Siria, bambini prigionieri nelle tendopoli

Viaggio nel campo di Bab al Salam. Dove la metà dei profughi sono minorenni. E per avere le medicine bisogna pagare il racket. Oppure vendere il corpo delle proprie figlie.

Fatima ha perso la sua famiglia. Abitava vicino ad Aleppo e ha dovuto percorrere 60 chilometri, un po’ in bus, molti a piedi, insieme con la nonna cieca, per raggiungere Bab al Salam.

Il nome significa 'porta della pace', ma si tratta di un campo rifugiati: una tendopoli che accoglie 17 mila persone. La metà sono bambini. Ciondolano lungo le viuzze impolverate tra le tende, corrono in cerca di caramelle dietro al primo straniero che entra e si azzuffano tra loro come fossero bambini qualunque.
1,8 MILIONI DI RIFUGIATI. Invece fanno parte del popolo di 1 milione e mezzo di persone in fuga dalla guerra siriana. Il numero è al ribasso: le statistiche dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni unite, non sono esatte, perché non tutti i rifugiati vengono registrati all’ingresso dei campi.
IL TENTIVO DI FUGA VERSO LA TURCHIA. Bab al Salam è sotto il controllo dell’Esercito siriano libero e dista 800 metri dal confine turco, il che incoraggia i tentativi di fuga verso  i campi profughi dell’Anatolia, meglio organizzati e dotati di strutture sanitarie decenti.
La corsa dei fuggitivi, in genere, ha breve durata. I militari al valico chiedono il passaporto e poi li rimandano indietro al grido di «Yalla, Yalla, go, go». Arabo o inglese, il messaggio è chiaro: via.

Scuola, ricreazione e ambulatorio in un container

Non resta che trovare riparo nella tendopoli dove, a dispetto  delle associazioni umanitarie e dei volontari (Unhcr, International medical corps, World food programme, Relief international), il disordine è massimo.
LA PROLIFERAZIONI DI MALATTIE. Le tende vengono donate all’ingresso, ma nessuno sa come si montano. I vicini si arrangiano come possono, cercando aiuto l’uno l’altro. Soprattutto, però, è la distribuzione dei medicinali a essere totalmente inefficiente.
Il campo è infestato da malattie legate alla scarsa igiene: se nel gelido inverno per produrre calore si bruciavano i copertoni emettendo gas tossici, in estate, a 40 gradi, i bambini, bevono qualsiasi liquido capiti a tiro pur di dissetarsi. Con conseguenze forse irreparabili.
LE DIFFICOLTÀ PSICOLOGICHE. «Ci sono i bimbi denutriti, altri che girano a piedi nudi in mezzo ai rifiuti, ma sopra ogni cosa sono i problemi psicologici dei piccoli a spaventare, perché avranno ripercussioni sul loro avvenire, anzi, su quello di un’intera generazione», racconta  aLettera43.it Alì, originario di Aleppo, un ottimo lavoro nell’ ospedale di Azaz durante il regime e ora neoassunto dall’organizzazione umanitaria italiana Time4life per  gestire il container-ambulatorio all’interno del campo.
LA RICREAZIONE NEL CONTAINER. Nella tendopoli ci sono scuole, che sono portate avanti da maestri volontari anche d’estate sfidando il caldo torrido.
La sala ricreativa, invece, è  contenuta in un container. È gestita da un’associazione inglese, Imc, il cui rappresentante arriva con il suo suv ogni giorno per una mezz’ora e riparte subito evitando di rilasciare qualsiasi dichiarazione ai giornalisti.
Anche per via del suo atteggiamento gli occidentali, specie quelli delle grandi agenzie umanitarie, non sono ben visti da queste parti. «Visitano il campo, fanno foto, trascorrono un paio d’ore e poi se ne vanno dando quasi l’impressione di essere turisti», racconta a Lettera43.it un maestro.

Il racket su elettricità, farmaci e cibo

Nonostante esistano uffici e strutture di base, la gestione del campo ruota intorno alla mafia interna. Che gestisce qualcosa di molto simile al racket.
Le famiglie pagano un extra per essere collegate all’elettricità, per il cibo, per aprire un chioschetto, per ottenere medicinali.
LE DONNE IN VENDITA. E a chi è senza soldi, spesso, non resta che vendere il proprio corpo. Abusi nei confronti di donne e ragazze e matrimoni forzati per giustificare gli stupri sono una realtà (leggile storie raccolte da Lettera43.it): una ragazza siriana si può acquistare a 100 o 200 dollari.
Si dice che 90 mila donne e bambini abbiano subito stupri e abusi sessuali in Siria dall’inizio del conflitto
LO STUPRO COME ARMA DI GUERRA. «Ricordo un uomo venuto al campo per esaminare l’aspetto delle donne e poi chiedere di fare loro foto con qualche scusa» racconta Bosma, 15 anni, una ragazza della tendopoli che parla un po’ di inglese. Probabilmente era lì per sceglierla e comprarla.
Anche lo stupro diventa un’arma di guerra. È già successo molte volte, dai Balcani all’Africa. Ma la storia tende sempre a ripetersi.
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