Una realtà
complessa e dolorosa, è quella dei minori stranieri soli che presentano forme
di disabilità. Una condizione che lega insieme doppie fragilità , e che pone
inevitabilmente nuove sfide sul fronte dei percorsi di accoglienza e
integrazione. Disabilità che talvolta sono all'origine del viaggio, nella
speranza di ottenere cure più adeguate alle proprie condizioni, in altri casi
diventano la conseguenza diretta dei pericoli connessi alla traversata.
Il quadro dei riferimenti scientifici sul tema risulta
piuttosto carente, poichè calibrato sull'una o sull 'altra dimensione: la
disabilità o la migrazione. Gli studi e le statiche nazionali, non forniscono
un quadro chiaro e preciso della situazione attuale. Le ricerche, infatti, si
concentrano maggiormente sui temi di interesse generale inerenti l’immigrazione
per cui non viene posta un’attenzione specifica
alla peculiare condizione di questi minori stranieri. A permanere è un approccio emotivo e poco
scientifico alla questione, nonostante il nostro paese con la Legge 18/2009
abbia ratificato la Convezione ONU sui diritti delle persone con
disabilità,con la quale si sancisce l’impegno dei vari Stati firmatari a
raccogliere informazioni appropriate, compresi dati statistici che permettano
di formulare ed attuare politiche capaci di dare concreta attuazione ai diritti
delle persone con disabilità, rimuovendo
le barriere che si incontrano nel loro
esercizio. E infine attribuisce agli Stati la responsabilità della diffusione
di tali statistiche, garantendone a tutti l’accessibilità.
Un’ autentica Accoglienza ed Integrazione ,
si realizza attraverso il pieno riconoscimento, senza limiti, dell’altro e
della sua condizione, per cui è possibile intuire come la mancanza di
conoscenze sulla presenza di tali minori, sul tipo di disabilità maggiormente
diffuse, si scontrano con l’incapacità di attuare politiche sociali
adeguate,che possano determinare una
presa in carico globale ed unitaria dell’individuo, in grado di superare il
gap che talvolta si determina tra il riconoscimento di un diritto e la sua
concreta attuazione.
E’ una situazione
complessa, che si rende ancor più delicata quando il disagio si pone da un
punto di vista psicologico. Gli operatori sociali riconoscono la difficoltà
nell’individuare subito tali forme di disabilità, le quali emergono solo dopo
alcune settimane, poiché mancando la presenza di un care giver di riferimento, che possa indicare subito la condizione
del bambino, solo un osservazione attenta di esso può essere utile a rilevare
il disagio. Il limite più grande è dato soprattutto dalla barriera linguistica.
Ciò fa si che il ruolo del Mediatore Culturale,
che sia in grado di interagire efficacemente con il minore sia fondamentale. Il
rischio infatti, è quello di medicalizzare comportamenti culturali che non si
comprendono e culturalizzare disturbi che non si riconoscono. Le diversità
culturali in questo campo incidono molto, ma non per questo devono essere
intese come un impedimento rispetto alla promozione di buon livello di qualità
di vita.
A restituirci un
piccolo squarcio di questa realtà, è il mondo della scuola, dove il ragazzo
trascorre gran parte della giornata e in cui si realizza maggiormente la sua
integrazione. La maggior parte dei minori stranieri manifesta disturbi specifici dell’apprendimento (
DSA) , ma non mancano bambini affetti dalla cosidetta “ Sindrome dell’esiliato” caratterizzata da un senso profondo di
depressione, abbandono, disorientamento che blocca letteralmente il bambino,
condizionando ogni possibilità di evoluzione positiva.
Risulta essenziale,
nell’attivazione del processo di aiuto, considerare la specificità dei bisogni
di questi minori, ricostruire la loro storie di vita, comprendere i contesti
nei quali sono cresciuti e in cui hanno avuto origine gli stati di sofferenza.
Per agire validamente, nell’interesse supremo del minore, secondo una prospettiva
di cura e di sostegno è necessario l’attivazione di servizi lontani da ogni
logica di standardizzazione, che siano in grado di considerare non solo lo
stato di handicap, ma anche la condizione di minori, di stranieri , soli.
E’ dunque
nell’operatività concreta che le due dimensioni non sono considerate più nei
termini di due emisferi separati, ma trovano un punto di intersezione nel
riconoscimento della globalità dell’individuo e nell’implementazione del lavoro
d’equipe’.
Da un analisi generale della situazione, è
possibile affermare che sebbene siano attivati percorsi ad hoc nel momento in
cui vi è l’individuazione del disagio, questi non sono abbastanza nel
determinare quella che viene considerata
come una presa in carico unitaria e complessa rispetto al fenomeno e nel
tutelare la salute intesa sia in termini di benessere fisico che mentale. Inoltre, il raggiungimento della
maggiore età, spesso determina che si arrestino bruscamente i percorsi di aiuto
e i progressi sino a quel momento raggiunti. L’ostacolo principale è che il
nostro paese tende ad affrontare i problemi solo sulla base di emergenze, la
mancanza di dati precisi, di conseguenti politiche poco incisive che si
focalizzano sul deficit e gli svantaggi individuali piuttosto che
sull’incremento delle risorse residue, sono la prova di ciò. Si richiede una
maggiore sensibilità ed attenzione per non creare politiche che sottolineano lo
status si soggetti stranieri e disabilitati, ma politiche che partendo dalla
valorizzazione delle capacità residue siano in grado di superare le
disuguaglianze in un’ottica di cura e inclusività.
A cura di: Floriana Ciotola
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