Non è una giustizia minore, quella che si occupa di ragazzi. Al contrario, dovrebbe essere una giustizia ancor più giusta di quella prevista per gli adulti. Oggi la presenza media nei sedici istituti penali per minori della penisola è di 530 detenuti. Ma chi sono questi ragazzi? Perché vanno in prigione? Come vengono trattati? Prova a rispondere il secondo Rapporto sulle carceri minorili dell'associazione Antigone (curato da Susanna Marietti), che può esserescaricato in formato e-book dal sito di MicroMega.
I Centri di prima accoglienza. In Italia ci sono 27 Centri di Prima Accoglienza (CPA): strutture che ospitano i minorenni in stato di arresto o fermo fino all'udienza di convalida che deve aver luogo entro 96 ore. Tra il 1998 e il 2012 l'andamento degli ingressi nei CPA è decisamente decrescente, passandosi dai 4.222 del 1998 ai 2.193 del 2012 (calo di quasi il 50%). Diminuzione dovuta soprattutto al crollo degli ingressi dei minori stranieri, che passano dai 2.305 del 1998 ai 937 del 2012. La maggior parte dei minori entrati nei CPA (l'85,6%) uscirà a seguito della applicazione di una misura cautelare. "A fronte della crescente pressione del sistema penale sulla nostra società - si legge nel Rapporto - il sistema della giustizia minorile sembra non cedere a questa deriva e nei CPA ci si entra addirittura meno che in passato". Non mancano le ombre: se tra i minori denunciati all'autorità giudiziaria nel 2010 gli stranieri erano il 35,3%, tra quanti entrano nei CPA nello stesso anno gli stranieri sono il 39,4% (nel 2012 addirittura il 42,7%). Si segnala insomma una sovra-rappresentazione degli stranieri nei luoghi di privazione della libertà, rispetto al numero di quanti entrano in contatto con la giustizia penale.
Le Comunità. Positivo anche l'andamento dei minori presso le comunità, sia ministeriali che private, passati dai 1.339 casi del 2001 ai 2.037 del 2012. Tendenza che verosimilmente ha contribuito a contenere gli ingressi in carcere. Si tratta di una tendenza che ha però coinvolto in misura assai maggiore gli italiani rispetto agli stranieri: tra i minori in comunità gli stranieri erano il 40% nel 2001 e solo il 37,1% nel 2012.
La "messa alla prova". L'istituto non rappresenta solo una alternativa al carcere, ma allo stesso processo, che viene sospeso durante la messa alla prova. Se la misura avrà buon esito, alla sua conclusione il reato verrà dichiarato estinto. Si tratta di un istituto in forte espansione, tanto che si è passati dai 788 provvedimenti del 1992 ai 3.216 del 2011. L'accesso a queste misure per gli stranieri continua però a essere più difficile che per gli italiani. Tra i soggetti messi alla prova nel 2011 gli stranieri erano solo il 17%.
Gli Istituti penali. Anche negli Istituti Penali per i Minorenni (IPM), dove avviene l'esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria quali la custodia cautelare o l'espiazione di pena, si registra un andamento decrescente: si passa dai 1.888 ingressi del 1988 ai 1.252 del 2012. E anche questo è dovuto soprattutto al calo degli ingressi di minori stranieri (-41,6%). Ciò detto, tra gli ingressi in IPM, i minori stranieri sono fino al 2007 addirittura in maggioranza e in seguito rappresentano comunque una percentuale ampiamente superiore al 40%. Negli istituti del Nord e del Centro ci sono pochissimi ragazzi italiani, spesso trasferiti dagli istituti del Sud. Al contrario negli IPM del Sud e delle isole si trovano pochissimi stranieri, anche questi spesso trasferiti dagli istituti sovraffollati del Nord.
Il direttore del carcere. Cosa si fa dietro le sbarre? "Qui non abbiamo l'ora d'aria - spiega il direttore di Nisida, Gianluca Guida - il ragazzo trascorre la maggior parte del tempo fuori dalla cella. Si svegliano alle 7,30, scendono alle 8,15, fanno colazione tutti insieme dopo di che, fino alle 7 della sera, ci sono una serie di esperienze e di attività, tra cui le attività di tempo libero dalle 5 alle 7 del pomeriggio. Il regime è fondamentalmente dedicato a portare avanti tre linee di azione: formazione, istruzione e lavoro sulla persona".
Il giovane recluso. Di soli sedici anni, Giorgio ha già scontato più di un anno di reclusione a Bologna, dopo aver trascorso quattro anni in una Casa Famiglia. "Giorgio si sente sicuro in questo luogo, il Pratello di Bologna, dove fino a non molto tempo fa si sono susseguiti soprusi, violenze carnali e torture, finalmente emersi e denunciati - si legge nel Rapporto - Dopo alcuni mesi di caos all'interno della struttura la situazione si è stabilizzata con l'insediamento di un personale nuovo e capace, ma soprattutto con la voglia di cambiare e migliorare le cose". Fortunatamente Giorgio ha vissuto poco quel periodo di sevizie, ma ne ha visto le conseguenze: "Qui si ingoiano le pile, le lamette, uno ha cercato di impiccarsi e un mio compagno di cella se l'è fatta addosso per sette mesi". Ha anche assistito al cosiddetto "gioco della bicicletta", con cui si manifesta il bullismo: "Mettevano la carta tra le dita dei piedi di chi dormiva e gli davano fuoco, così svegliandosi di soprassalto sembrava che facessero la bici". A febbraio di quest'anno, Giorgio ha finito di scontare la sua condanna. Ma purtroppo, dopo neanche due mesi di libertà, è ricaduto negli stessi errori del passato e ora si trova nell'IPM di Treviso. Forse aveva ragione lui quando diceva che "fuori è troppo difficile".
I falsi allarmi. "Dal momento dell'entrata in vigore del codice di procedura penale per minorenni nel 1988 - sostiene l'associazione Antigone - il sistema della giustizia minorile ha dimostrato una buona tenuta, resistendo alle onde dei vari allarmismi che hanno causato innumerevoli relitti nel sistema penale degli adulti. Le cronache dell'ultimo anno hanno chiarito chi sono coloro che invece vogliono smantellarlo. Molte sono state le voci inquietanti che, penalmente e amministrativamente, vorrebbero omologare la gestione dei minori a quella degli adulti. Si sono negli ultimi tempi avvicendate notizie di rivolte, di violenze nei confronti di poliziotti. Notizie divulgate spesso dal Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, con toni di allarme. Il poliziotto, nei comunicati, è sempre vittima. Lo è nonostante non sia riuscito nel proprio ruolo, ovvero nel prevenire le risse, le violenze. Gli esiti finali di ogni comunicato stampa sono sempre gli stessi: servono più rigore e più disciplina. La polizia deve invece fare uno sforzo e accettare un cambio di paradigma nella sicurezza, non più da intendersi come marcatura stretta a uomo, magari condita da qualche forma di coazione fisica. Solo in questo modo si ridurrà il tasso di violenza".
Repubblica.it