loro traguardo, rischiano di trasformarsi in soggetti irregolari, da CIE”. Da ospiti dello Stato ritornano in centri di prima accoglienza nuovamente a spese dello Stato stesso: “Siamo in pratica davanti ad una prassi che in parte è legittima ma dall’altra è economicamente disastrosa”.
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LA MOLLA – Erano in tre. Uno di loro è scappato prima che lo “prendessero”. Ora è clandestino e vaga chissà dove in Italia. E’ la storia emblema di questa protesta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Obyad e Shopon, sono ragazzini prelevati per la seconda volta dal Centro di accoglienza per minori non accompagnati “San Michele” di Roma e portati al Cie di Ponte Galeria, a seguito delle visite mediche fatte presso l’Ospedale militare del Celio e disposte dal Comune di Roma. Fachile ci racconta la storia: “Ad un certo punto questi ragazzi vengono chiamati per fare una seconda visita presso l’ospedale militare. Secondo questa struttura risultano maggiorenni, vengono denunciati per truffa ai danni dello Stato e portati presso il CIE di Ponte Galeria. Quando arrivano al centro (circa un mese fa) i poliziotti vedendoli così giovani optano per una ulteriore visita. Il controllo viene fatto presso una ulteriore struttura pubblica dove Obyad e Shopon risultano di nuovo minorenni. La notte stessa vengono rilasciati e riportati nelle case d’accoglienza”. L’odissea però non finisce qui. “Dopo di ché – spiega – il Comune di Roma si rivolge al giudice tutelare. Quest’ultimo stabilisce che, anche davanti a queste visite, il controllo effettuato all’ospedale militare è l’unico che conta”. Da lì in poi per i quasi maggiorenni sarà l’inferno: “Quindi – continua l’avvocato – dopo questo decreto la polizia preleva di nuovo i minori e li riporta di nuovo al Cie. Ora i ragazzi si trovano là. Piangono e basta. Sono traumatizzati. Avrebbero avuto il permesso di soggiorno a breve”. L’associazione Yo Migro è rimasta in contatto con loro per accertarsi sulle condizioni. Una chiamata registrata e diffusa in rete dimostra il fragile equilibrio psicologico in cui sono costretti a vivere da giorni i due ragazzi. Alla cornetta uno di loro scoppia in lacrime: “Voglio tornare a San Michele, voglio tornare a scuola”.
Ascolta la chiamata diffusa in rete:
NON LASCIARLI SOLI – Gli attivisti lavorano a stretto contatto con giovani migranti. Al centro sociale Strike di Roma hanno creato per loro una scuola di italiano, uno sportello di consulenza amministrativa e legale ed un centro di orientamento sanitario. Ma al di là dell’aiuto fornito dalle associazioni il rischio di tornare ad esser fuorilegge è alto. “Stiamo parlando di 1800 persone. Con questi metodi – spiega Fachile – si sta creando un esercito nuovo di persone irregolari, vicine ad ottenere un permesso di soggiorno e prossime ad entrare nel circuito lavorativo”. Intanto l’associazione denuncia che lo stesso giudice tutelare “ha disposto la sospensione o la revoca di tutte le tutele per minore età, gettando nella paura gli oltre mille ragazzi accolti nei centri”. Si tratta, come rileva l’ASGI, di un decreto “che espressamente si rivolge ai minori di origine bengalese e stabilisce che dovranno considerarsi maggiorenni tutti i ragazzi che si rifiutano di sottoporsi a una seconda visita di accertamento dell’età”. Non solo, essendo minori, in questi casi, non hanno un normale avvocato d’ufficio alle spalle per potersi difendere. “La lista dei centri per minori – aggiunge l’associazione – non è ancora ben chiara. Non riusciamo a reperire un elenco ufficiale di tutte le strutture che ospitano i ragazzi”. Gran parte degli attivisti sono stati aiutati dai giovani stessi o da qualche operatore dei centri stessi. Finora le strutture individuate da Yo Migro e che effettuano accoglienza per minori stranieri sarebbero quindici. Spesso in periferia, isolate e fuori dal grande raccordo anulare.
guarda il video: http://www.youtube.com/watch?v=TQajuZ-pzM8
QUANDO HO VISTO ITALIA – “L’Italia è bella davvero. Prima non c’era questo problema. Ho già preso documenti, ho iniziato a studiare italiano. Il Comune ora sta controllando ulteriormente ed è per questo che ho paura”. Samir ricorda i mesi che ha vissuto prima di arrivare qui: “Abbiamo girato dai tre ai cinque paesi. Non ho potuto dormire bene, le persone che si preoccupavano del nostro “viaggio” non ci davano nemmeno l’acqua. Quando ho visto la tua terra ho pensato ‘Sono tranquillo’. Ho passato i controlli in questura e all’ospedale. Mi hanno dato il certificato che prova la mia minore età. Nel centro sto bene ma il Comune facendo così… E’ davvero tutto così triste”. Il giovane sta qui da solo, non ha nessun parente nel Paese: “La mia famiglia dipende da me. Senza documenti non posso fare niente. A volte sento mio padre e mia madre al telefono: piangono sempre. Da me si vive male, con 37 dollari al mese, come si fa a mantenere una famiglia così? Ho pensato se vengo qui posso aiutarli davvero. Servono i documenti? Li ho. Volete che lavori? Lavoro”. Nella sua città si fabbricano le stesse magliette che vengono vendute qui a caro prezzo. La tragedia del Rana Plaza echeggia ancora nelle loro teste. Nella tasca di Samir c’è un cellulare. Si tiene in contatto con i ragazzi delle altre strutture in questi giorni febbrili. Racconta che è dimagrito. “Cinque chili” sorride. Stanotte deve cercare di prendere sonno. Non succedeva più da tempo. Da quando cercava di raggiungere l’Italia.
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