Quando andai a Lampedusa con Furio Colombo nei giorni di massima tensione, e l’allora ministro Maroni non ci fece entrare nei centri di accoglienza, riuscimmo comunque a parlare con gli operatori diSave the Children. C’era un problema serio per i minori, aggravato dall’incendio al centro di Imbriacola, e con una serie di interrogazioni parlamentari lo abbiamo seguito nei mesi successivi: volevamo accertarci che ai minori sbarcati dal Nordafrica fosse garantito il diritto alla serenità, per quanto possibile, e a un presente meno traumatico del passato. Centri di accoglienza dedicati, naturalmente, e permanenza minima nell’isola, per poi essere smistati in varie comunità o case famiglia del territorio nazionale. In questi giorni, ci fa sapere Save the Children, è saltato tutto.
L’anno scorso vengono messi 5 milioni di euro sul Fondo per minori stranieri non accompagnati. Doveva diventare un finanziamento stabile, invece è finito nel fondo Catricalà della legge di stabilità (che contiene un insieme di spese indistinte): per dirla in parole povere, è rimasto il nome ma non il budget. Con l’inizio del nuovo anno, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si è letteralmente “sfilato” dal compito di affrontare a livello nazionale lo stato di emergenza umanitaria (che è stato dichiarato chiuso) e così, quando arriva un minore a Lampedusa, deve occuparsene la comunità locale, ossia quella di Agrigento. Anziché essere smistati in giro per l’Italia, i minori stranieri arrivati a Lampedusa vengono distribuiti tra i Comuni della zona, che naturalmente non hanno abbastanza fondi per reggere l’impatto economico: con 30 ragazzi da accogliere a 50 euro al giorno di media, ad esempio, fanno 45 mila euro al mese e un piccolo Comune rischia il dissesto. I pagamenti alle comunità di accoglienza arrivano in ritardo, ammesso che arrivino, e le comunità – che non riescono a pagare gli stipendi al personale – non prendono più ospiti. È un cane che si morde la coda, insomma, e che a livello nazionale dovrebbe trovare una soluzione in tempi rapidissimi. In tutto ciò, le condizioni di vita a Lampedusa sono incompatibili con il rispetto dei diritti dei minori: con l’aiuto di Save the children, un gruppo di ragazzi – tutti fra i 15 e i 17 anni, sbarcati il mese scorso – ha scritto una lettera aperta allo Stato italiano e all’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
GIVE RIGHTS FOR US! – allo Stato italiano e all’Unhcr
“Siamo 18 eritrei e un somalo, e siamo rifugiati, abbiamo dei problemi, siamo perseguitati nei nostri paesi (per la politica, religione, l’etnia). Siamo minorenni perseguitati nel nostro Paese: ci costringono a lasciare gli studi per fare il servizio militare e questo non è giusto; lo Stato ci costringe a rinunciare alla nostra religione. Dall’Eritrea siamo passati per il Sudan. Questo viaggio dura da 6 a 9 giorni a piedi. In questo tragitto puoi essere preso dai “rashaidah”, un gruppo etnico che rapisce le persone e le porta nel Sinai, in Egitto.
Chiedono un riscatto alla famiglia di 35/40.000 dollari. Finché non ricevono i soldi ti tengono chiuso e ti torturano. Uno di noi c’è stato. Molti muoiono a causa dei maltrattamenti , mentre a chi non paga possono essere presi gli organi (e anche morire). Chi arriva in Sudan viene portato al campo di Shagarab dove non hai nessun diritto e sei costretto a scappare e andare in Libia viaggiando attraverso il Sahara.
Il viaggio dura 9-10 giorni in macchina. Qui c’è la sete e la fame e per questo qualcuno può morire. Chi riesce a passare il deserto viene preso come prigioniero senza processo, senza andare davanti a un giudice, senza processo. E non sai quanto resterai qui. In carcere, ci sono le torture. Siamo stati picchiati soprattutto per divertimento delle guardie quando erano ubriache. Colpiscono soprattutto sotto la pianta del piede. Il cibo è un pezzo di pane ogni 48 ore. Tutti quelli che sono qui (n.d.r. i ragazzi consultati) sono stati in carcere in Libia (per la maggior parte a Ghanfouda), siamo stati lì per un tempo che va da uno a 6 mesi. Quando è lì, nessuno sa quanto ci resta. L’unica salvezza è scappare. Tutto questo lo abbiamo visto poco tempo fa. Ci sono tantissimi rimasti in prigione che sono ancora là. In Libia un migrante non può girare per il paese liberamente, specialmente se di colore. Poi ti obbligano a cambiare religione. Se hai croci o cose simili te li strappano. Ti obbligano con la forza in prigione o anche per strada, in modo violento, provano a convincerti a diventare musulmano. Per questi motivi abbiamo dovuto lasciare la Libia. Chi scappa si riunisce con i connazionali e si mette d’accordo con i libici per partire.
In generale durante il viaggio in mare capitano tanti problemi, per esempio noi dopo 2 ore che siamo partiti siamo dovuti tornare indietro, in Libia per cambiare la barca per poi ripartire. Dopo 9 ore di viaggio siamo stati soccorsi. Siamo a Lampedusa da 24 giorni (uno di noi da 45 giorni). Il primo problema è che non ci sono abbastanza medici. Uno di noi ne aveva bisogno e non ha avuto risposta. I primi 15 giorni siamo rimasti con una coperta senza materassi. Dal bagno arriva l’acqua nella stanza e non ci fanno pulire. La notte di Natale la nostra stanza è stata presa da altri, appena arrivati, che hanno buttato fuori tutte le nostre cose. Abbiamo dovuto dormire all’aperto. Non abbiamo passato un buon Natale. Ci sono dei grandi che di notte si ubriacano e vengono a darci fastidio e a volte ci picchiano. Tutte le notti succede qualcosa di brutto. In Italia ci aspettiamo di poter studiare e trovare poi un lavoro, chi per mantenere la famiglia, chi per trovare la pace e l’indipendenza.
Alcuni di noi hanno familiari in Europa e vogliono raggiungerli. Chiediamo di fare tutto il possibile per farci restare qui meno tempo possibile e farci partire. Chiediamo che vi prendiate cura di noi. Chiediamo che i nostri diritti siano rispettati”.
“Siamo 18 eritrei e un somalo, e siamo rifugiati, abbiamo dei problemi, siamo perseguitati nei nostri paesi (per la politica, religione, l’etnia). Siamo minorenni perseguitati nel nostro Paese: ci costringono a lasciare gli studi per fare il servizio militare e questo non è giusto; lo Stato ci costringe a rinunciare alla nostra religione. Dall’Eritrea siamo passati per il Sudan. Questo viaggio dura da 6 a 9 giorni a piedi. In questo tragitto puoi essere preso dai “rashaidah”, un gruppo etnico che rapisce le persone e le porta nel Sinai, in Egitto.
Chiedono un riscatto alla famiglia di 35/40.000 dollari. Finché non ricevono i soldi ti tengono chiuso e ti torturano. Uno di noi c’è stato. Molti muoiono a causa dei maltrattamenti , mentre a chi non paga possono essere presi gli organi (e anche morire). Chi arriva in Sudan viene portato al campo di Shagarab dove non hai nessun diritto e sei costretto a scappare e andare in Libia viaggiando attraverso il Sahara.
Il viaggio dura 9-10 giorni in macchina. Qui c’è la sete e la fame e per questo qualcuno può morire. Chi riesce a passare il deserto viene preso come prigioniero senza processo, senza andare davanti a un giudice, senza processo. E non sai quanto resterai qui. In carcere, ci sono le torture. Siamo stati picchiati soprattutto per divertimento delle guardie quando erano ubriache. Colpiscono soprattutto sotto la pianta del piede. Il cibo è un pezzo di pane ogni 48 ore. Tutti quelli che sono qui (n.d.r. i ragazzi consultati) sono stati in carcere in Libia (per la maggior parte a Ghanfouda), siamo stati lì per un tempo che va da uno a 6 mesi. Quando è lì, nessuno sa quanto ci resta. L’unica salvezza è scappare. Tutto questo lo abbiamo visto poco tempo fa. Ci sono tantissimi rimasti in prigione che sono ancora là. In Libia un migrante non può girare per il paese liberamente, specialmente se di colore. Poi ti obbligano a cambiare religione. Se hai croci o cose simili te li strappano. Ti obbligano con la forza in prigione o anche per strada, in modo violento, provano a convincerti a diventare musulmano. Per questi motivi abbiamo dovuto lasciare la Libia. Chi scappa si riunisce con i connazionali e si mette d’accordo con i libici per partire.
In generale durante il viaggio in mare capitano tanti problemi, per esempio noi dopo 2 ore che siamo partiti siamo dovuti tornare indietro, in Libia per cambiare la barca per poi ripartire. Dopo 9 ore di viaggio siamo stati soccorsi. Siamo a Lampedusa da 24 giorni (uno di noi da 45 giorni). Il primo problema è che non ci sono abbastanza medici. Uno di noi ne aveva bisogno e non ha avuto risposta. I primi 15 giorni siamo rimasti con una coperta senza materassi. Dal bagno arriva l’acqua nella stanza e non ci fanno pulire. La notte di Natale la nostra stanza è stata presa da altri, appena arrivati, che hanno buttato fuori tutte le nostre cose. Abbiamo dovuto dormire all’aperto. Non abbiamo passato un buon Natale. Ci sono dei grandi che di notte si ubriacano e vengono a darci fastidio e a volte ci picchiano. Tutte le notti succede qualcosa di brutto. In Italia ci aspettiamo di poter studiare e trovare poi un lavoro, chi per mantenere la famiglia, chi per trovare la pace e l’indipendenza.
Alcuni di noi hanno familiari in Europa e vogliono raggiungerli. Chiediamo di fare tutto il possibile per farci restare qui meno tempo possibile e farci partire. Chiediamo che vi prendiate cura di noi. Chiediamo che i nostri diritti siano rispettati”.
www.andreasarubbi.it