Sul rimpatrio dei minori, la Germania non impara dagli errori del passato

In una mossa controversa, la Germania sta considerando di aprire due centri d’accoglienza in Marocco per i minori rimpatriati. Secondo un documento trapelato dall’Ufficio Federale per le Migrazioni e i Rifugiati e citato da un quotidiano tedesco, i centri potrebbero accogliere fino a 200 bambini e sarebbero gestiti in collaborazione con delle ONG marocchine.

Le condizioni entro le quali questi centri opererebbero non sono state specificate nel dettaglio. Ma lo scopo sembra essere quello di permettere al governo di rimpatriare i minori senza violare la legge tedesca sull’immigrazione. Il German Residence Act specifica che il rimpatrio di un minore può essere effettuata solo nel caso in cui il minore venga affidato a un membro della famiglia, a un tutore che abbia il diritto legale di assistenza e custodia o a un centro di accoglienza appropriato.

Questo piano farebbe parte della strategia della cancelliera tedesca Angela Merkel per velocizzare l’allontanamento dei migranti irregolari dal territorio tedesco. Nel 2016, la Germania e il Marocco hanno stretto un accordo per collaborare sul rimpatrio dei migranti marocchini. Il governo tedesco ha anche cercato di approvare una legge che dichiara Marocco, Tunisia e Algeria “paesi d’origine sicuri” per facilitare l’espulsione dei migranti la cui richiesta d’asilo è stata respinta. Questa legge era stata approvata dal Bundestag nel 2016, ma è poi stata respinta dal Bundesrat nel 2017 perché i motivi per considerare i tre stati maghrebini come paesi sicuri erano stati giudicati troppo deboli dai partiti d’opposizione.

La Spagna ci aveva già provato in passato

Ricorrere ai centri d’accoglienza per rimpatriare i minori marocchini evoca un’idea simile lanciata dalla Spagna nel 2005.

Questi centri dovevano accompagnare l’applicazione del memorandum d’intesa firmato da Spagna e Marocco nel 2003 per il rimpatrio dei minori non accompagnati. Dalla fine degli anni ’90 infatti, un flusso di minori marocchini ha tentato di raggiungere la Spagna attraversando lo stretto di Gibilterra o raggiungendo le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla.

Tra il 2005 e il 2006, la Comunità Autonoma di Madrid lanciò un progetto per la creazione di due centri di accoglienza – uno vicino a Tangeri, l’altro vicino a Marrakesh – per ospitare minori non accompagnati rimpatriati. Il progetto ricevette l’appoggio finanziario dell’UE. Nel 2006, la Catalogna promosse un programma per assistere il ritorno volontario dei minori in Marocco. L’AECID – Agenzia Spagnola di Cooperazione allo Sviluppo – e l’Andalusia lanciarono due progetti rispettivamente nel 2006 e nel 2007 per costruire centri per la protezione dei minori nel Nord del Marocco e nella regione della Tadla Azilal.

Rinforzare le capacità del sistema marocchino di protezione dell’infanzia mirava in primo luogo a prevenire la migrazione irregolare dei minori. Ma come nel caso della Germania, costituiva anche una maniera per permettere il rimpatrio dei minori nei centri gestiti dal sistema di protezione dell’infanzia del paese d’origine, opzione contemplata dalla legge spagnola sull’immigrazione.

All’epoca, la società civile contestò ampiamente la strategia spagnola a causa dei limiti che poneva in materia di rispetto dei diritti umani. Ricorrere ai centri d’accoglienza mirava chiaramente più alla facilitazione dei rimpatri piuttosto che a garantire il rispetto dell’interesse superiore dei minori. Quest’ambiguità era ancora più evidente vista la debolezza delle istituzioni marocchine di assistenza. Un rapporto pubblicato nel 2008 da Human Rights Watch sosteneva che “il sistema marocchino di protezione dell’infanzia non è pronto a prestare assistenza adeguata ai bambini rimpatriati dalla Spagna”.

Nel 2005 la sede marocchina di Unicef aveva ufficialmente scoraggiato la Spagna dal ricorrere ai centri d’accoglienza per i minori rimpatriati. Il loro rapporto segnalava infatti il rischio che questo sistema avrebbe prodotto un’accelerazione delle espulsioni dei minori, senza salvaguardare il loro interesse superiore.

Non è ben chiaro quanti minori marocchini siano stati rimpatriati tramite questi centri, o se questi centri siano mai stati effettivamente utilizzati per questo scopo. Probabilmente a causa delle pressioni della società civile, i due centri promossi dalla Comunità Autonoma di Madrid furono riconvertiti in strutture per la protezione dei minori marocchini marginalizzati al fine di promuovere la “prevenzione della migrazione irregolare”.

Dalla fine degli anni 2000, l’urgenza di legare i progetti di cooperazione al rimpatrio dei minori marocchini si è affievolita. Questo fu in parte dovuto a un taglio al budget della cooperazione spagnola allo sviluppo ma anche a discussioni interne alle autorità spagnole su come lavorare su temi di migrazione e sviluppo. Tuttavia, nel giugno 2017, un politico spagnolo ha cercato di rilanciare l’idea dei centri d’accoglienza durante un tentativo di riprendere i negoziati con le autorità marocchine per il rimpatrio dei minoripresenti nell’enclave spagnola di Melilla. Il politico non ha chiarito se l’intenzione sarebbe di ricorrere ai vecchi centri o di aprirne di nuovi.

Nell’interesse del minore

Come soggetti vulnerabili, i minori non accompagnati hanno diritti che rendono più difficile il loro rimpatrio. L’articolo 3 della ConvenzioneInternazionale sui Diritti dell’Infanzia – che è stata ratificata sia dalla Spagna che dalla Germania - chiarisce che “il superiore interesse” del bambino deve avere la priorità nelle decisioni prese dalle autorità. E’ quindi legittimo chiedersi se espellere un minore ricorrendo ai centri di accoglienza non violi questa convenzione.

Date le incredibili somiglianze tra questi due casi, la Germania dovrebbe seriamente prendere in considerazione le critiche espresse dalla società civile sul caso spagnolo dieci anni fa. Il rischio è che i minori non accompagnati vengano criminalizzati come migranti irregolari piuttosto che riconosciuti come bambini che hanno diritto alla protezione.

Autore:
Lorena Gazzotti

PhD student
Centre of Development Studies
University of Cambridge


Traduzione: Lorena Gazzotti

Articolo Originale apparso su TheConversation.com

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