In pochi giorni, mentre svolgevo il mio servizio di medico volontario, mi è capitato di incontrarne quattro.
Non mi si sono avvicinati per la dipendenza da sostanze. Anzi, per loro quella sembrava essere una condizione di assoluta normalità. Il discorso è scaturito semplicemente dalle domande poste nella raccolta dell’anamnesi. E si è evidenziata così sia una dipendenza da droghe, cioè hashish, marijuana e cocaina, ma anche un abuso di alcool, anch’esso vissuto come “normale”. In Italia i ragazzi che possono essere rubricati sotto l’etichetta di “minori stranieri non accompagnati” sono moltissimi. Solo quelli dell’Emergenza Nord Africa, come riportato da Corriere Immigrazione pochi numeri fa, sarebbero 7.575 a fine del 2012.
Ne abbiamo conosciuti molti, in varie situazioni. Di solito hanno un età compresa fra i 15 e i 18 anni, o quasi. A Milano molti di loro sono accolti nelle comunità e spesso nei dormitori, anche se, in base alla legge, in questi ultimi non dovrebbero stare. Le storie si assomigliano molto una all’altra: sono ragazzi minorenni, o che hanno compiuto da poco i 18 anni, arrivati in Italia tra maggio ed ottobre 2011, provenienti dalla Libia, ospitati prima a Lampedusa e poi in Comunità per minori in Sicilia. Sono venuti a Milano qualche mese fa; molti di loro non hanno ancora completato le pratiche per il diritto di asilo.
I quattro giovani tossicodipendenti hanno vissuto i loro primi mesi a Milano sulla strada e la loro casa è stata la Stazione Centrale. Quando nella raccolta dell’anamnesi si arriva alle domande sull’alcool e le droghe, in genere le persone sviano il discorso. Loro invece sembravano quasi andarne orgogliosi. Vengono tutti da paesi africani: Costa D’avorio, Burkina Faso, Ghana. Si professano tutti musulmani, ma la religione non sembra avere una parte rilevante nella loro vita. In un primo momento ho immaginato che fosse stata la vita sulla strada, in Italia, a portarli all’uso di sostanze. Non è così. Due usavano hashish già al loro paese, uno di loro ha cominciato durante la permanenza in Libia e un altro, effettivamente, è stato introdotto all’uso di hashish e marijuana in Sicilia.
Un colloquio più approfondito con Akim, nato e cresciuto ad Accra (Ghana) mi ha permesso di entrare meglio in questa problematica. Akim ha 18 anni e tre mesi, ed una famiglia molto povera alle spalle. Quando è arrivato a Lampedusa aveva 16 anni e nove mesi. All’età di 8 anni era già sulla strada a cercare di guadagnarsi da vivere, ed ha quindi iniziato molto presto le sue relazioni con ragazzi più grandi che lo hanno introdotto all’uso e allo spaccio di hashish. Si diverte a raccontare di come, pur essendo così piccolo, aveva imparato a fumare l’hashish e ci tiene a precisare che ad Accra c’era solo quello. La marijuana si è aggiunta in Libia , dove è andato a 15 anni, e la cocaina l’ha conosciuta in Italia; quest’ultima solo raramente, perché costa più cara delle altre due. Dice di aver sempre mal di testa, soprattutto quando non ha i soldi per acquistare nessuna sostanza; le droghe comunque lo fanno stare meglio, allontanano i pensieri, rilassano.
Sappiamo che i discorsi “materni”, del tipo «devi smettere perché ti fa male» servono a poco. Cosa ci resta in questo deserto di protezione umanitaria? Segnalazione al Sert? I servizi pubblici impiegano mesi a prendere in carico gli stranieri, se decidono di prenderli. Gli operatori spesso si chiedono se possono farlo o no, anche se esiste una legge che da anni dice che per questo tipo di patologie «tutti devono essere presi in carico, con o senza permesso di soggiorno». Nonostante la nostra dichiarata disponibilità e la simpatia che mi suscita, anche per il modo del tutto semplice e spontaneo con cui affronta argomenti così spinosi, per Akim e per gli altri non sembra esserci soluzione. Avrebbe bisogno di un posto sicuro dove stare e di essere seguito da qualcuno che gli insegnasse, con pazienza, a ricominciare da capo la sua esistenza, in una situazione diversa da quella che lui ha sempre conosciuto. È un ragazzo intelligente, parla già l’italiano, avrebbe delle buone possibilità… Ma questo posto non c’è. Per Akim non c’è soluzione. Eppure «i sistemi di protezione per i bambini devono tener conto della Convenzione sui diritti del fanciullo e devono adottare provvedimenti per il miglior interesse del minore». A dirlo non è Rosamaria Vitale ma il ministero dell’Interno, a proposito dei «minori stranieri non accompagnati».
Rosamaria Vitale
Corriereimmigrazione.it