D'estate sono quasi quotidiane le notizie relative agli arrivi via mare di immigrati sulle coste del Sud-Italia.
Save the Children è presente nelle zone di frontiera con il team di Praesidium: operatori che lavorano di notte e di giorno percorrendo chilometri per arrivare in tempo agli sbarchi, accedere ai migranti, ascoltare semplicemente storie terribili, perché chi arriva ha la necessità a volte di raccontarle. Operatori che con estrema semplicità e naturalezza – come se fosse scontato –raccontano di come hanno salvato vite umane.
La storia che segue è una delle molte che i membri del team di Presidium vivono durante il loro lavoro e a riportarla è Carlotta Bellini, Head of Child Protection di Save the Children Italia.
Nella mattina di giovedì Repubblica riporta l’arrivo nella notte di un barcone con 20 minori a bordo:
REGGIO CALABRIA - Una imbarcazione con 46 persone a bordo provenienti dall'Afghanistan è stata intercettata e soccorsa in prossimità di Capo dell'Armi, in Calabria. Fra i clandestini, ci sono anche 20 bambini. Il barcone che si era incagliato fra gli scogli, è stato intercettato alle 23.15 di ieri con segnalazione giunta alla Centrale Operativa della Direzione Marittima di Reggio Calabria. Le 46 persone soccorse, una volta giunte al porto di Reggio, dopo essere state rifocillate dalla Direzione Marittima e affidate alle cure dei medici e del personale della Croce Rossa, sono state condotte presso una struttura alberghiera cittadina. Il barcone, battente bandiera olandese, lungo 12 metri, è stato ormeggiato e sottoposto a sequestro penale. Sono in corso le indagini per risalire agli scafisti.
Sento Mohammed in Calabria. Non siamo stati informati nella confusione: siamo sorpresi. Mohammed fa qualche telefonata e si reca in loco. Trascorrono alcune ore e Mohammed manda un aggiornamento: “sono arrivate 11 donne, di cui 2 incinte; 3 minori non accompagnati; 11 uomini; 20 bambini in nucleo dai 2 mesi fino ai 12 anni. Si trovano a Reggio Calabria e stanno bene. Anche l’alloggio è buono. La fase di identificazione non è ancora conclusa. Le famiglie verranno spostate al CARA. Sono tutti afgani e richiedenti asilo. Sono partiti dall’Afghanistan, transitati dall’Iran ed ora provengono dalla Turchia”.
Ma poi Mohammed mi chiama e al telefono mi racconta questa storia: uno dei nuclei ha perso un bambino di 13 anni con la nonna al confine tra Iran e Turchia. I genitori temono che i trafficanti li abbiano fatti rientrare in Afghanistan. Mohammed mi trasmette il dolore profondo di queste persone: non hanno perso il telefono o le chiavi. Hanno perso il figlio e la nonna, lo guardano disperati. Quel dolore entra anche nel cuore di Mohammed che però è sempre positivo, costruttivo. Pensiamo a come intervenire: speriamo di riuscire a rintracciarli.
E per chiudere arriva una scheda dettagliatissima che Mohammed, il quale lavora da 48 ore su 3 sbarchi ha compilato subito. La scorro e trovo alcune righe che dicono: “Itinerario: partiti dalla Turchia, 7 giorni in viaggio per 6000 dollari a testa. Gli scafisti erano ucraini e una volta vicini alle coste italiane si sono allontanati con un gommone dicendo di andare a controllare se c’è polizia per poi sparire definitivamente. Gli immigranti hanno acceso un fuoco sulla barca per farsi notare dalla guardia costiera italiana.”
Lo stesso giorno Mohammed manda anche questo aggiornamento: “Sbarco a Rocella Ionica: 70 persone circa provenienti da India, Bangladesh, Siria, Pakistan. 1 donna eritrea incinta e 7 dichiarazioni di minore età”. Di nuovo ci sentiamo e Mohammed mi dice queste poche parole ma che mi colpiscono molto: “Ci sono anche nuclei familiari siriani scappati dalla guerra. Tra di loro c’è una bambina di 3 anni operata in Siria dopo aver riportato 3 ferite a causa di spari: ora sta molto bene, sta giocando, mi sembra contenta”.
Chiudiamo la giornata. E alla sera, prima di dormire, non posso che pensare a due persone che hanno viaggiato per 7 giorni, hanno pagato migliaia di dollari e non trovano più al loro fianco un figlio e una madre: si sono persi su un confine. Ad una bambina di 3 anni, che è una delle tante di cui raccontano i nostri colleghi impegnati sull’emergenza Siria. Ma questa volta è arrivata fin qui: è proprio lei, quella bambina che ha visto Mohammed che ha ancora la voglia di ridere e giocare anche se ha tre anni e lo stesso numero di ferite da arma da fuoco sul suo corpo. Penso a Mohammed, al team Praesidium, a tanti colleghi che lavorano qui in Italia, ad altri che ho incontrato durante i miei viaggi in vari paesi, alla forza dei bambini con cui e per cui lavoriamo, a quanto ci facciano imparare e migliorare … sono tanti fotogrammi con facce, emozioni, colori, luoghi diversi… e alla fine, penso a quanto valga la pena lavorare per Save the Children.
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