10 luoghi comuni sull'immigrazione (da sfatare)

10 luoghi comuni sull'immigrazione (da sfatare)

Ci provano alcuni giornalisti che sul The Guardian analizzano alcuni luoghi comuni sull'immigrazione, e valutano quanto siano sensati in base a quello che succede nei loro Paesi d’origine

Luogo Comune 1

«Ci rubano i posti di lavoro». Risponde Le Monde
Uno studio del 2012 dice che gli immigrati rappresentano il 9% della popolazione attiva in Francia e contribuiscono per il 8,9% al mercato del lavoro. Fra loro c’è più disoccupazione rispetto che fra gli autoctoni (16,1% rispetto al 9,1%). Generalmente gli immigrati si occupano di settori meno qualificati, come l’edilizia, la ristorazione o l’agricoltura stagionale. Sono spesso lavoratori precari, hanno contratti a breve termine o part-time.





Luogo Comune 2

«Consumano i fondi per gli aiuti sociali». Risponde Le Monde
In Francia sono più gli immigrati che gli autoctoni a usufruire dei sussidi di disoccupazione: il 17,3% delle donne e il 16,3% degli uomini non hanno un lavoro, rispetto al 10% e al 9,7% della popolazione totale. Però uno studio del 2005 dall’economista Xavier Chojnicki rivela che, anche se gli immigrati ricevono più sostegni rispetto agli altri, contribuiscono in modo più significativo alle politiche sociali. Il differenziale si calcola sui pensionamenti. Gli immigrati sono molto più giovani (il 55% ha tra i 22 e 55 anni) e pagano di più, per tutto il tempo in cui percepiscono meno sussidi per l’infanzia e per la vecchiaia.

Luogo Comune 3
«Non si integrano». Risponde Marco Zatterin de La Stampa
Stare insieme è una questione di volontà, nel rispetto dei diritti e dei doveri degli altri. Secondo l’Ocse, in Ungheria e Regno Unito la partecipazione al voto degli immigrati di lungo periodo è superiore a quella degli autoctoni. L’integrazione dipende dall’economia, ma anche dalla disposizione ad accettare «lo straniero». La Commissione Ue stima che un candidato con un nome straniero deve presentare per un posto il doppio delle richieste di uno del posto. Lo stesso vale per la scuola.



Luogo Comune 4

«Arrivano illegalmente». Risponde Marco Zatterin de La Stampa
Dopo le primavere arabe, nel 2011, sono sbarcati in Europa 140 mila persone in fuga da catastrofi varie. Nel 2013 la Frontex, l’agenzia Ue per il controllo delle frontiere, ne ha contate 107 mila. Quest’anno il numero sarà maggiore, qualcuno dice «doppio». Sono clandestini perché non hanno documenti validi, ma solo una minima parte di loro arriva per ragioni economiche. È gente in fuga dalla guerra e della crisi politiche, da Siria, Egitto, Corno d’Africa, Libia, Mali, Nigeria. Sono richiedenti di asilo, rifugiati. Comunque, una quota ridotta del totale. Parecchio meno del 10% dei movimenti migratori che ogni anno anima il nostro continente.

Luogo Comune 5

«Dove c’è immigrazione, c’è criminalità». Risponde Isabel Pfaff del Süddeutsche Zeitung
Molte parole incorporano un pregiudizio: ghettizzazione, «no go area». Fanno sembrare che ci siano, nelle capitali europee, reti oscure di criminalità fra gli immigrati che la società non può combattere. Ma un sondaggio condotto dal criminologo tedesco Christian Walburg chiarisce che gli immigrati, in Germania, non sono più inclini a commettere reati rispetto agli autoctoni. La violenza e la criminalità hanno più a che fare con l'emarginazione sociale che con le origini.


Luogo Comune 6

«Annientano i nostri valori». Risponde Isabel Pfaff del Süddeutsche Zeitung
I valori non sono né statici né puri: non sono mai uguali per tutti, nella società, e sono in continuo cambiamento. Ancora nel 1970, una donna in Germania doveva ottenere il permesso del marito per avere un posto di lavoro. Inoltre, i valori sono diversi anche tra un sostenitore dei Verdi e un elettore del partito conservatore.







Luogo Comune 7

«Non imparano la nostra lingua». Risponde Alan Travis del Guardian
La stragrande maggioranza dei migranti che vive nel Regno Unito non ha bisogno di imparare l’inglese: lo parla già. Il censimento del 2011 dimostra che solo 138 mila dei 7,5 milioni di stranieri in Inghilterra e Galles non parlano inglese, eppure le lingue madri di 4 milioni di persone che vivono nel Regno Unito sono polacco, punjabi o urdu. Tuttavia, la maggior parte di queste persone parla perfettamente inglese. Quelli che non lo parlano appartengono, probabilmente, alla vecchia generazione di donne asiatiche che non hanno mai lavorato al di fuori della comunità.

Luogo Comune 8

«Se aprissimo le frontiere, saremmo invasi». Risponde Alan Travis del Guardian
I controlli all’immigrazione, per quanto severi, sono solo uno degli elementi che determinano gli spostamenti da un Paese all’altro. Nel caso di Romania e Bulgaria, probabilmente, chi voleva a trasferirsi l’aveva già fatto sette anni fa, quando l’Ue aveva iniziato ad aprire le frontiere. Nel Regno Unito una severa politica per l’immigrazione è servita per limitare l’afflusso di migranti extracomunitari, ma Londra deve ancora affrontare flussi migratori molto alti, con 243 mila persone l’anno, che arrivano soprattutto dall’Ue.


Luogo Comune 9

«Portano al collasso i servizi di base, come gli ospedali e le scuole». Risponde El País 
Non c’è nessuna ricerca che dimostri un legame tra immigrazione e abuso dei servizi sociali. Lo dice Sergio Carrera, ricercatore del Centro per gli Studi Politici Europei. Di più: molti studi presentati in Spagna collocano gli immigrati tra i contribuenti netti della Sanità, perché si ammalano meno, sono più giovani e hanno più bisogno di lavorare. Quanto agli irregolari, spesso non possono accedere alle visite mediche e ricorrono al pronto soccorso solo in caso di malattie gravi.



Luogo Comune 10

«Non fanno più ritorno nei loro Paesi». Risponde El País 
Eurostat, l’agenzia statistica comunitaria, ha raccolto alcuni dati sul ritorno degli immigrati nei Paesi d’origine. Quasi 1,3 milioni di persone hanno lasciato gli Stati membri nel 2012, secondo le ultime cifre disponibili. Di questi, 541 mila, quasi la metà, erano cittadini di un Paese terzo. Le somme reali potrebbero essere ancora superiori. Infatti, molti cittadini ritornano dopo aver ottenuto la nazionalità del Paese dove hanno risieduto e non rientrano fra gli «stranieri».

fonte: Vanity fair


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