Il destino dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia, solitamente, è la comunità. Ma ci sono anche positive esperienze di affido in famiglie immigrate, con alle spalle lo stesso percorso. Una scommessa iniziata a Parma...
La marcia in più dell’affido omoculturale sta nella famiglia accogliente, a sua volta migrante, con la stessa cultura del minore straniero: non c’è la barriera linguistica, è più facile decodificare i bisogni e i comportamenti dei ragazzi e pure mantenere i rapporti con i genitori, la famiglia che ha già affrontato il percorso migratorio diventa un modello di percorso positivo, sa quando è il caso di premere sull’accelaratore dell’integrazione e quando porre un freno all’assimilazione, garantisce l’inserimento nella comunità di riferimento, soprattutto con altri coetanei… A Parma il 2007 fu l’anno record, quando su 101 minori stranieri non accompagnati presenti in città, solo tre furono affidati a comunità educative. Oggi i numeri sono molto inferiori (15 affidi omoculturali nel 2011, 4 nel 2012), ma il calo – spiega Elisabetta Mora, responsabile della Struttura Operativa Risorse Territoriali del Comune di Parma, sotto cui sta il servizio Affidi Omoculturali - non mette in discussione la bontà del modello: «In questi anni circa 260 minori stranieri non accompagnati sono stati accolti con l’affido omoculturale, con 200 famiglie coinvolte. Molte hanno dato la loro disponibilità più volte, la cosa bella è che anche alcuni ex ragazzini in affido si sono poi offerti come affidatari. Quella dell’affido è sempre la prima strada che tentiamo». Albania, Marocco, Moldavia e Tunisia sono le nazionalità più presenti.
«Un punto di forza del modello è l’esempio di integrazione che viene offerto ai ragazzi, l’altro è la valorizzazione delle famiglie immigrate, che agli occhi della stessa cittadinanza sono ora un valore aggiunto». Il calo dei numeri del servizio è legato al fatto che sono in calo i MSNA: l’Italia ormai è più che altro luogo di passaggio per gli immigrati», spiega Mora. Ma c’è anche un secondo motivo: «I minori spesso arrivano all’interno di un percorso migratorio tracciato dalla famiglia, condiviso. Vengono qui “richiamati” da qualcuno che ha già fatto quell’identico percorso: possiamo responsabilizzarli ancora di più con la tutela diretta di quei giovani».Vita.it