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Approvate le Linee di Indirizzo per superare l’estrema disomogeneità fra le varie regioni d'Italia, a partire dalle tipologie delle strutture. «Il punto è il focalizzare che una buona accoglienza parte prima dell’arrivo in comunità: le raccomandazioni riguardano il prima, il durante e il dopo»


La Conferenza Unificata Stato Regioni ha approvato lo scorso 14 dicembre le Linee di Indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni”. Seguono quelle per l'affido del 2012. Sono circa 26mila i bambini e gli adolescenti che al 31.12. 2014 erano in affidamento familiare o nei servizi residenziali, secondo l’ultimo report pubblicato a novembre 2017 nel Quaderno della ricerca sociale n. 40. Di essi, nei servizi residenziali risultavano accolti 12.400 minorenni, un numero sostanzialmente stabile nell’ultimo decennio, di cui la metà fra i 15 e i 17 anni. Un capitolo è dedicato all’accoglienza dei minorenni stranieri non accompagnati. Le Linee di Indirizzo non sono cogenti, essendo la materia di titolarità esclusiva delle regioni, ma «vengono affidate ai territori – afferma in bella evidenza la Conferenza delle Regioni – per la validazione nei contenuti e nella metodologia». Liviana Marelli, responsabile Infanzia del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA), ha partecipato al Tavolo tecnico che ha redatto le nuove Linee di Indirizzo, presieduto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e costituito dai rappresentanti del Ministero della Giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile, della Conferenza delle Regioni e Province autonome, dell’ANCI, con il pieno coinvolgimento di rappresentanze del mondo dell’associazionismo operante nell’accoglienza – CNCA, CNCM, CISMAI, Progetto Famiglia, Agevolando e SOS villaggi dei bambini e Comunità Papa Giovanni XXIII – e con la partecipazione degli Uffici dell’Autorità Garante per l’infanzia.



Da dove nascono queste linee di indirizzo?
Da moltissimo tempo, nei rapporti del Gruppo CRC, come realtà del gruppo #5buoneragioni, come addetti ai lavori, segnalavamo l’estrema disomogeneità rispetto ai criteri, le modalità e le tipologie dell’accoglienza, una disomogeneità che infrange il principio di non discriminazione dei minorenni. Una diversità che fa sì che in Italia non si possa fare un discorso uguale per tutti, per le diversità delle modalità di accoglienza a cominciare – ma è solo l’elemento più evidente e comprensibile a tutti – dai diversi nomi con cui chiamiamo le comunità e dai diversi requisiti richiesti nelle varie regioni. Nasce da lì il bisogno di avere una cornice omogenea. Siamo consapevoli del fatto che, visto l’esito del referendum del dicembre 2016, le regioni hanno mantenuto la titolarità esclusiva in materia e che per questo le linee di indirizzo non sono cogenti, ma è anche vero che ci ha lavorato un tavolo tecnico promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ci ha davvero creduto moltissimo, a cui erano rappresentati i ministeri e le regioni, la Garante per l’Infanzia e anche i più grandi coordinamenti di realtà che lavorano sulla materia.

Quindi un documento condiviso?
Molto condiviso. Ci abbiamo lavorato tutto il 2016, abbiamo chiuso i lavori un anno fa, nel 2017 le Linee di Indirizzo hanno fatto il loro iter formale. Non è una legge, d’accordo, però cambia la cornice culturale: il ministero che le ha fatte, hanno una valenza istituzionale e culturale importate.

Nei contenuti, queste 80 pagine delle Linee di Indirizzo che importanza hanno?
Si dà una cornice unitaria non solo sulle tipologie delle strutture di accoglienza ma sull’intero processo di presa in carico del minorenne. Non a caso si parte dal diritto dei bambini a una famiglia, si responsabilizzano tutti i soggetti a lavoro di prevenzione dell’allontanamento, si definisce chi fa cosa, si declina il processo di presa in carico, si definiscono i contenuti qualitativi delle realtà di accoglienza, recuperando tutti i minorenni, si lavora sul tema genitori-bambino, non solo sul minore. Ci sono raccomandazioni molto dettagliate, sia per il livello tecnico-politico sia per quello operativo-gestionale-professionale.

Per fare un esempio, c’è scritto che l’accoglienza va realizzata il più vicino possibile alla residenza abituale del bambino, che sorelle e fratelli non saranno separati, che un intervento in emergenza deve individuare con attenzione i tempi e i luoghi dell’allontanamento, evitando spettacolarizzazioni (penso all’uscita da scuola ad esempio) e qualora fosse necessaria la presenza delle forze dell’ordine queste non devono essere in uniforme ma in abiti civili e con una adeguata formazione.
Sì, sono indicazioni operative che possono sembrare di buon senso ma non è così, a volte si fa fatica. Il punto delle Linee di Indirizzo è proprio il focalizzare che una buona accoglienza parte prima dell’arrivo in comunità: le raccomandazioni riguardano il prima, il durante e il dopo. Se non si lavora sul processo di accoglienza, che ha un prima un durante e un dopo, la pur necessaria ridefinizione omogena delle tipologie di accoglienza è carente, sarebbe solo un cambio di nome. Per noi è qualificante il processo.

Che succede ora, visto che le Linee di indirizzo non sono vincolanti?
L’auspicio è che le Regioni le facciano proprie, attraverso linee di indirizzo regionali che recepiscano quelle nazionali, così da ridurre la distanza esistente fra le Regioni. Il lavoro che ci aspetta ora, per questo, è quello di promuovere il più possibile le Linee di Indirizzo, che vanno spiegate, fatte conoscere, promosse, con un lavoro nelle singole regioni e uno con la Conferenza Unificata.

Autore: Sara De Carli

Fonte: Vita.it

Photo by Tyler Mullins on Unsplash


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