“Stiamo navigando a vista”. Le parole di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e presidente dell’Anci Sicilia, sintetizzano perfettamente la condizione di precarietà e assoluta incertezza che governa il sistema di accoglienza dei minori non accompagnati nell’Isola.
Su tutto pesa la cronica incertezza sulle risorse necessarie per fare funzionare la macchina organizzativa, i ritardi nei pagamenti, le lentezze burocratiche, lo scarso coordinamento tra i soggetti istituzionali competenti. Senza i fondi anche i tavoli di coordinamento, le intese, le linee guida, sono destinati a restare lettera morta.
Lo scorso mese di luglio, ad esempio, Stato e Regioni hanno siglato un’intesa con la quale hanno definito un piano operativo per l’accoglienza di adulti e minori. Di rimando, anche la Regione Siciliana ha approvato gli standard di qualità dei centri di accoglienza e pubblicato un invito all’accreditamento delle strutture interessate ad ospitare i minori. Gli standard specificano funzioni e requisiti delle strutture operanti nell’ambito del piano regionale, distinguendo tra un’accoglienza “ad alta specializzazione” di primo livello ed una di secondo livello. Secondo lo schema approvato, le strutture di primissima accoglienza serviranno ad accogliere temporaneamente i minori nella fase del primo rintraccio, con funzioni di identificazione e di eventuale accertamento dell’età e dello status, anche in considerazione del possibile ricongiungimento con parenti presenti nei paesi Ue. L’ingresso nella struttura è disposto con provvedimento del Questore o del Prefetto e l’accoglienza non può superare i 3 mesi. Durante questo tempo, l’ente sarà chiamato a portare avanti iniziative di tipo didattico-formativo, che permettano agli ospiti di acquisire informazioni linguistiche (con l’organizzazione di corsi di alfabetizzazione), legali e amministrative, in grado di facilitare l’inserimento sociale del giovane. Le strutture di secondo livello, invece, sono chiamate ad offrire un servizio residenziale, a carattere familiare, ospitando minori dai 14 ai 18 anni, dello stesso sesso e nel numero massimo di 12 per volta. I centri che rientrano in questa categoria approntano per ciascun minore accolto un piano personalizzato, che gli consenta di essere autonomo alla conclusione del progetto di accoglienza, scadenza che coincide con il compimento del diciottesimo anno di età, a meno di eventuali provvedimenti giurisdizionali di proroga. Vale per entrambi i tipi di struttura la necessità di adottare una serie di misure (un codice di condotta, criteri specifici per la selezione del personale, spazi di accoglienza idonei, etc…) per prevenire possibili situazioni di abuso, di maltrattamento e di sfruttamento da parte degli operatori. Peccato che l’invito della Regione non abbia suscitato l’interesse sperato. “Le richieste di accreditamento da parte degli enti e delle associazioni è stata bassa, a causa dell’incertezza delle risorse messe a disposizione e della mancata copertura finanziaria da parte del Governo centrale – spiega l’assessore regionale alle Politiche Sociali, Giuseppe Bruno – la Regione farà la propria parte, assumendosi tutti gli impegni che le competono, ma abbiamo bisogno di un quadro nazionale certo”. Di certo c’è soltanto che finora il sistema non ha funzionato a dovere. (Luca Insalaco)