Quegli ex «bambini invisibili» che hanno trovato casa a Verona


Storia di Mamadou e Ahmed, che stanno riconquistando il futuro. Il forum europeo sui bambini di strada


VERONA—Mamadou ha 16 anni. E non è più «invisibile». Ahmed ne ha 17. E anche lui non è più «invisibile». Eppure Mamadou e Ahmed non solo avrebbero potuto diventare «invisibili». Ma liquefarsi. Erano uomini-bambini, Mamadou e Ahmed. Erano clandestini. E quando si è «invisibili» e si è anche poco più che dei bambini, il rischio è di essere cancellati. Mamadou e Hamed sono due dei dieci «minori stranieri non accompagnati» che vivono nella comunità di San Benedetto, del don Calabria. A Verona quei «minori stranieri non accompagnati» seguiti dai Servizi Sociali del Comune sono una cinquantina. E nelle sue comunità, tra il Veronese e il resto d’Italia, l’istituto Don Calabria ne ospita almeno un migliaio. Mamadou e Ahmed sono due di quei tanti ragazzi stranieri che rischiano di diventare «ragazzi di strada» e si liquefanno nei mille rivoli dell’emarginazione. Di loro, di quei «minori stranieri non accompagnati» - termine «tecnico» per definire i giovani clandestini che arrivano in Italia senza famiglia - si è parlato giovedì al «forum europeo sui bambini di strada» che è dedicato al tema della violenza.

Una due giorni organizzata dall’European Federation for Street Children in collaborazione con la Comunità di San Benedetto. C’erano esperti da tutto il vecchio continente, giovedì nella sala Da Lisca. Ma a parlare, sopra a tutto e a tutti, sono le storie come quella di Mamadou e Ahmed. Mamadou è arrivato dal Senegal. Ma non è arrivato direttamente in Italia. Perché Mamadou quando aveva 15 anni è andato in Libia. Voleva e doveva lavorare, Mamadou. Si era messo da parte mille dinar libici. Quelli che ha speso, quando è scoppiata la guerra, per salire su un barcone e arrivare a Lampedusa. «Ero solo - racconta - e il viaggio è durato tre giorni. E’ stata dura. Niente da bere, niente da mangiare. E il mare che faceva star male». Mamadou dice che nessuno lo ha convinto. Che nessuno gli ha detto di venire in Italia che c’era un lavoro per lui. Perché, come ha spiegato Alessandro Padovani, direttore della comunità di San Benedetto, se questi uomini-bambini non vengono intercettati dalle «istituzioni» hanno tre strade segnate: diventare apolidi non solo geograficamente ma nell’anima. Lo spaccio. E la prostituzione o il racket delle elemosine.

Mamadou non ha assaporato nulla di tutto questo. Perché Lampedusa gli ha «regalato» direttamente la comunità di San Benedetto. Ci è arrivato il 22 luglio del 2011. Ha fatto il corso di alfabetizzazione, ha preso la licenza di terza media e sta frequentando la scuola edile. «Qui sto bene e vorrei rimanere», dice. Anche Ahmed non vuole andarsene. Lui è tunisino. E a San Benedetto è arrivato da pochi mesi. L’italiano, con i corsi della comunità, lo ha imparato in fretta, come imparano i ragazzi svegli di 17 anni. In Tunisia ha una madre, tre fratelli e poco da mettere insieme per pranzo e per cena, Ahmed. Mettici gli amici che vivono in Italia e che ti raccontano che qui è un El Dorado e il gioco è fatto. Si è nascosto in un camion, Ahmed. Quel camion su una nave è arrivato in Italia con lui rannicchiato. Ha preso un treno e ha deciso che doveva arrivare a Verona, perché c’era un amico. Lo hanno «preso» alla stazione. Lo hanno mandato a San Benedetto. Sta frequentando la scuola per prendere il diploma delle scuole medie. Poi vuole fare l’elettricista. Ma per un Mamadou e un Ahmed migliaia diventano «gli invisibili degli invisibili». «L’Europa s’interroga» a Verona su questo tema. Ma più che domande ci vorrebbero risposte concrete. Quello che si chiede nel Forum in corso.

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