“In Egitto non disegnavo mai, non ho fatto la scuola” racconta Ahmed che ha diciotto anni, di cui gli ultimi due e mezzo passati in Italia. Da domani, giovedì, le sue opere e quelli di altri ragazzi come lui saranno esposte in centro a Milano, all’interno di una mostra organizzata da iBVA e Casa della carità e inaugurata nel corso di una serata dedicata al viaggio “come esperienza dell’umanità”. Ad allestirla il gallerista Jean Blanchaert. “Sono delle tele – spiega – con il nome di Dio, con le chiese, con le moschee, con dei cuori e delle biciclette, con le oche e i cavalli, ricordo della vita lasciata oltremare. Sono le loro storie dipinte a due, a quattro, a otto mani”. Sono le immagini di Assiut, centro a 400 km dal Cairo, da cui provengono molti dei minori stranieri non accompagnati accolti dalla Casa della carità. Altri sono arrivati dal Bangladesh, altri ancora dall’Afghanistan.
Tutti giovanissimi, tutti soli, tutti dopo viaggi costosi e pericolosi.
“Alcuni hanno visto i loro compagni morire o venire gettati in mare – spiega Peppe Monetti, responsabile accoglienza della Casa –. Per loro, la traversata nel Mediterraneo è stata un trauma ”.
L’arte è stata uno dei modi per affrontarlo e, infatti, in più di una delle opere in mostra si riconoscono il mare, le onde e le navi.
“Come quella con cui sono arrivato qui” scherza Ahmed.
Primo di cinque figli, la sua ultima sorella non l’ha mai vista: è nata quando lui era già sbarcato in Italia. Suo padre lavora in un supermercato mentre lui, da quando aveva dieci anni, faceva il lavapiatti ad Assiut. “Con Elisa e Matilde ho studiato le lettere” dice ricordando le educatrici e le volontarie che hanno faticato non poco ad insegnargli l’italiano a causa della sua scarsa alfabetizzazione. La lingua, però, è solo uno dei tasselli di cui questi giovani hanno bisogno per comporre il complicato puzzle del loro futuro nel nostro Paese, dove quasi tutti hanno ferma intenzione di restare. La Casa della carità ha cercato di fornire loro anche gli altri o, almeno, di garantire loro gli strumenti per aggiungere una tessera dopo l’altra: formazione al lavoro, corsi per il diploma di terza media, tirocini, stage e borse lavoro. Oltre a judo, calcio, giocoleria e, ovviamente, al percorso di arte-terapia dal quale è nata la mostra.
Le storie come quella di Ahmed in Italia sono numerose: secondo il Comitato Minori Stranieri, allo scorso febbraio, i minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro Paese sono 7.066, l’11 per cento dei quali in Lombardia. Molti di loro al compimento della maggiore età si vedono costretti ad abbandonare le comunità per minori senza alcuna alternativa.
Alla Casa della carità, invece, l’accoglienza è continuata e, ad oggi, gran parte del gruppo dei giovani artisti è diventato maggiorenne. Il risultato per Peppe Monetti è positivo.
“Posso dire che questi ragazzi, quando andranno via dalla Casa, sapranno comunicare in italiano, avranno documenti a posto e un curriculum da presentare. Purtroppo, la crisi non ci ha aiutato, anzi. Voglio però sottolineare che non c’è un solo ragazzo che abbia un precedente penale da quando è arrivato da noi, a differenza di statistiche più elevate tra chi esce dalle comunità dopo i 18 anni. Questo significa, a proposito di sicurezza, che garantire a questi ragazzi un approccio diverso all’età adulta, più mediato, più solidale, fa sì che abbiano un rispetto maggiore delle leggi e delle regole della convivenza civile”.
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