Es war einmal die Mauer... ancora nella mente

C’era una volta il muro…

il muro tedesco, emblema della divisione di un popolo entro i propri confini, simbolo di famiglie lacerate, di coniugi separati, della “striscia della morte” e della persecuzione nel caso in cui, malgrado tutte le misure di sicurezza, qualcuno tentasse ugualmente di violare quella barriera che appariva insormontabile.

Venticinque anni dopo la caduta del muro le immagini della riunificazione invadono gli schermi televisivi. Le immagini sono commoventi: familiari che si ritrovano dopo essere stati separati per decenni, coniugi che possono ricominciare una vita insieme, bambini che rivedono i nonni.

Libertà di movimento, libertà di opinione politica, democrazia e integrazione in un’Europa che apre i suoi confini diventano i nuovi valori e gli obiettivi fondamentali. Il muro cade e la gente collabora con le proprie mani ad abbattere la “Cortina di ferro”.

Oggi, invece? ci risiamo.

I muri fanno parte della società e del presente del mondo cosiddetto “avanzato e democratico” e dell’Europa stessa. Il muro è tornato drammaticamente di moda come figura simbolica perché il concetto in sé indica separazione che equivale a sicurezza.
I paesi dell’Ue fanno a gara a costruire il muro più alto, il muro più lungo. Prima era la frontiera di Melilla e Ceuta, poi Evros e la Bulgaria. É notizia di oggi che anche l’Ungheria ha annunciato la costruzione di un muro alto 4 metri lungo tutto il confine con la Serbia. “Un tratto di confine lungo 175 km, la cui chiusura fisica potrà essere realizzata con una recinzione alta quattro metri.  Il ministro dell’Interno ha ricevuto l’ordine di costruirla”. Oppure ci sono quei muri, sottili, invisibili, costituiti dai gendarmi ai confini per evitare che richiedenti asilo li possano attraversare.
Nel loro carattere specificatamente moderno, i muri, e la seprazione netta che creano, pensati al fine della sicurezza finiscono col cancellare la stessa possibilità di mantenere o costruire una “cultura del confine”, cioè la cultura della differenza che si incontra e che si struttura a seconda delle esigenze della vita quotidiana nelle nostre stesse società.

Oggi il muro non è soltanto legato al tema delle migrazioni. Infatti, tutte le relazioni sociali sono in crisi; i conflitti sociali e relazionali si vivono fin dentro ai nostri condomini. 

Individualizzazione, paura e insicurezza fanno parte di uno stato di malessere del nostro modello di vita, che però trova nello straniero un perfetto capro espiatorio.

E’ opportuno quindi riflettere sul fatto che non bisogna abbandonare lo sforzo di riflettere su come costruire una convivenza e una nuova fiducia civica, senza negare il conflitto esistente ma nel tentativo esplicito di abbattere i muri, fisici e immateriali, costruiti secondo una logica fondata sulla vigilanza e sulla distanza.

Costruire una cittadinanza oltre i nuovi muri è la grande sfida contemporanea negli spazi della pluralità.

LEONARDO CAVALIERE
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C’era una volta il muro … ancora nella mente e fisicamente.

Es war einmal die Mauer... ancora nella mente C’era una volta il muro… il muro tedesco, emblema della divisione di un popolo entro i p...
Diffuso oggi l’8° Rapporto di monitoraggio del Gruppo CRC, che fa il punto sull’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia

In Italia 1 bambino su 7 nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, 1 su 20 assiste a violenza domestica.

Nel Belpaese, 1 bambino su 7 nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, 1 su 20 assiste a violenza domestica e 1 su 100 è vittima di maltrattamenti. 1 su 20 vive in aree inquinate e a rischio di mortalità. 1 su 50 soffre di una condizione che comporterà una disabilità significativa all’età dell’ingresso nella scuola primaria, 1 su 500 vive in strutture di accoglienza. Più di 8 bambini su 10 non possono usufruire di servizi socio-educativi nei primi tre anni di vita e 1 su 10 nell’età compresa tra i 3 e i 5 anni. Nel 2013 in Italia sono andati al nido solo 218.412 bambini, pari al 13,5% della popolazione sotto i tre anni. E la situazione nel Mezzogiorno è ancora più grave, se si considera che tutte le regioni del Sud si collocano sotto la media nazionale, come la Sicilia con appena il 5,6% dei bambini che ha avuto accesso al nido; la Puglia con il 4,4%; la Campania con il 2,7% e la Calabria con il 2,1%.


Questi i principali dati che emergono dal Rapporto di monitoraggio sull’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese, giunto alla sua ottava edizione, alla cui redazione hanno contribuito 124 operatori delle 90 associazioni del Gruppo CRC, e presentato stamane alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti.
Il Rapporto, evidenzia che, a vent’anni esatti dal primo Rapporto sullo stato di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC), inviato dall’Italia al Comitato ONU per la CRC, “il sistema organico di politiche per l’infanzia” su cui il nostro paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione non è stato realizzato. Le associazioni auspicano che l’adozione del nuovo Piano Infanzia, con priorità e azioni ben definite e supportate da un adeguato impegno economico, possa essere il primo passo per rimettere al centro dell’agenda politica le misure per la tutela per l’infanzia.

“Ci sono bambini che fin dalla nascita soffrono di carenze che ne compromettono lo sviluppo fisico, mentale scolastico, relazionale – sottolinea Arianna Saulini, di Save the Children e coordinatrice del Gruppo CRC. “Tra questi eventi, indicati come fattori di rischio, figurano condizioni sfavorevoli durante la gravidanza, cure genitoriali inadeguate, violenza domestica ed esclusione sociale. Per questo chiediamo – aggiunge Saulini - che il prossimo Piano Nazionale Infanzia dedichi speciale attenzione ai primi anni di vita del bambino, che vengano realizzate politiche adeguate per superare il divario territoriale nell’offerta educativa e di costruire un qualificato sistema integrato per l’infanzia e l’adolescenza, impegnando adeguati e stabili investimenti finanziari e introducendo un meccanismo permanente di monitoraggio della spesa”.

A proposito di risorse dedicate all’infanzia e l’adolescenza, il Rapporto denuncia che a distanza di anni non esiste ancora un monitoraggio a livello istituzionale, manca una strategia nazionale e una visione di lungo periodo nell’allocazione delle risorse. Le carenze, tuttavia, non sono solo di tipo economico, ma anche di raccolta e coordinamento delle informazioni.

Così, ad esempio, se si considera il problema dei minori privi di un ambiente familiare, gli stessi dati forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali presentano lacune e incongruenze. Sappiamo infatti che al 31 dicembre 2012 i minorenni affidati a parenti erano 6.750, quelli affidati a terzi 7.444, per un totale complessivo di 14.191 affidamenti familiari, e che i minori inseriti in comunità erano 14.255. Poco o nulla sappiamo però sulle cause dell’allontanamento dalla famiglia e sui motivi che hanno portato a scegliere l’accoglienza in comunità o l’affido, il tipo di struttura di accoglienza e i tempi di permanenza. Informazioni che mancano soprattutto per i minorenni tra 0 e 5 anni. A ciò si aggiunge che molte Regioni non forniscono i dati richiesti, come la Calabria che non ha aderito alla rilevazione, la Liguria e la Sardegna che hanno fornito dati discordanti rispetto ai criteri della rilevazione, l’Abruzzo che non ha inviato i dati sull’affidamento familiare. Ed è incomprensibile il divario tra i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e quelli del Dipartimento per la Giustizia Minorile sugli affidamenti familiari consensuali o giudiziari. Sempre in merito al sistema di raccolta dati, la Banca Dati Nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione è operativa soltanto in 11 Tribunali per i Minorenni sui 29 esistenti e ciò rende difficile garantire a ogni bambino la scelta della miglior famiglia, quantificare e monitorare la situazione dei piccoli che non vengono adottati nonostante le tante famiglie disponibili.

Riguardo alle difficoltà economiche di molte famiglie con minori, pur riconoscendo l’impegno del Governo con la sperimentazione della nuova social card, Arianna Saulini ricorda che la povertà minorile in Italia è in continuo aumento - dal 2012 al 2013 i minori in condizioni di povertà assoluta sono passati da 1.058.000 (10,3%) a 1.434.000 (13,8%) - e ribadisce l’urgenza di un Piano nazionale di contrasto alla povertà, che tenga in debita considerazione le famiglie con figli minorenni e che sia in grado di mettere a sistema in maniera organica le varie e frammentate misure messe in campo in questi anni.

Il rapporto dedica poi un paragrafo ai minori stranieri non accompagnati (MSNA), tema di grande attualità considerati i numerosi sbarchi di questo periodo, rilevando la necessità di rendere subito operativo il nuovo sistema di accoglienza. Dal primo gennaio al 31 marzo 2015 sono sbarcati in Italia 10.165 migranti, di cui 902 minori (289 accompagnati e 613 non accompagnati), dato che a giugno è balzato a quasi 5.000 minori. Nel 2014, 26.122 minori hanno raggiunto le coste italiane e di questi 13.026 sono risultati essere non accompagnati, ovvero un numero pari a due volte e mezzo quello registrato nel 2013. Si tratta per la maggior parte di ragazzi tra i 15 ed i 17 anni, originari dell’Eritrea (3.394), dell’Egitto (2.007) e della Somalia (1.481). Va menzionato anche l’elevato flusso migratorio via mare dalla Siria: nel 2014 sono sbarcati 10.965 minori (10.020 accompagnati e 945 non accompagnati). Alla data di stesura del Rapporto erano oltre 500 i minori ancora in attesa del collocamento in comunità, che si trovano, da mesi, in strutture temporaneamente adibite alla loro accoglienza, attivate “in emergenza” a livello locale, in Sicilia, Puglia e Calabria.

Diritti dei minori ancora negati tra povertà, carenza di servizi e mancanza di coordinamento delle strutture preposte alla tutela

Diffuso oggi l’8° Rapporto di monitoraggio del Gruppo CRC, che fa il punto sull’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e d...
220 milioni i minori tra i 5 e i 17 anni ad essere coinvolti nel lavoro minorile, in base alle ultime stime mondiali. Per rendere l’idea,  quasi 4 volte l’intera popolazione Italiana. (l’Italia è poco meno di 61 milioni di abitanti – 30 novembre 2014). Oltre la metà rischia ogni giorno di perdere la vita e compromettere la propria salute a causa di lavori pericolosi. Il fenomeno colpisce ragazze e ragazzi nelle stesse proporzioni. 

Lanciamo l'hashtag #NoToChildLabour

Il 12 giugno del 2002 l’International Labour Organization (ILO), con l’obiettivo di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e dei Governi sulla necessità di eliminare ogni forma di sfruttemnto economico nei confronti dei bambini, ha proclamato ha proclamato la prima Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile.
Quest’anno, la comunità internazionale si è impegnata a eliminare il lavoro pericoloso, una delle peggiori forme di lavoro minorile, entro il 2016.
Inoltre, ne la Giornata mondiale contro il lavoro minorile si pone l’accento sull’importanza dell’istruzione di qualità per lottare efficacemente contro il lavoro minorile.

In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, l’appello alla comunità internazionale è:
  • ·         istruzione gratuita, obbligatoria e di qualità per tutti i minori, almeno fino all’età minima per l’ammissione all’impiego, e una azione decisa a favore di colore che sono attualmente coinvolti nel lavoro minorile;
  • ·         garantire la coerenza e l’efficacia delle politiche nazionali sul lavoro minorile;
  • ·         politiche che garantiscano l’accesso a una istruzione di qualità, e investimenti a favore degli insegnanti.

Oggi è una data importante, anche per fare un bilancio. Dal 2002 si registrano alcuni progressi, ma tanto deve essere ancora fatto. Da circa una decina di anni, il lavoro minorile tende a diminuire e di conseguenza si registra un aumento della frequenza scolastica. La cosa più urgente ora è di trarre vantaggio dalle esperienze positive per poter agire con più rapidità.
Ecco alcune fra le azioni urgenti più necessarie:

  • ·         provvedere all’istruzione gratuita, obbligatoria e di qualità;
  • ·         garantire a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi un ambiente educativo sicuro e di qualità;
  • ·         fornire opportunità ai più grandi che non hanno avuto la possibilità di studiare, di seguire programmi mirati di formazione professionale che forniscano anche le basi dell’istruzione;
  • ·         garantire l’applicazione di una legislazione coerente in materia di lavoro minorile e di frequenza scolastica;
  • ·         promuovere politiche di protezione sociale per favorire la frequenza scolastica;
  • ·         garantire l’adeguata formazione, la professionalità e la competenza degli insegnanti, assicurando loro condizioni di lavoro dignitoso fondato sul dialogo sociale;
  • ·         proteggere i giovani lavoratori durante la transizione dalla scuola al lavoro, impedendo che essi vengano intrappolati in forme di lavoro inaccettabili.

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No al Lavoro Minorile. 12 Giugno, Giornata Mondiale Contro il Lavoro Minorile

220 milioni i minori tra i 5 e i 17 anni ad essere coinvolti nel lavoro minorile , in base alle ultime stime mondiali.  Per rendere l’id...
This is the fifth in a series of posts, one year after the surge of unaccompanied undocumented minors who crossed across the U.S.-Mexico border, examining the effects it has had on communities, schools and children themselves.

The border surge, a year later: The perilous corridor to the U.S. slowly clearing out

This is the fifth in a series of posts, one year after the surge of unaccompanied undocumented minors who crossed across the U.S.-Mexico ...
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