L'accordo con il governo di Kuala Lumpur è naufragato. Lo scorso 8 agosto, l'Alta Corte d'Australia ha deciso la sospensione a tempo indeterminato dei trasferimenti di rifugiati verso la Malaysia, frutto di un controverso accordo tra i due Paesi per risolvere il problema dei flussi di migranti irregolari. Un duro colpo per la premier laburista Julia Gillard, ormai ai minimi della popolarità, e per il governo australiano che tenta da tempo di cavalcare soluzioni "deterrenti" che scoraggino i profughi a partire. La Malaysia, che non ha firmato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati, avrebbe dovuto costituire l'ultima frontiera per i people-boat, impedendo lo sbarco in Australia. L'esternalizzazione della questione immigrazione, però, resta l'asse della politica nazionale. Così, dopo lo stop dell'Alta Corte, il governo di Canberra si è rivolto alla vicina Papua Nuova Guinea. Ieri, con la stretta di mano tra l'Alto commissario australiano in Papua Nuova Guinea Ian Kemish e il ministro degli Affari esteri e dell'immigrazione Ano Pala, si è conclusa la trattativa tra i due Paesi: in cambio di cospicue sovvenzioni, nell'isola di Manus sorgerà un nuovo centro di detenzione per richiedenti asilo.
Il progetto, però, non vedrà la luce prima di molte settimane, come confermato dal ministro dell'immigrazione australiano Chris Bowen alla radio Abc. Secondo il responsabile, inoltre, «nella struttura non si prevede alcun intervento di agenzie internazionali come l'Unhcr», l'Agenzia Onu per i rifugiati. L'importante è che «l'Australia giochi un ruolo nell'amministrazione del centro». Sull'isola di Manus, in realtà, era stata già costruito un centro di detenzione tra il 2001 e il 2004 durante il governo del premier austrialiano John Howard. Dieci anni dopo, la gestione dell'immigrazione illegale si è fatta di prima importanza nonostante i numeri degli arrivi siano irrisori rispetto alla popolazione dello Stato federale. Sono meno di duemila i visti concessi nei primi sei mesi di quest'anno dal governo australiano, mentre i tempi per la concessione dello status di protezione internazionale si sono enormemente allungati: il periodo di detenzione nei centri è passato dalla media del 2009 di 103 giorni, ai 316 dei primi sei mesi del 2011.
L'attesa si innalza a 413 giorni per i cittadini dello Sri Lanka. Secondo i dati del ministero dell'Immigrazione, nel 2010 sono arrivati in Australia 134 barconi, che trasportavano 6.535 persone. Fino all'aprile scorso, gli arrivi sono stati appena 16, per un totale di meno di mille persone. Si tratta di cittadini afgani, iraniani, pakistani e cinesi. Quest'ultimi, poi, in visibile crescita come ha dimostrato il recente Rapporto sui cinesi d'oltremare 2011, il cosiddetto libro blu, che ha individuato nell'Oceania la meta del 90 per cento degli immigrati del Colosso asiatico. Il traffico di esseri umani, inoltre, sta interessando un numero sempre più consistente di minori non accompagnati, spesso fatti partire su imbarcazioni il cui equipaggio è quasi esclusivamente composto da giovanissimi. Anche Amnesty international è intervenuta di recente per ridimensionare il problema: «Rispetto al resto del mondo, il problema dei migranti in Australia è veramente poca cosa, meno dell'1 per cento del totale dei profughi e i numeri sono in diminuzione».
Ciononostante, il trattamento riservato agli stranieri irregolari segue un modello che predilige l'alta concentrazione delle persone in luoghi circoscritti e che costa allo Stato oltre 800 milioni di dollari ogni anno. Sono 23 i centri di detenzione obbligatoria nati sul territorio, il più grande dei quali a Christmas Island, nell'Oceano indiano, in cui sono costrette quasi 800 persone, ben il doppio delle possibilità di capienza della struttura. In totale, al 30 giugno scorso, sono 6.403 gli immigrati chiusi in regime di detenzione in attesa di una risposta dalle commissioni che valutano le procedure d'asilo. Perfino il responsabile dell'Australian medical association, la maggiore associazione di medici del Paese, è finito su tutte le pagine dei quotidiani australiani per aver apertamente denunciato, durante una cena istituzionale alla Great hall del Parlamento, le disumane condizioni di detenzione nelle strutture. «Il sistema è intrinsicamente dannoso, specialmente per i minori», ha dichiarato Steve Hambleton di fronte all'uditorio di politici. Suicidi, atti di autolesionismo, disturbi fisici e psicologici sono sempre più frequenti e documentati nei report del personale medico. Secondo le testimonianze raccolte da Gerry Georgatos, medico e ricercatore, «le condizioni di detenzione dei migranti sono peggiori di quelle che si trovano nelle nostre prigioni». (TERRA)
Nei centri dei migranti è dramma per i bambini
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