Milano, storia di Daouda, dal gommone nel Mediterraneo a un lavoro da chef

Da un gommone che ha attraversato il Mediterraneo alle coste calabresi di Vibo Valentia, fino a un posto di lavoro da Dongiò, il ristorante di via Corio, in zona Porta Romana a Milano. Dall’ospitalità a Villa Amantea, casa famiglia di Trezzano che accoglie i giovani profughi e progetta con loro un futuro in Italia, fino a un appartamento dove iniziare a costruirsi un futuro. Daouda, ivoriano, ora appena maggiorenne, racconta la sua storia tra i tavoli del ristorante. “Il mio sogno era ed è quello di fare una vita migliore di quella di prima. Lentamente ci sto riuscendo. A me non interessano i soldi, ma trovare un lavoro. Mi sono sentito accolto, i volontari mi hanno preso con loro”, dice Daouda, aprendo le mani come a indicare aiuto e sostegno.

I volontari raccontano di essersi subito accorti del talento del loro ospite, quando è arrivato un anno fa, e della manualità che sviluppava soprattutto in cucina. “Nella casa di Trezzano noi insegnavamo i piatti della nostra cucina – dicono i volontari - lui spiegava i piatti della sua tradizione, a base di riso, manioca, pesce..”. Dopo la borsa lavoro della Regione, Daouba ha così ottenuto un contratto di tirocinio di sei mesi, in uno dei pochi ristoranti milanesi che ancora producono nel proprio laboratorio la pasta. Un riconoscimento per le sue qualità, ma anche della sua voglia di integrazione.

“Un ragazzo serio, disponibile, un gran lavoratore – dice Antonio Criscuolo, che gestisce con la famiglia il ristorante, aperto nel 1987 –. Ha imparato subito a fare dei piatti anche molto complicati. Dopo una settimana di lavoro era già bravo a impastare, e ora di questo si occupa solo lui, con quindici o venti chili di semola al giorno da lavorare. Ma ormai è bravo anche con gli gnocchi, la pasticceria, i condimenti fatti a mano”.

Quando è arrivata la proposta di dare un lavoro a Daouda, al ristorante non c’era necessità di un nuovo dipendente, ma la famiglia ha subito accettato. “Ognuno deve fare qualcosa di suo per migliorare il mondo in cui vive – spiega Antonio, a sua volta figlio di immigrati arrivati a Milano dalla Calabria -. Non avevamo bisogno, ma sapevamo che l’impegno era solo per sei mesi. Avevamo fatto un progetto simile con un italiano, ma non era andata bene. Ma Daouba ci ha subito sorpreso, ed è rimasto con noi. Si è inserito alla perfezione. Ci sono giorni cui noi pensiamo a un menù, ma poi lui dice “facciamo quest’altra cosa”. E il menù lo decide lui”.

Con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, Daouba ora ha lasciato Villa Amantea, che da più di un anno si occupa di minori stranieri non accompagnati nell'ambito del progetto SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Grazie all’aiuto del suo datore di lavoro, ha trovato un piccolo bilocale in periferia che può pagarsi con il proprio stipendio. Come per lui, la rete di servizi messa in campo dal comune di Trezzano, dal Centro provinciale per l’istruzione adulti (che organizza corsi di alfabetizzazione per migranti) e da Villa Amantea, nata in due ville confiscate alla ‘ndrangheta, funziona anche per altri migranti che a Milano hanno ottenuto la borsa lavoro.
E ci sono anche altri esercenti che, venuti a conoscenza della storia d’integrazione di Daouba, si sono fatti avanti. Come per un bar in via Lanzone che ha offerto una borsa lavoro a un ragazzo di sedici anni dello Sri Lanka. “Aiuta in cucina, nelle pulizie, pensiamo di assumerlo”, conferma la titolare, Francesca Bonfioli. "Conoscevo lo strumento dello stage, poi Antonio ci ha messo in contatto con l’associazione, e l’esperimento sta funzionando” 

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