Visualizzazione post con etichetta confine Messico America. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta confine Messico America. Mostra tutti i post
Oltre 100.000 minorenni sono attualmente sottoposti a
detenzione amministrativa negli Stati Uniti, per cause legate all'immigrazione,
spesso in violazione del diritto internazionale.
Questa è la triste verità che emerge dal rapporto ONU sui
minori in stato di detenzione.
L'autore del report, Nowak, ha affermato che la cifra si
riferisce ai minori migranti, che hanno raggiunto il confine americano,
attualmente in custodia negli USA. Il dato si riferisce sia ai non
accompagnati, sia ai minori detenuti con parenti o separati dai loro genitori
prima della detenzione.
"Il numero totale attualmente detenuto è di
103.000", ha dichiarato Nowak, definendolo una valutazione
"conservativa", basata sugli ultimi dati ufficiali disponibili e su
ulteriori fonti "attendibili".
A livello globale, almeno 330.000 bambini in 80 paesi sono
detenuti per motivi legati alla migrazione, secondo lo studio globale lanciato
lunedì, il che significa che gli Stati Uniti rappresenta quasi un terzo dei
bambini in detenzione.
Lo studio ha in parte esaminato le violazioni della
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, che impone che le
detenzioni minorili vengano utilizzate "solo come misura di ultima ratio e
per il periodo di tempo più breve".
"La detenzione legata alla migrazione per i minori non
può mai essere considerata una misura di ultima ratio o nel migliore interesse
del minore. Ci sono sempre alternative disponibili", ha detto Nowak ai
giornalisti a Ginevra.
È utile ricordare, soprattutto in questa giornata, che l'USA
non ha ancora ratificato la Convenzione dei diritti del fanciullo.
Le testimonianze di Cristina, Josè, Maria, operatori delle Caritas, fedeli luterani, suore, agenti dell’immigrazione sono raccolte nel dossier “Servire le famiglie separate e riunite. Lezioni apprese e vie da seguire per promuovere l’unità familiare”, presentato dalla Commissione per i rifugiati e i migranti della Conferenza episcopale Usa e dal Servizio per gli immigrati e i rifugiati della Chiesa luterana. Nelle trenta pagine dense di statistiche, ricerche, progetti, raccomandazioni per i politici e le agenzie di governo, però, ci sono anzitutto loro: le 1.112 famiglie che la collaborazione tra le Chiese ha riunito e che sta continuando ad assistere in varie parti del Paese
(da New York) Cristina ha 12 anni. E’ scappata dalla violenza della sua cittadina in El Salvador assieme al padre. Giunti al confine con gli Usa sono stati separati e Cristina ha aspettato 88 giorni prima di rivedere il suo papà, che a più riprese è stato sollecitato dalle agenzie per l’immigrazione a firmare le pratiche per l’espulsione. E tutto questo mentre gli veniva comunicato, ripetutamente, che la figlia era stata adottata. Il servizio per i migranti e i rifugiati della Chiesa cattolica ha aiutato la loro famiglia a ricomporsi e ora Cristina e il padre sono ospiti di una coppia di Los Angeles, assistiti dalla Caritas locale. Tra i traumi che continuano a perseguitare la ragazza c’è il terrore di restare sola e, infatti, accompagnarla alla scuola è un supplizio: non vuole lasciare il padre neppure per un secondo per timore di ritrovarsi ancora smarrita e terrorizzata in un Paese di cui nulla conosceva, neppure la lingua, e che l’ha allontanata dall’unico riferimento della sua giovane vita. Josè, invece, si è visto strappare suo figlio appena attraversato il confine. “Un’esperienza straziante, in cui ho pensato che il cuore mi esplodesse in petto. Lo vedevo piangere e gridare ma non potevo fare nulla per consolarlo”, racconta con gli occhi ancora velati di lacrime. Prova a nasconderle al bambino che gli gironzola intorno. Dopo parecchie settimane sono tornati insieme grazie alla rete di assistenza ai migranti sponsorizzata dalla Chiesa luterana. Il servizio ha provveduto ad un avvocato, ai vestiti (avevano un solo cambio), a tutto il materiale scolastico per consentire al bambino di cominciare la scuola.
Le testimonianze di Cristina, Josè, Maria, operatori delle Caritas, fedeli luterani, suore, agenti dell’immigrazione sono raccolte nel dossier “Servire le famiglie separate e riunite. Lezioni apprese e vie da seguire per promuovere l’unità familiare”, presentato dalla Commissione per i rifugiati e i migranti della Conferenza episcopale Usa e dal Servizio per gli immigrati e i rifugiati della Chiesa luterana. Nelle trenta pagine dense di statistiche, ricerche, progetti, raccomandazioni per i politici e le agenzie di governo, però, ci sono anzitutto loro: le 1.112 famiglie che la collaborazione tra le Chiese ha riunito e che sta continuando ad assistere in varie parti del Paese.
La richiesta Era il 2 luglio quando una telefonata del dipartimento di sicurezza ha raggiunto la Commissione per i migranti e rifugiati: l’amministrazione Trump chiedeva aiuto e supporto alla Chiesa per riportare ai rispettivi genitori quei bambini separati al confine per un ordine del procuratore generale. Il 20 giugno scorso le pressioni sul presidente lo avevano indotto a firmare un ordine esecutivo che stabiliva il ricongiungimento familiare: anche se i genitori erano detenuti, i figli dovevano tornare con loro e si prevedevano fondi per ampliare le strutture esistenti o per costruirne di nuove in grado di ospitare il nucleo familiare. Inoltre, un tribunale della California aveva stabilito i termini di attuazione del decreto presidenziale: entro il 10 luglio tutti i bambini con meno di 5 anni dovevano essere ritrovati e ricollocati con le proprie famiglie; mentre per quelli dai 5 ai 17 l’obbligo slittava al 26 del mese.
Va precisato che la politica di separazione delle famiglie non era estranea neppure all’amministrazione Bush e a quella di Obama, ma la tolleranza zero applicata da fine aprile dal procuratore generale Jeff Session ha portato a un incremento del 76% di bambini classificati come non accompagnati in appena due mesi, facendo scattare l’allarme anche nelle strutture di accoglienza.
Inoltre, per interpretazioni arbitrarie della legge, nel mirino degli agenti erano finiti non solo gli illegali ma anche tutte quelle famiglie che si presentavano ai varchi ordinari chiedendo protezione. Giunti al confine gli adulti sono stati presi in carico dal Dipartimento di sicurezza (Dhs) e i piccoli dal Dipartimento di salute e servizi alla persona (Hhs). Tra le due agenzie non c’è stato un effettivo coordinamento e questo ha portato alla scomparsa dei minori.
Chi sono questi nuovi migranti. Il rapporto rivela un volto diverso dell’immigrazione dal Centro America che supera stereotipi e campagne mediatiche di dubbio gusto. I nuovi immigrati non sono più uomini adulti, messicani, in cerca di lavoro stagionale, ma famiglie, bambini non accompagnati che fuggono dai cosidetti Paesi del Triangolo (Honduras, Guatemala ed El Salvador) dove bande armate e violente si stanno spostando dalle città alle campagne minacciando gli abitanti e talvolta sequestrando i minori per arruolarli nella loro spirale di morte. La violenza esercitata tra le mura domestiche, in questi Stati, è molto alta e spesso poiché la giustizia stenta ad essere applicata a causa della corruzione, la via di fuga è vista come unica soluzione.c’è chi ha cambiato luogo di residenza ben dieci volte prima di giungere al confine statunitense, a dimostrazione dell’estrema fragilità sociale e politica dei Paesi di provenienza. Il 61% di questi migranti è rappresentato da padri che portano con loro i figli maschi (67%). Inferiore la percentuale delle madri che attraversano il confine, appena il 39% e le bambine si attestano sul 33%.
Il ricongiumento. Nei dati del report pubblicato dalla Commissione cattolica e da quella luterana si legge che al 27 settembre le famiglie riunite sono 2.296, alcune di loro sono ancora in stato di detenzione, altre sono già ricongiunte a parenti presenti negli Stati Uniti, molte si sono ritrovate nei Paesi di origine perché costrette all’espatrio, altre ancora dopo la riunificazione sono state liberate. Durante tutto il processo una delle sfide più difficili è stato il coordinamento tra gli uffici poiché un’operazione congiunta non aveva in realtà un vertice unico per definire le procedure e, per questo, il supporto delle Caritas locali e delle strutture di accoglienza luterane è stato fondamentale perché sono stati i punti di riferimento locali in cui reperire informazioni e consentire gli incontri. Ben 600 famiglie sono state ospitate dalla diocesi di San Antonio a Rio Grande Valley e uno dei volontari del programma rivela che mai si era trovato a svolgere un lavoro così delicato e carico di emozioni: “Ho visto un padre riabbracciare il suo bambino dopo 5 mesi. E’ stata una scena indimenticabile e io sono stato testimone di un miracolo”. Al paragrafo conclusivo del report sono riservate le raccomandazioni ai legislatori e ai rappresentanti politici, perché nell’ideare politiche di protezione del Paese tengano conto che separare le famiglie non è la soluzione ed è una tragedia e un trauma di cui si soffriranno le conseguenze per anni. La detenzione, poi, “non è mai risolutiva” ed è per questo che le Commissioni cattoliche e luterane chiedono di essere parte del processo di revisione delle norme per individuare soluzioni alternative e tutelare anzitutto le persone.
(*) I nomi sono stati modificati per proteggere l’identità degli intervistati
Sono 68.409 i bambini migranti detenuti in Messico fra il 2016 e aprile 2018, il 91% dei quali sono stati espulsi verso l'America Centrale. Circa 96.216 migranti dall'America centro-settentrionale, fra cui 24.189 donne e bambini sono stati rimpatriati dal Messico e dagli Stati Uniti fra gennaio e giugno di quest'anno; oltre il 90% è stato espulso dal Messico: questi i principali dati del nuovo rapporto (serie Child Alert) dell'Unicef 'Sradicati in America Centrale e Messico - Bambini migranti e rifugiati affrontano un circolo vizioso di difficoltà e pericoli' ('Uprooted in Central America and Mexico'), che esamina le diverse sfide e pericoli che affrontano i bambini e le famiglie migranti e rifugiate durante il difficile processo di migrazione e rimpatrio.
"Come mostra il rapporto, milioni di bambini nella regione sono vittime di povertà, indifferenza, violenza, migrazioni forzate e paura di essere espulsi", ha dichiarato Marita Perceval, direttore regionale dell'Unicef per l'America Latina e i Caraibi. "In molti casi - ha aggiunto - i bambini che sono rimandati nei loro paesi d'origine non hanno nessuna casa in cui tornare, e finiscono per essere sommersi dai debiti o sono presi di mira dalle gang criminali. Essere riportati a situazioni invivibili rende più probabile una nuova migrazione".
Secondo il rapporto estrema violenza, povertà e mancanza di opportunità non sono soltanto cause delle migrazioni irregolari di bambini dall'America centro-settentrionale (El Salvador, Guatemala e Honduras) e dal Messico, ma anche conseguenze delle espulsioni dal Messico e dagli Stati Uniti. L'Unicef ha dunque invitato i governi a lavorare insieme per attuare delle soluzioni che aiutino a ridurre le cause scatenanti delle migrazioni irregolari e forzate ed a tutelare il benessere dei bambini rifugiati e migranti durante il viaggio.
Nello specifico, i risultati del rapporto includono:
POVERTÀ - El Salvador, Guatemala e Honduras sono fra i paesi più poveri dell'emisfero occidentale, con, rispettivamente, il 44, il 68 e il 74% dei bambini che vivono in povertà. I bambini e le famiglie povere spesso chiedono dei prestiti per finanziare la loro migrazione irregolare verso gli Stati Uniti, lasciandoli in una situazione finanziaria ancor più precaria quando sono fermati e rimandati indietro senza denaro e si trovano impossibilitati a ripagare i loro prestiti. Questa pressione economica può lasciare i bambini e le famiglie senza casa o senza le risorse necessarie per pagare i beni di prima necessità.
VIOLENZA - La violenza delle gang è pervasiva in molte comunità dell'America centro-settentrionale, con bambini presi come obiettivo di reclutamento, abusi e persino omicidio. Fra il 2008 e il 2016 in Honduras, per esempio, circa un bambino ogni giorno è stato vittima di omicidio. Analogamente, a El Salvador, 365 bambini sono stati uccisi nel 2017, mentre l'anno scorso in Guatemala sono stati segnalati 942 casi di morti violente di bambini. I bambini e le famiglie che migrano a causa di minacce di violenza possono essere esposti a un rischio ancora maggiore se sono costretti a ritornare, senza nessun supporto o protezione, nelle comunità in cui erano precedentemente in pericolo. Molti rimpatriati finiscono per diventare sfollati interni perché per loro è insicuro tornare a casa.
STIGMATIZZAZIONE - I bambini e le famiglie rimpatriate affrontano la stigmatizzazione all'interno delle comunità a causa del loro tentativo fallito di arrivare in Messico o negli Stati Uniti. Questo può rendere ancora più difficile per i bambini rimpatriati reintegrarsi a scuola e per gli adulti trovare un lavoro.
SEPARAZIONE E DETENZIONE - La separazione familiare e la detenzione da parte delle autorità competenti in materia di migrazione, sono esperienze fortemente traumatizzanti che possono pregiudicare lo sviluppo a lungo termine del bambino. Tenere le famiglie unite e supportare alternative alla detenzione sono misure fondamentali per assicurare il superiore interesse dei bambini migranti e rifugiati.
Il rapporto evidenzia inoltre una serie di raccomandazioni per tenere i bambini rifugiati e migranti al sicuro e ridurre i fattori che spingono le famiglie e i bambini a lasciare le loro case in cerca di sicurezza o un di futuro con maggiori speranze attraverso rotte migratorie irregolari e pericolose. "E' fondamentale rispondere ai rischi affrontati dai bambini rifugiati e migranti e alle cause scatenanti che contribuiscono ai movimenti di popolazione su larga scala", ha dichiarato Perceval, secondo cui "i leader dei governi ora hanno l'opportunità di fare la cosa giusta. Ciò significa attuare strategie collaudate che possano aiutare a ridurre le cause scatenanti; proteggere i bambini in transito e quando raggiungono le loro destinazioni; fornire ai bambini accesso a servizi essenziali durante il percorso migratorio; fornire loro la protezione e il supporto necessari per una reintegrazione efficace".