Facce d’Italia”, tra le più indifese vi sono quelle dei minori stranieri, come documenta un Rapporto dell’Unicef-Italia presentato oggi a Roma, alla presenza del ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi. Il documento è stato elaborato nell’ambito della Campagna “Io come tu”, in vista del 20 novembre, Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia. Roberta Gisotti, ha intervistato Andrea Iacominiportavoce dell’Unicef-Italia:
D. – Oggi, nel mondo abbiamo 33 milioni di migranti sotto i 20 anni di età, su un totale di 214 milioni di persone che vivono fuori dal proprio Paese d’origine. Dove e come vivono questi bambini e ragazzi?
R. – Vivono in Paesi i più disparati. Il più delle volte fuggono da terre colpite da fame, carestie, miseria e soprattutto dalle guerre. I Paesi in via di sviluppo detengono la percentuale più alta di bambini e adolescenti migranti: circa 20 milioni ovvero il 60%, quindi, un dato molto forte. Inoltre, circa 13 milioni di bambini e adolescenti migranti risiedono in Paesi industrializzati e quindi sono circa il 40% dei migranti al di sotto dei 20 anni di età. Esistono naturalmente differenze geografiche significative: abbiamo una gran parte dei giovani migranti provenienti dall’Africa – circa il 28% – seguiti poi dall’Asia, con il 21% e poi dall’Oceania e dall’Europa, entrambi con il 10%.
D. – Una popolazione giovanile che va seguita e non abbandonata a se stessa…
R. – Soprattutto, una popolazione giovanile che in alcuni Paesi è diventata la popolazione del Paese stesso, che ormai ne ha acquisito gli usi, i costumi, le tradizioni, le usanze… E’ una popolazione che – naturalmente, nel caso di minori accompagnati, cioè di quelli che hanno entrambi i genitori – è diventata parte integrante della società. Ma non dobbiamo dimenticare i minori non accompagnati, che sono invece una fetta di popolazione giovanile che entra dai Paesi che abbiamo citato e che, naturalmente, ha bisogno invece di essere registrata, accompagnata nel percorso di inserimento, ha bisogno di entrare a far parte di case-famiglia, di strutture che la possano ospitare con la più grande, la più ampia attenzione possibile. Questo perché non bisogna lasciare indietro nessun bambino: tutti godono degli stessi diritti e il loro supremo interesse va garantito in tutte le parti del mondo, senza differenza di Paese.
D. – All’interno della campagna “Io come tu”, nasce la pubblicazione “Facce d’Italia”. Con quale obiettivo?
R. – “Io come tu” è una campagna importante che l’Unicef lancia da qualche anno: tutti uguali davanti alla vita, tutti uguali di fronte alle leggi, proprio per richiamare l’attenzione sull’uguaglianza dei diritti di tutti i minorenni. Quest’anno, abbiamo deciso di occuparci del diritto di cittadinanza dei bambini che sono italiani a tutti gli effetti, che frequentano le nostre scuole: abbiamo 700 mila studenti nella scuola primaria e secondaria di origine straniera. Con questa iniziativa, noi vogliamo lanciare un concetto fondamentale per cambiare la legge che in Italia disciplina l’acquisizione della cittadinanza – la n.91 del 1992 – i cui principi fondamentali sono incardinati in uno schema ormai abbastanza ‘vecchio’. Noi diciamo: è importante che i bambini nati in Italia acquisiscano la cittadinanza per iure soli: chi vive qui è a tutti gli effetti cittadino italiano. Con la legge attuale, si diventa cittadino italiano al compimento dei 18 anni e si ha un anno di tempo per mettersi in regola. Ma, soprattutto, i nostri bambini stranieri vivono in Italia con un permesso di soggiorno che i genitori devono rinnovare di volta in volta. E questo, per bambini che di fatto vivono esattamente come i nostri bambini italiani, è davvero un fatto abbastanza anacronistico. Noi vogliamo fare un passo avanti: ecco perché ne approfitto per chiedere al parlamento di accelerare, proprio in questo ultimo scorcio di legislatura, per raggiungere un’intesa che fino ad oggi non è stata trovata, proprio sull’estensione del diritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia. Non importa quale possa essere poi il punto su cui bisogna mediare un’intesa: può essere la scuola primaria, può essere la scuola secondaria, purché però questi bambini godano degli stessi diritti dei bambini italiani.