Migranti, se non hai i soldi vieni ucciso per espianto organi

«I migranti che non possono pagarsi il viaggio consegnati agli egiziani e uccisi per prelevarne gli organi da rivendere a 15 mila dollari l’uno» questa è la tremenda sorte di molti migranti che non hanno il denaro necessario per pagare il viaggio verso la Fortezza Europa. A raccontarlo è il primo pentito, Nuredin Atta Wehabrebi, di una rete criminale che gestisce il traffico dei migranti che da un anno collabora con la giustizia Italiana. Da anni su questo blog si denunciava la scomparsa di tantissimi migranti, di cui molti minori, uccisi per poi espiantare e vendere i loro organi, come ad esempio è accaduto nell'aprile scorso, quando sono stati ritrovati su una spiaggia nelle vicinanze di Alessandria d'Egitto i corpi di alcuni migranti africani, senza alcuni organi vitali. Ma nessuno dei lettori voleva credere a tale orrore, anzi pronunciare le parole "traffico d'organi" ed "espianto" sembrava dire delle eresie. Il traffico di organi è uno di quei temi tabù di cui preferiamo sempre non sapere nulla, fingere che non esista. Il tema, almeno nel caso dei migranti, era noto almeno da quando fu pubblicato il report di COFSOra, invece, questo atroce aspetto emerge dalle confessioni del primo trafficante pentito. Sulla base delle sue dichiarazioni, la Procura di Palermo, in un'operazione denominata Glauco 3, ha ordinato il fermo di 38 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, all'esercizio abusivo dell'attività di intermediazione finanziaria, nonché di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, tutti aggravati dal carattere transnazionale del sodalizio criminoso.
L'indagine della Procura di Palermo, che oggi ha fermato 38 persone (tra le quali un italiano) accusate di far parte di una delle maggiori reti criminali che gestiscono il traffico di migranti tra l'Africa e l'Italia, è la prosecuzione dell'inchiesta denominata Glauco che va avanti da tre anni e ha già portato a diverse condanne. A parte la dichiarazione sugli organi espiantati e venduti – di cui dice di aver saputo dai capi con cui ha lavorato in Libia, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdrurazak, oltre che da alcuni migranti sopravvissuti – Atta Wehabrebi ha parlato del network di Ghermay Ermias, l’organizzatore del viaggio terminato con il naufragio e la morte di 366 rifugiati davanti alle coste di Lampedusa nel 2013, gestiva attraverso una vera e propria struttura a cellule. Il "pentito" dice che esiste un gruppo di Palermo, un bar a Palermo, in vicolo Santa Rosalia, gestito dall’etiope Sebsidie Tadele, e Agrigento, specializzato nella “prima accoglienza” di chi lasciava i centri ufficiali. C'è il gruppo romano, in grado di gestire i soldi – milioni di euro – grazie ad una centrale finanziaria. Tra scaffali di profumi e cosmetici, dietro il bancone di un piccolissimo negozio in via Volturno, i broker dei traffici umani ricevevano i pagamenti per i viaggi di chi poteva permettersi le tariffe altissime: anche dieci mila euro per una pratica per un ricongiungimento familiare farlocco. Soldi che arrivavano dalla famiglie dei rifugiati in viaggio, per poi ripartire verso i trafficanti di uomini. Nella profumeria di via Volturno sono state intercettate telefonate in cui si parlava di trasferimenti di denaro portato materialmente nel negozio, da trasferire in Sudan, a Dubai o altrove: per gli inquirenti sono i pagamenti dei viaggi ai trafficanti, nei quali i titolari dei negozi coinvolti svolgono il ruolo di intermediari trattenendo, ogni volta, il 10 per cento delle cifre. "Con questa indagine abbiamo raggiunto un livello più alto nella lotta all'immigrazione clandestina e abbiamo individuato il canale finanziario della rete criminale che gestisce il traffico dei migranti dall'Africa alla Sicilia e che aveva a Roma e a Palermo due centrali di snodo". Lo affermano nel loro atto d’accusa il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, l’aggiunto Maurizio Scalia e i sostituti Calogero Ferrara e Claudio Camilleri. "In un bazar a Roma - ha aggiunto Lo Voi - abbiamo trovato 500 mila euro in contanti e decine di migliaia di dollari più una serie di nomi e numeri di telefono. Era il luogo in cui venivano raccolti i soldi dei migranti che volevano raggiungere l'Italia". Dall'inchiesta è emerso che l'organizzazione al viaggio sui barconi preferiva i falsi ricongiungimenti familiari consentiti dalla legge italiana. "Un modo più costoso, ma più sicuro -. ha spiegato il procuratore, per cui, grazie a false attestazioni di extracomunitari residenti in Italia, i migranti riuscivano a venire nel nostro Paese e ricongiungersi con i sedicenti parenti".

Leonardo Cavaliere 

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