«Era impossibile stare al sole, ma c’era solo un tendone. L’ombra non bastava per tutti, e quando pioveva ci bagnavamo. C’erano solo due bagni». Per non dire dell’igiene: «C’era un marinaio con un tubo che spruzzava acqua per un minuto su dieci persone alla volta, poste nude dietro un telo di plastica».
Sulla Corte dei diritti umani di Strasburgo stanno piovendo decine di testimonianze come questa, raccolte in un rapporto redatto da Oxfam e da Borderline Sicilia. I testi integrali vengono depositati in questi giorni attraverso numerosi legali dei migranti rimasti in “ostaggio” del braccio di ferro politico che, in pieno agosto, costrinse oltre cento persone a restare sul ponte dell’ammiraglia della Guardia costiera. I migranti che stanno facendo ricorso ai giudici internazionali contestano il «trattenimento illecito» e le condizioni «degradanti» in cui sono stati costretti, nonostante tutti gli sforzi e la grande umanità pur riconosciuti all’equipaggio.
A bordo della Diciotti, dopo che vennero fatti sbarcare 23 minorenni non accompagnati, erano rimasti 130 eritrei, 10 migranti delle Isole Comore, sei bengalesi, due siriani, un egiziano ed un somalo. Per loro, nuovi vestiti arrivarono il 22 agosto, dopo i primi due giorni trascorsi nel porto di Catania ma una settimana dopo essere stati salvati. Altri indumenti vennero portati da una delegazione guidata da Gianfranco Micciché, il presidente dell’Assemblea regionale siciliana.
Agli atti dei ricorsi che dovranno essere esaminati dal tribunale di Strasburgo ci sono le testimonianze degli stranieri, corroborate da quelle di alcuni legali dell’associazione Borderline Sicilia che riuscirono a salire a bordo della nave della Guardia Costiera. «Dopo due giorni ci hanno detto che dovevamo fare la doccia», si legge in una delle dichiarazioni raccolte dai legali. «Quella ricorda un altro richiedente asilo – è stata l’unica occasione, per noi uomini, di lavarci. Invece le donne erano aiutate a fare la doccia da un’operatrice di Intersos», l’organizzazione non governativa ammessa sulle navi militari per svolgere la prima assistenza e la mediazione linguistica.
«Ho saputo il motivo per cui non era possibile sbarcare solo dal comitato di tre eritrei che abbiamo costituito sulla nave per potere parlare con il comandante», ha raccontato un ragazzo: «Per ben due volte ci ha detto che il problema era che saremmo dovuti sbarcare a Malta e che quindi per questo motivo il governo italiano non ci permetteva di scendere». Questa circostanza è confermata da altri migranti. «Abbiamo navigato per 56 ore arrivando a poca distanza dalle coste di Malta; lì siamo stati raggiunti da una motovedetta della guardia costiera maltese che - racconta un eritreo di 28 anni - ci ha fornito i giubbotti e qualcosa da mangiare e ci ha guidati per un tratto di mare, fuori dalle loro acque territoriali».
A quel punto i guardacoste arrivati da La Valletta «ci hanno indicato la direzione da seguire verso Lampedusa, e sono tornati indietro. A quel punto qualcuno sul gommone ha chiamato la Guardia costiera italiana che ci diceva di avvicinarci e di non preoccuparci perché ci stavano osservando a distanza. Dopo due ore il mare si è ingrossato e la Guardia costiera italiana ha deciso di prenderci a bordo della nave Diciotti». A bordo della nave «le condizioni erano terribili».
Non perché i migranti subissero maltrattamenti. Ma la dedizione dei marinai non bastava certo a metterli al riparo dal caldo di giorno e dal freddo di notte. Per ore si faceva a turno per stare all’ombra, così come per ripararsi dalla pioggia e dagli schizzi del mare, ricorda un altro ragazzo proveniente dal Corno d’Africa. La corte dei Diritti umani esaminerà è chiamata a esaminare l’intera vicenda, non solo lo stallo nel porto di Catania. «Siamo rimasti per tre giorni davanti la costa di Lampedusa: 13 persone (famiglie con bambini) che necessitavano di cure mediche sono state trasferite sull’isola. Dopo - si legge in’altro dei ricorsi contro l’Italia – la nave Diciotti ha ripreso la navigazione ed è arrivata a Catania il 20 agosto. La nave ha attraccato al porto ma non ci è stato permesso di scendere. Ci hanno genericamente spiegato in inglese che il governo non permetteva lo sbarco».
Le undici donne del gruppo, visitate sulla nave da medici ammessi a bordo sotto il sole cocente di Catania, recavano tutte i segni delle ripetute e brutali violenze sessuali subite in Libia. A tutte fu offerto di scendere per venire ricoverate in ospedale, ma cinque di loro scelsero di non abbandonare i mariti sulla nave. «Le norme di diritto internazionale obbligano i soccorritori a sbarcare i migranti in un luogo sicuro nel più breve tempo possibile », insistono da Oxfam-Borderline. «Nel caso della nave Diciotti questo termine è stato prolungato illegittimamente, al solo scopo di favorire una trattativa ricattatoria - si legge nei ricorsi a Satrasburgo – nei confronti degli altri Paesi europei tenendo le persone in ostaggio».
Autore: Nello Scavo
Fonte: Avvenire
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