Si chiamava Moustapha Anaki, era marocchino e aveva 31 anni. È morto in circostanze ancora non chiarite mentre era trattenuto nel Centro di identificazione e di espulsione "Sant'Anna" di Isola Capo Rizzuto, vicino a Crotone. Ufficialmente il decesso è stato causato da un non meglio specificato "malore". L'uomo era recluso nel Cie da circa un mese perché immigrato irregolare in attesa del rimpatrio ed era stato trasferito nel centro calabrese dopo avere scontato una pena nel carcere di Salerno. Si trovava in Italia da sette anni sempre senza permesso di soggiorno, condizione che non costituisce reato, ma solo illecito amministrativo.
La notizia è trapelata dai familiari che vivono a Roma e in parte in Calabria.
Dopo la morte dell'uomo, avvenuta il 10 agosto, nel Cie è scoppiata una violenta protesta che ha portato, secondo quanto riferisce la prefettura, alla totale inagibilità del centro fino alla chiusura intorno a ferragosto.
Il Centro è stato così svuotato da tutti i trattenuti che avevano condiviso la detenzione amministrativa con Anaki. I reclusi, che il ministero dell'Interno chiama "ospiti", sono stati sparpagliati in vari altri centri di detenzione amministrativa italiani.
"È un caso abbastanza singolare quello che è successo" spiegano dalla prefettura di Crotone, dove confermano che il 12 agosto c'è stata una rivolta, "a seguito della morte di un ospite per un malore". Questa la versione ufficiale comunicata in Prefettura sia dalla questura, sia dall'ente gestore, le Misericordie di Isola Capo Rizzuto, fondate da don Edoardo Scordio. Le Misericordie hanno vinto l'appalto per la gestione dal 2012 al 2015 e sono responsabili anche dell'assistenza sanitaria all'interno.
Il funzionario della prefettura incaricato di occuparsi del Centro era in ferie e afferma di avere notizie solo frammentarie, in attesa di comunicazioni sugli esiti dell'autopsia.
Dalla prefettura di Crotone fanno sapere anche il Cie è chiuso "temporaneamente", ma "a tempo indeterminato", a causa dei danni particolarmente ingenti. La struttura, secondo quanto si apprende, è andata completamente distrutta ed è stata anche incendiata dai trattenuti.
La causa della chiusura improvvisa del centro, sarebbe quindi la rivolta e non la morte di uno degli internati.
Il Cie, la prigione amministrativa, era stato aperto nel 2009, poi chiuso nel 2010 dopo un'altra rivolta e riaperto solo nel 2012, appena ristrutturato.
Il centro sorge all'interno di un'ex area militare che comprende anche il Cara, il centro di accoglienza per richiedenti asilo, dove in questo momento sono ospitate 1700 persone, il doppio della capienza massima, in seguito ai trasferimenti da Lampedusa e da Reggio Calabria. Sempre secondo la prefettura, i migranti nel Cara sono "in sistemazione temporanea", in attesa di ulteriore trasferimento. Anche questo centro è gestito da quindici anni dalle Misericordie e sarà visitato mercoledì 21 dalla ministra dell'Integrazione Cecile Kyenge Kashetu.
I Cie restano strutture difficilmente accessibili per la stampa. Abbiamo fatto richiesta alla prefettura di Crotone a febbraio scorso per poter entrare e verificare di persona le condizioni di trattenimento, ma non è stato possibile "per motivi di ordine pubblico". Abbiamo rinnovato la richiesta per il Cie e per il Cara un mese fa, ma siamo ancora in attesa di risposta.
Il Cie di Crotone è stato gestito con il budget più basso d'Italia, di soli 21,4 euro a persona, secondo quanto riferisce l'indagine "Arcipelago Cie" dell'associazione Medici per i diritti umani.
Un'ispezione diretta effettuata dal tribunale di Crotone alla fine dello scorso anno, ha rilevato "che gli immigrati sono stati trattenuti nel Cie in strutture al limite della decenza", e ancora "costretti a dormire su materassi luridi privi di lenzuola con coperte altrettanto sporche", "con lavabi e bagni alla turca luridi, asciugamani altrettanto sporchi" e "costretti a mangiare senza sedie né tavoli in quantità insufficienti". Per questo, a dicembre 2012 il giudice Edoardo D'Ambrosio ha assolto tre immigrati dall'accusa di avere danneggiato il Cie nel corso di una rivolta, affermando che hanno agito per legittima difesa. Secondo la sentenza, il loro trattenimento era illegittimo e "gli imputati non avevano altro strumento per difendere i loro diritti che quelli in concreto impiegati".
Repubblica - Raffaella Cosentino