Ci sono storie che aspettano solo di essere raccontate e lettori che attendono solo di poterle leggere.
La storia di Enaiatollah Akbari è una di queste: troppo emozionante, troppo commovente, troppo “vera” per restare nell’ombra.
Lo scrittore piemontese
Fabio Geda l’ha scoperta e trasformata in un libro. Centocinquanta pagine, raccontate in prima persona e tutto d’un fiato dal giovane protagonista, che ripercorre le tappe della sua odissea, da un piccolo villaggio adagiato sul fondo di una sperduta valle afghana all’Italia, dove ha deciso di fermarsi per riannodare i fili spezzati della sua vita.
Nascere in Afghanistan è preludio a un’esistenza difficile. Nascere hazara equivale a una vera e propria condanna. Sin dall’infanzia
Enaiatollah sconta sulla sua pelle le discriminazioni riservate a quelli come lui, che, naso piatto e occhi a mandorla, appartengono a un’etnia minoritaria tenacemente osteggiata dalla maggioranza pashtun. La sua famiglia è minacciata e il padre costretto a lavorare per i trafficanti afgani fino al tragico incidente che gli costa la vita. I talebani chiudono con la violenza la sua scuola trucidando un coraggioso insegnante davanti ai suoi occhi. Per questo, quando compie dieci anni, la madre lo porta a Quetta, in Pakistan, nella convinzione che un futuro incerto in un nuovo paese sia meglio di un destino già segnato in patria. Enaiatollah è solo, per la prima volta lontano da casa, in un paese molto pericoloso. Con un’intraprendenza e una forza d’animo che è per noi difficile immaginare in un bambino della sua età, riesce a sopravvivere procurandosi lavoretti di fortuna. Quando la situazione diventa insostenibile fugge in Iran e lavora tra i clandestini nei cantieri edili e nelle cave di pietra. Da qui raggiunge la Turchia, con una marcia estenuante attraverso impervi valichi montuosi, e Istanbul, nascosto nel doppio fondo di un camion, una vera e propria tomba in movimento dove tocca la morte con mano. Poi una rocambolesca traversata in gommone fino alle coste greche e da lì, un po’ per caso un po’ per fortuna, in Italia.
Per anni la vita di Enaiatollah è una fuga continua tra poliziotti corrotti e violenti e trafficanti di uomini senza scrupoli. Ma anche in questo desolante panorama fanno la loro consolatoria apparizione la compassione e la solidarietà. Hanno il volto di un’amorevole vecchina greca, di un generoso ragazzo veneziano, di un’accogliente famiglia piemontese. I loro gesti di gratuita umanità dimostrano che non tutto è perduto, che è ancora possibile restituire la speranza a un’esistenza troppe volte ferita e umiliata.
Nel mare ci sono i coccodrilli è un libro che emoziona e commuove, ma fa anche sorridere. Nonostante la drammaticità dei fatti raccontati, mantiene sempre un tono lieve e pacato, con un pizzico di ironia, da cui traspare l’ottimismo che è la grande forza del protagonista.
È un libro che punta diritto al cuore e ci invita a riflettere. Dopo averlo letto non potremo più voltarci dall’altra parte e fingere di non vedere il carico di sofferenza nascosta dietro lo sguardo di molti immigrati clandestini. Sarà impossibile non interrogarsi su cosa possiamo o dobbiamo fare, come nazione e singoli cittadini, per evitare che odissee come quella del piccolo Enaiatollah Akbari si ripetano ogni giorno.