Succede a Milano. La prima elementare non si farà: “Troppi pochi gli iscritti e troppi stranieri tra loro” questa è l'”intelligente” decisione presa per la scuola di Via Paravia a Milano. Infatti, si erano iscritti 17, 15 dei quali stranieri, ma poi che conta se 13 di questi bambini sono nati in Italia, la ferrea ed ottusa burocrazia “Padana” disinteressata al supremo bene del fanciullo ha deciso che i “Padani” erano troppo pochi e che quindi era meglio non contaminare la “Suprema Razza”. Ora, giustamente i genitori di quei bambini hanno denunciato il Ministero dell'Istruzione per discriminazione, sostenendo che la classe non sarebbe ma i stata soppressa se i bambini fossero stati tutti “Padani”.
Il fatto che rende per certi versi simbolica la scuola di Via Paravia è che, questa, è la stessa in cui scuola circa due anni si era formata una classe di solo alunni stranieri. Si rende necessaria una puntualizzazione la scuola di via Paravia (quartiere San Siro) è situata in una zona di case popolari e ad altissima densità di immigrati. Questo in base all'assurdo tetto del 30% di stranieri a classe potrebbe portare alla chiusura della stessa scuola per i motivi su indicati, provocando così l'ulteriore disagio per i bambini della zona San Siro nel segno dell'ipocrita “integrazione” del Ministro dell'Istruzione. Nella giornata di ieri il ministero, in una nota, ha confermato «la volontà di proseguire sulla strada dell' integrazione», aggiungendo che «non si favorisce l' inserimento degli immigrati se si creano classi-ghetto frequentate solo da alunni stranieri». La soluzione quindi adottata per i bambini di zona San Siro è stata quella del trasferimento in scuole vicine al fine di poter interagire con i coetani italiani, come se non loro non lo fossero. «La non formazione di una classe basata sulla eccessiva presenza di stranieri costituisce uno svantaggio determinato dalla nazionalità», affermano i legali di «Avvocati per niente». In proposito si deve precisare che 13 dei bambini della famosa “classe che non c'è” sono nati in Italia, hanno frequentato la scuola materna in Italia, parlano l'Italiano (...e forse anche il dialetto milanese) e non hanno alcun problema di “competenza linguistica”, ma soltanto il diverso colore della pelle o di “Passaporto”.
Il dott. Petralia, direttore dell'Ufficio scolastico provinciale a giustificazione dell'operato dice che «è in atto una riorganizzazione delle scuole, se ci sono pochi alunni le classi vengono spostate in altro complesso e così è stato in via Paravia». Pertanto nessuna discriminazione, «nessun razzismo - conclude il responsabile dell' Ufficio scolastico della Lombardia, Giuseppe Colosio - anzi, al contrario: proprio perché crediamo nella scuola dell' integrazione non riteniamo opportuno formare classi di soli stranieri». 

“LA CLASSE CHE NON C'è” storia di ordinaria discriminazione. Quando i bambini sono di tutti i colori...

Succede a Milano. La prima elementare non si farà: “Troppi pochi gli iscritti e troppi stranieri tra loro” questa è l'”intelligente” de...

Se Cose dell’altro mondo ha introdotto alla 68 Mostra del Cinema di Venezia l’argomento immigrazione in modo ludico e surreale, con Terraferma di Emanuele Crialese, proiettato oggi in concorso, la prospettiva cambia.
In un'isola del Mare Nostrum, Filippo, un ventenne orfano di padre, vive con la madre Giulietta e il Nonno Ernesto, un vecchio e irriducibile pescatore che pratica la legge del mare. Durante una battuta di pesca, Filippo ed Ernesto salvano dall'annegamento una donna incinta e il suo bambino di pochi anni. In barba alla burocrazia e alla finanza, decidono di prendersi cura di loro, almeno fino a quando non avranno la forza di provvedere da soli al loro destino. Diviso tra la gestione di viziati vacanzieri e l'indigenza di una donna in fuga dalla guerra, Filippo cerca il suo centro e una terra finalmente ferma.Terraferma è la terza opera che Emanuele Crialese dedica al mare della Sicilia in un'instancabile ricerca estetica avviata con Respiro nove anni prima. Come Conrad, Crialese per raccontare gli uomini sceglie “un elemento altrettanto inquieto e mutevole”, una visione azzurra ‘ancorata' questa volta al paesaggio umano e disperato dei profughi. Sopra, sotto e intorno a un'isola intenzionalmente non identificata, il regista guarda al mare come luogo di infinite risonanze interiori. Al centro del suo ‘navigare' c'è di nuovo un nucleo familiare in tensione verso un altrove e oltre quel mare che invade l'intera superficie dell'inquadratura, riempiendo d'acqua ogni spazio.
Dentro quella pura distesa assoluta e lungo il suo ritmo regolare si muovono ingombranti traghetti che vomitano turisti ed echi della terraferma, quella a cui anela per sé e per suo figlio la Giulietta di Donatella Finocchiaro. Perché quel mare ingrato gli ha annegato il marito e da troppo tempo è avaro di pesci e miracoli. Da quello stesso mare arriva un giorno una ‘madonna' laica e nera, che il paese di origine ha ‘spinto' alla fuga e quello ospite rifiuta all'accoglienza. La Sara di Timnit T. è il soggetto letteralmente ‘nel mezzo', a cui corrisponde con altrettanta drammaticità la precarietà sociale della famiglia indigena, costretta su un'isola e dentro un garage per fare posto ai vacanzieri a cui è devoto, oltre morale e decenza civile, il Nino ‘griffato' (e taroccato) di Beppe Fiorello. Ma se l'Italia del continente, esemplificata da tre studenti insofferenti, si dispone a prendere l'ultimo ferryboat per un mondo di falsa tolleranza dove non ci sono sponde da lambire e approdare, l'Italia arcaica dei pescatori e del sole bruciante (re)agisce subito con prontezza ai furori freddi della tragedia. Di quei pescatori il Filippo di Filippo Pucillo è il degno nipote, impasto di crudeltà e candore, che trova la via per la ‘terraferma' senza sapere se il mare consumerà la sua ‘nave' e la tempesta l'affonderà. Nel rigore della forma e dell'esecuzione, Crialese traduce in termini cinematografici le ferite dell'immigrazione e delle politiche migratorie, invertendo la rotta ma non il miraggio del transatlantico di Nuovomondo. Dentro i formati allungati e orizzontali, in cui si colloca il suo mare silenzioso,
Terraferma trova la capacità poetica di rispondere alle grandi domande sul mondo. Un mondo occupato interamente dal cielo e dal mare, sfidato dal giovane Filippo per conquistare identità e ‘cittadinanza'.

TERRAFERMA di Emanuele Crialese

Se Cose dell’altro mondo ha introdotto alla 68 Mostra del Cinema di Venezia l’argomento immigrazione in modo ludico e surreale, con Terrafe...
Cosa succederebbe al nostro Paese se tutti gli immigrati sparissero di colpo? Francesco Patierno (Il mattino ha l’oro in bocca), sualla scorta di un precedente film di Alfonso Arau (A Day without a Mexican) cerca di immaginarlo in Cose dell’altro mondo, proiettato a Venezia nella sezione Controcampo. Nel film Diego Abatantuono è l’imprenditore di una cittadina veneta che vanta tra i suoi operai un buon numero di stranieri con regolare permesso di soggiorno. Nonostante ciò, l’uomo d’affari non rinuncia al suo pistolotto razzista quotidiano contro i “diversi” che va in onda sulla tv locale, parlando un semidialetto molto divertente e con battute che susciterebbero l’invidia di un Calderoli. Fatto sta che l’ipotesi tanto vagheggiata che tutti salgano sui barconi o prendano il cammello e tornino a casa si concretizza per una sorta di fenomeno sovrannaturale. Come se qualcuno lassù avesse ascoltato le invocazioni del signorotto locale.
Il tema dell’immigrazione viene qui affrontato con umorismo e senso del paradosso, mostrando non solo le conseguenze socioeconomiche in un Paese in cui tutti i lavori umili sono svolti dagli stranieri, ma anche le ripercussioni affettive che una sparizione così repentina potrebbe suscitare.
L’obiettivo evidente del film è quello di restituire una dimensione emotiva a un problema che solitamente viene trattato solo in ambito socio-politico. I tre protagonisti del film: l’imprenditore Abatantuono, sua figlia (la maestra idealista Valentina Lodovini) e il commissario Valerio Mastandrea si ritrovano improvvisamente faccia a faccia con i problemi e e le relazioni che si erano buttati alle spalle. La sparizione delle badanti, dei netturbini, dei filippini, degli operai a cottimo e così via diventa così il detonatore di una deflagrazione sentimentale: senza quei punti di riferimento, ogni personaggio è, infatti, costretto ad affrontare la propria solitudine, le proprie ipocrisie. Una “fiaba” coraggiosa, con un punto di vista ben preciso e manifesto, che ha l’ambizione (e il desiderio) di abbattere i pregiudizi a colpi di risate.

COSE DELL'ALTRO MONDO di Francesco Patierno

Cosa succederebbe al nostro Paese se tutti gli immigrati sparissero di colpo? Francesco Patierno (Il mattino ha l’oro in bocca), sualla scor...

In December 2010, Washington attorney Jennifer Podkul received a call from the Department of Homeland Security inspector general's office, asking to speak with one of her clients.
The client was a minor, 17, when Podkul, a legal aid group attorney, happened to meet him during a routine visit to a Virginia juvenile jail. The boy had been sent to the Northern Virginia Juvenile Detention Center, which has an immigration wing, after U.S. Border Patrol agents caught him, unaccompanied by any family members, crossing into Texas from Mexico for the third time.
The first time the boy had crossed into the United States was in 2009, he was 16, with a backpack of marijuana a gang told him to carry. He told Podkul he had asked agents then if he could stay and offered to give them information about smuggling routes.
Instead, the boy told the lawyer, the agents had their own proposal: They told him to go back to Mexico and get more information, including names of smugglers. The request was a direct violation of the intent of 2008 federal legislation designed to help stop abuse of minors by human traffickers, Podkul told iWatch News.
Now it appeared that the IG's office wanted the boy to cooperate in their own investigation of how the agents had treated him.
"They wanted to show him photos of the agents," Podkul said, "and to talk to him." The boy, she said, had been "terrified of the Border Patrol," but he had also been terrified of not making his delivery of drugs for the gang that an uncle had allegedly forced him to enter into at 14.
Border Patrol spokesman Bill Brooks, who is based in Marfa, Texas, said he wasn't aware of the inquiry into Border Patrol agents in Texas that Podkul described. He added that he couldn't comment on pending legislation affecting the Border Patrol.
"Our agents are trained, and they're going to be on the side of the juvenile during the process," he said. "If we find signs of trafficking, we turn the case over right away to investigators at Immigration and Customs Enforcement."
But the inquiry by Homeland Security's inspector general serves to illuminate other, broader concerns about having Board Patrol agents undertake the sensitive interviews, or screenings, that Congress has mandated of unaccompanied minors, specifically Mexicans, who cross illegally into the United States.
Congress added the provision for screening youths from Mexico and Canada to the Trafficking Victims Protection and Reauthorization Act in 2008 as a way to identify minors who may be under the control of drug or sex traffickers or who may face other threats if sent home. But its effectiveness has been questionable and child-welfare advocates say better screening and more reforms are needed to dissuade minors from repeat crossings, and prevent them from becoming prey of violent criminal gangs on the border.(Huffington Post)

Mishandled minors: Detained immigrant children need better assistance

In December 2010, Washington attorney Jennifer Podkul received a call from the Department of Homeland Security inspector general's offi...

Il Commissario delegato per l’emergenza umanitaria Franco Gabrielli “ha piena consapevolezza della problematica legata ai minori stranieri non accompagnati giunti in Italia nell’ambito dell’eccezionale afflusso di migranti dalle coste nordafricane, fatto per il quale è costantemente in contatto con le organizzazioni umanitarie presenti nelle strutture e con le quali è stato possibile, in questi mesi, superare diversi ostacoli.”
Al momento a Lampedusa ''sono presenti quattro bambini accompagnati, facenti parte di due nuclei familiari distinti. Il trasferimento in altre strutture di uno di questi nuclei familiari non e' stato a oggi possibile per il fatto che uno dei due genitori e' sottoposto a cure mediche mentre l'altro e' in attesa di determinazioni da parte della magistratura; il secondo nucleo familiare sara' trasferito quanto prima, non appena si renderanno disponibili posti in una struttura adeguata''.
A fronte di 2.467 minori non accompagnati arrivati a Lampedusa dall’inizio dell’anno, sono 201 quelli accolti attualmente nelle strutture dell’isola. Al fine di una gestione quanto più in linea con le procedure ordinarie dell’accoglienza dei minori, il Commissario delegato per l’emergenza umanitaria, con un decreto del 18 maggio ha nominato come Soggetto Attuatore per l’assistenza nei confronti dei minori stranieri non accompagnati il Responsabile Immigrazione (Direttore Generale) del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dicastero da cui dipende il Comitato per i minori stranieri, la cui funzione è quella di predisporre le partenze non appena si rendono disponibili luoghi adeguati per l'accoglienza.
Sulla condizione dei bambini a lampedusa clicca qui

201 i minori stranieri non accompagnati presenti a Lampedusa

Il Commissario delegato per l’emergenza umanitaria Franco Gabrielli “ha piena consapevolezza della problematica legata ai minori stranieri...
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