Accogliere persone in arrivo da molte parti del mondo, dare ospitalità ad uomini scappati dalle guerre e a donne con i loro bimbi in fuga dalla paura. Per un paese come l’Italia e per una metropoli come Milano non è un’emergenza tra le tante, ma una realtà ormai quotidiana.
I flussi migratori provenienti da paesi sconvolti da sanguinosi conflitti, oppressi da intolleranti regimi, affamati da carestie o sfiniti da atavica povertà coinvolgono e coinvolgeranno in modo strutturale l’Europa e, di conseguenza, il nostro paese e la nostra città.
Questo è lo scenario del nostro presente e del nostro immediato futuro. Solo chi non vuol vedere non lo vede. Per questo è tempo che ci sia dia una mossa per quanto, è bene ricordarlo, nel Vecchio Continente giunge solo una minima parte dei profughi e degli sfollati causati dalle tante crisi internazionali.
A Milano il sogno dei baby migranti finisce per la strada. Infatti Milano non ha più mezzi per ospitarli. Punto di partenza: Egitto, Marocco, Siria ma anche Albania e Kosovo. Sono i “baby migranti”, maschi, tutti tra i 14 e i 17 anni, non accompagnati da genitori o tutori. Dopo viaggi estenuanti a bordo dei barconi e un peregrinare no-stop dal sud Italia, giungono all’ombra della Madonnina affamati, stanchi e senza soldi. I più fortunati si appoggiano ai connazionali già residenti in città. Ma moltissimi finiscono per strada, perché i posti nelle comunità che dovrebbero accoglierli non bastano.
Ieri, agli uffici del Pronto intervento Minori del Comune in via Dogana 2, si sono presentati 31 ragazzini. Cinque (tre egiziani, un marocchino e un siriano) hanno trovato ospitalità. Gli altri dovranno pazientare.
E nel frattempo? Si arrangiano dove capita. Anche per strada, nelle stazioni o ai giardini pubblici, col rischio di diventare preda di malviventi o di essere assoldati per lo spaccio di droga o piccoli furti. Ogni giorno il numero aumenta di 4, 5 unità. Da gennaio a oggi il Comune - che per legge è obbligato a prendere in carico tutti i minori non accompagnati - ha spalancato le porte a 426 stranieri under 18. L’anno scorso, in 571 avevano chiesto aiuto. E per il 2014 si prevede il raddoppio. Intanto la spesa grava sulle casse del Comune, che deve anticipare le risorse: l’accoglienza di ciascuno costa tra i 70 e i 90 euro al giorno. Lo Stato ha creato un Fondo per i Minori che ha avuto disponibilità diverse, 5 milioni nel 2012, 25 nel 2013 e 40 nel 2014. Ma Palazzo Marino ha sborsato 4,5 milioni nel 2013 e ne ha finora ricevuti 1,5.
E intanto l’ondata di baby migranti non si arresta: ogni giorno, “invitati” dalla questura o dalla Polfer dopo la necessaria identificazione, si presentano in via Dogana tra i 20 e i 30 ragazzini. Numeri altissimi.
Si procede con i casi più urgenti: priorità ai più piccoli e a chi non ha nessun parente. E c’è chi ritorna a bussare alla porta anche un mese di fila. «Per quanto ci riguarda — dichiara l’assessore comunale alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino — la responsabilità di quanto sta accadendo a Milano è del Governo che non ha pianificato la ripartizione su scala nazionale dei minori stranieri non accompagnati, verificando le reali possibilità di accoglienza delle singole città.
Chiediamo che sia attuato un piano e soprattutto di ottenere le risorse che finora abbiamo anticipato l’anno scorso e quest’anno».
Smettiamola di parlare di emergenza (e di affrontarne una dopo l’altra) e guardiamo in faccia la realtà. Non è più possibile, come è successo per mesi e mesi e purtroppo continua a succedere in questi primi giorni di settembre, assistere a Milano a un’affannosa ricerca all’ultimo minuto di luoghi per dare un letto e un pasto caldo ai nuovi migranti arrivati in città.
Si sa che arrivano, si sa che arriveranno, si sa che, se non cambia nulla, dopo i siriani sarà la volta degli iracheni. Si sa che occorrono posti con servizi adeguati che accolgano, ospitino, aiutino, curino, sbrighino pratiche burocratiche per persone che non possono essere lasciate a se stesse. Pena l’infiltrazione di organizzazioni o furbe o criminali, pronte a sfruttare disorganizzazione e assenza di un servizio adeguato e controllato per guadagnarci. Vogliamo continuare così?
Io rispondo di no.
*articolo tratto da il Giorno e lettera di Don Virginio Colmegna
LEONARDO CAVALIERE
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