Bambini in alto mare

Cosa succede quando sbarcano in Italia dei minori non accompagnati? Intervista a Dinah Caminiti di Ai.Bi., la Ong che, attraverso il progetto Bambini in alto mare offre la possibilità di prendere in affido un minore e a Nino Vinci che, grazie ad Ai.Bi., ospita un ragazzo somalo.

«Quando abbiamo visto alla tv le immagini della strage di Lampedusa del 3 ottobre, le bare bianche dei bambini, io e mia moglie abbiamo sentito che non potevano restare indifferenti. Ci siamo messi in contatto con Ai.Bi., la Ong tramite la quale abbiamo adottato un bambino del Congo che ora ha due anni e mezzo, e ci siamo resi disponibili ad accogliere un minore. All’inizio abbiamo messo un paletto: che il piccolo non avesse più di otto anni. Poi ci siamo resi conto che quel limite di età non aveva senso, perché quelli che arrivano da soli sono quasi tutti più grandi. Così, il 23 dicembre è entrato in casa nostra Haamid, un ragazzo somalo di 17 anni». A parlare è Nino Vinci, 34 anni, di Messina. La sua è una delle circa mille famiglie che si sono dichiarate pronte prendere in affido un minore, all’interno dell’iniziativa Bambini in alto mare promossa da Ai.Bi., Associazione Amici dei Bambini, una Ong che si occupa di minori e di adozioni internazionali.
Far arrivare Haamid a casa Vinci non è stato semplice. «Dopo lo sbarco a Siracusa è stato portato a Messina, dove in seguito al controllo radiografico è stato dichiarato maggiorenne. Lui però continuava a ripeterlo: “Ho 17 anni!”. È stato chiuso nel Cara di Mineo dal quale, insieme ad altri coetanei continuava a chiamare il Centro Affidi di Messina per chiedere aiuto. Alla fine la sua posizione è stata rivista ed è stato inserito nella lista dei minori, sulla base del fatto che il controllo osseo usato per stabilire l’età non è attendibile al 100%. Quando sono andato a Mineo per prenderlo era in atto una sommossa, c’erano posti di blocco e nessuno con cui parlare. Sono dovuto tornare indietro. Ma alla fine ce l’ho fatta! Il primo incontro con Haamid è stato al Cara, in una situazione di grande confusione. Ci siamo parlati tramite la mediatrice culturale, alla quale lui ha fatto solo due richieste: poter studiare e chiamare di tanto in tanto la sua famiglia. L’ho portato a casa, ed è iniziata la nostra avventura». Questo giovane somalo per ora parla solo la sua lingua e qualche parola di inglese. «Comunichiamo a gesti, un po’ in inglese e soprattutto usando il traduttore online», spiega Nino Vinci. Qual è la sua storia? «È il più grande di cinque figli, partito con alcuni coetanei per dare una speranza di futuro a sé e alla sua famiglia. Il viaggio è durato tre mesi, di cui otto giorni di navigazione. Gli è costato 1.500 dollari». Che sogni ha per il futuro? «È un ragazzino», risponde sorridendo Vinci «e ha i sogni di tutti i ragazzini: vorrebbe diventare calciatore o pilota! Ma gli ho spiegato che questo non è un momento facile per l’Italia, non c’è molto lavoro. Gli ho detto che per prima cosa deve imparare l’italiano e studiare, poi si vedrà. Ciò che è chiaro è che non vuole l’elemosina di nessuno, ma guadagnarsi da vivere. Qui ha legato con mio nipote, che ha la sua stessa età e vive vicino casa nostra. Stiamo costruendo un rapporto di fiducia lentamente, tramite parole, abbracci, dimostrazioni di affetto. Lui dice che ha due famiglie: la sua, in Somalia, che sente al telefono tutte le settimane, e la nostra».
Insieme a Sardus, una somala di 14 anni, Haamid è stato tra i primi ragazzini dati in affido tramite Ai.Bi., che al momento è l’unica Ong in Italia ad aver promosso questo genere di iniziativa. In tutto, i Msna (Minori Stranieri Non Accompagnati) che hanno trovato una nuova, temporanea famiglia, sono sette, somali e gambiani. «Le famiglie che danno la loro disponibilità sono tante, ma molte si fanno spaventare dal fatto che si tratti prevalentemente di adolescenti», spiega Dinah Caminiti della sede Ai.Bi. di Messina. Tra le opzioni che Ai.Bi. offre all’interno del progetto Bambini in alto mare non c’è solo l’affido: c’è anche la possibilità di dare un contributo economico o di dedicare un po’ del proprio tempo. «Per esempio, nella nostra comunità-alloggio di Messina, dove possiamo ospitare fino a 12 ragazzi, c’è un gambiano molto bravo nel karate e una famiglia si sta facendo carico delle spese affinché possa praticare questo sport», continua Caminiti. «Il problema dei minori è gigantesco, ed è un’emorragia continua: proprio l’altro giorno un ragazzino egiziano è venuto da me e mi ha detto: “Ho saputo che c’è mio cugino che sta arrivando con una barca, chiama la Guardia Costiera!”. Cosa che ovviamente non posso fare. I ragazzi sbarcano stremati, dopo almeno otto giorni di mare, durante i quali vanno avanti con pugni di sale e qualche chicco di riso crudo. Le motivazioni che li spingono a partire cambiano a seconda del Paese di provenienza. Per esempio, gli egiziani affrontano il viaggio come una prova: se ce la fanno, sono dei veri uomini. Arrivano addirittura con lettere di referenze per eventuali datori di lavoro. Un giorno ad alcuni di loro abbiamo dato una palla per giocare. Uno l’ha presa e ha chiesto dove fossero ago e filo: pensava gli stessimo chiedendo di crearne una uguale. Si sentono addosso le responsabilità degli adulti ed è proprio sulla restituzione dell’infanzia che lavorano i nostri educatori. Comunque la situazione degli egiziani è più fortunata rispetto a quella dei gambiani, per esempio, che scappano per non morire e affrontano il terribile passaggio attraverso la Libia».
Qual è l’iter che porta questi ragazzi dai porti di arrivo fino ai Servizi Sociali o all’Ai.Bi.? «Da quando è partita l’operazione Mare Nostrum, i migranti vengono intercettati in mare e trasbordati sulle navi della Marina Militare. I primi a essere portati via sono donne e minori, i quali spesso stanno nascosti al buio, nel sottovano, dove dovrebbe essere stipato il pesce. Vengono condotti nei porti preposti, sottoposti a visita medica e poi smistati in varie città. Rientrano sotto la giurisdizione dell’Ufficio Immigrazione della Questura, come gli adulti, ma entro 72 ore la loro presenza dev’essere segnalata ai Servizi Sociali o ai Centri Affidi, che si attivano. Il Centro Affidi di Messina con cui abbiamo una convenzione, a quel punto ci chiama e anche noi iniziamo un iter per trovargli una sistemazione. Una complicazione in più è data dal fatto che in caso di minori va nominato un tutore, e se ne trovano pochi, perché si tratta di un’attività non retribuita». Quale potrebbe essere un modo per rendere migliore l’accoglienza dei Msna? «L’ideale sarebbe realizzare strutture di accoglienza per mamme e minori: quando vengono portati nei centri degli adulti, questi ragazzi, specie le femmine, si trovano in situazioni di promiscuità pericolose. Non raramente assistono a scene di violenza. E poi ci vorrebbe una cabina di regia a livello nazionale, in modo che le associazioni No Profit possano coordinarsi sia con le autorità, sia tra loro. Al momento Ai.Bi. per poter operare sul territorio deve fare un accordo con i Comuni e non sempre succede. Per ora la nostra è l’unica Ong che ha una campagna di affidi per i Msna, ma se l’iter burocratico fosse reso più facile, potrebbero unirsi a noi altre associazioni No profit. Insieme si lavorerebbe meglio».
Si calcola che in media, il 10 o 15% dei migranti che sbarcano sulle nostre coste siano minori non accompagnati. Tutte le informazioni su come dare un contributo all’iniziativa “Bambini in alto mare” di Ai.Bi. sono sul sito:http://www.aibi.it/ita/sostieni-aibi/bambini-in-alto-mare/
corrieredellemigrazioni.it
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