La fuga di Khaled e Waleed, ragazzi soli in fuga dall’Eritrea, è iniziata 18 mesi fa. Sono cugini rispettivamente di 17 e 14 anni.
Vengono da un villaggio di campagna, scappati per non venire reclutati dall’esercito dello stato-caserma che arruola i giovani per un servizio di leva infinito. Loro invece giocano bene a calcio e sulle loro facce indurite si illumina un sorriso infantile quando confessano il sogno di diventare calciatori e restituire alla famiglia i soldi.
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Li ha portati in Sicilia l’8 giugno una nave dell’operazione Mare Nostrum. Hanno solo i vestiti che indossano da mesi. Dopo tre giorni a Catania sono partiti per Roma, dove si dorme pagando nelle case occupate di via Curtatone o alla Romanina. Poi i trafficanti li hanno mandati a Milano. Destinazione finale, nei loro piani, è la Norvegia. Stanno attraversando due continenti per chiedere asilo e un futuro. Come gli altri 6.000 minori non accompagnati su 58 mila persone sbarcate sulle coste italiane nel 2014, come rivela il rapporto di Save the Children «L’ultima spiaggia». Circa uno su 9, un’emergenza che cresce. E se quasi tutti i minori accompagnati sbarcati in Italia nel 2014 – 1542 su 2124 – sono bambini siriani di 5 anni fuggiti dalla guerra, la maggioranza dei minori non accompagnati, circa 3.000, è eritrea. Sono i più vulnerabili tra i rifugiati.
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Tempo fa il presidente della commissione regionale antimafia siciliana Nello Musumeci, ne denunciò la sparizione e il rischio che finissero nelle spire della malavita organizzata. Rischio concreto? Per Sandra Zampa, vicepresidente della Commissione parlamentare per l’infanzia ammette che «sappiamo ancora molto poco e i numeri non sono certi. Dobbiamo fare di più, i rischi sono che finiscano a spacciare e a prostituirsi».
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Save the Children può confermare che la criminalità li sfrutta lungo il viaggio, spesso anche in Italia.
«Lo sfruttamento anche sessuale avviene in Africa come in Europa da quanto ci dicono. La loro età si sta abbassando – conferma Carlotta Bellini, responsabile per la protezione dell’organizzazione – stanno fuggendo ragazzini di 12 anni per evitare un futuro sotto le armi e di estrema povertà. Ci hanno raccontato di aver subito nel viaggio torture, abusi sessuali e di essere stati costretti ad assistere alle violenze. Sono stati sequestrati da trafficanti spietati, hanno visto persone uccise e abbandonate nel deserto».
Save the Children può confermare che la criminalità li sfrutta lungo il viaggio, spesso anche in Italia.
«Lo sfruttamento anche sessuale avviene in Africa come in Europa da quanto ci dicono. La loro età si sta abbassando – conferma Carlotta Bellini, responsabile per la protezione dell’organizzazione – stanno fuggendo ragazzini di 12 anni per evitare un futuro sotto le armi e di estrema povertà. Ci hanno raccontato di aver subito nel viaggio torture, abusi sessuali e di essere stati costretti ad assistere alle violenze. Sono stati sequestrati da trafficanti spietati, hanno visto persone uccise e abbandonate nel deserto».
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Nel mondo, dice l’Acnur, ci sono attualmente 48 milioni di persone in fuga da guerre. I numeri smentiscono chi grida all’invasione. L’Italia, che dovrebbe proteggere i ragazzi soli fino alla maggiore età, li lascia passare. In queste sere Khaled e Waleed hanno dormito come homelessin strada, nei giardinetti di Porta Venezia mentre aspettavano un altro trafficante che li aiutasse a partire, soccorsi solo dai volontari della comunità di Sant’Egidio, dall’Opera San Francesco, dall’ong Gandhi e da Midhin Paolos, una giovane di origine eritrea che coordina gli aiuti dei connazionali. «Da un mese e mezzo la città è una tappa per molti – spiega Ulderico Maggi della comunità di Sant’Egidio – ogni sera aiutiamo almeno 150 eritrei e molti sono minori. Dopo lo sbarco scappano dalle comunità dove vengono accolti in Sicilia. A Milano restano pochi giorni, la città è strategica per proseguire verso nord».
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Khaled riassume le tappe del lungo viaggio. «Siamo fuggiti in Etiopia pagando 1.600 dollari. Quindi siamo arrivati in Sudan a Khartoum pagandone altri 1.200. Siamo stati fermi finché le nostre famiglie non ci hanno dato 1.750 dollari per attraversare il Sahara fino in Libia dove ci hanno arrestati e chiusi in un carcere a Tripoli. La polizia ci dava un panino e un bicchiere d’acqua al giorno, eravamo rinchiusi con gli adulti. In un mese e mezzo abbiamo visto abusi e maltrattamenti. Poi abbiamo pagato 1.500 dollari e ci hanno consegnato ai trafficanti che ci hanno portato a Bengasi. Ci hanno imbarcati con altre 540 persone, 100 erano minori. Ci ha salvati una nave italiana dopo quattro giorni in mare. Da tre era finito il cibo».
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Le comunità di accoglienza non possono per legge, né riescono, a trattenerli, inoltre non è chiaro chi deve pagarle. Toccherebbe ai comuni, ma hanno finito i fondi. Si discute se tocchi al Viminale o al Welfare e se allargare lo Sprar (il servizio per i rifugiati gestito dai comuni). «Si fermano maliani, senegalesi e nordafricani che pur avendo bisogno di soldi, davanti alla prospettiva di formazione ci pensano – conferma don Vincenzo Cosentino, delegato regionale delle Caritas siciliane –. Il problema è che non si sa chi deve pagare le comunità: se i comuni, che hanno finito i fondi, o il governo». Nel viaggio c’è chi devia su Bologna, nel Villaggio del fanciullo dei dehoniani di padre Giovanni Mengoli. «Sono passati minori eritrei e siriani, che ripartono subito. Se hanno già progetti precisi è difficile trattenerli». Se li fermano in Svizzera, Francia o Germania chiedono asilo. L’Ue deve accoglierli, ma si è chiusa. Nel 2013 ha concesso lo status di rifugiato solo a 135.700 profughi su 435mila richiedenti. Ma la fuga di Khaled e Waleed prosegue, non si ferma un ragazzo che sogna la libertà. avvenire.it