Migliaia di minori rifugiati bloccati alle porte dell'Europa.

Dopo essere fuggiti dalla guerra e dalle difficoltà dei propri luoghi natii, i minori stranieri non accompagnati sono bloccati in Serbia, sognando un'Europa che non li vuole.
Un paio di rifugiati afghani che vivevano nella cosiddetta ‘giungla’, una striscia di piccole foreste lungo il confine con la Croazia. I bambini, di età compresa tra 12 e 16 anni, dormivano da settimane in una tenda nascosta da fili arcuati e intrecciati quasi a formare un abbraccio.
Il loro rifugio era adiacente al limes che speravano di percorrere, seguendo le linee ferroviarie color ruggine che collegano la Serbia, non membro dell'UE, con la Croazia, che invece lo è. Avevano già tentato di attraversarlo più volte, ma sono stati rispediti indietro più volte dalle guardie di frontiera croate che a volte li hanno picchiati e hanno sottratto loro la cosa più necessaria: le scarpe.
In lontananza, poco vicino alla Croazia, un paio di luci rosse lampeggiavano, come se rinforzassero il messaggio: Stop. Stai fuori. L'Europa non ti vuole.
Saddam Emal, ha gli occhi verdi, 12 anni, piccolo e indifeso. Era a inizio primavera, e aveva già viaggiato per sette mesi, un viaggio di quasi 3.500 miglia, intrapreso senza famiglia e aiutato dai trafficanti.
In un'epoca in cui molti minori non attraversano la strada senza essere accompagnati da un adulto, Emal aveva camminato dalla sua casa assediata durante la guerra nella provincia di Nangarhar, in Afghanistan, attraverso il Pakistan, l'Iran e la Turchia, fino al primo stato dei confini Europei, da dove lui e altri rifugiati che ho incontrato hanno detto di essere stati ricacciati dietro con metodi violenti in Serbia.
Emal è uno dei circa 300.000 minori rifugiati che hanno fatto viaggi simili nel 2015 e nel 2016 – periodo in cui i minori non accompagnati sono aumentati di cinque volte rispetto agli anni precedenti. Si sono uniti a un flusso globale senza precedenti di persone che fuggono dalle difficoltà e dall'oppressione. Almeno 170.000 di questi minori hanno chiesto asilo in Europa. Emal sogna di arrivare in Germania.
Per ora, come migliaia di altri rifugiati, è bloccato in Serbia, alla frontiera, da marzo 2016.
Secondo Michel Saint-Lot, rappresentante in Serbia dell'UNICEF, il 46% dei 7.000 profughi in Serbia sono bambini. La maggior parte arrivano dall'Afghanistan, e uno su tre non è accompagnato da un adulto. I ragazzi come Emal che cercano di proseguire il loro viaggio, dice Saint-Lot, sono vittime di contrabbandieri, predatori sessuali e trafficanti.
Io chiedo a questi ragazzi se "Non è comunque meglio qui che da dove provengono " " Sono d'accordo, dicono, ma vogliono andare in Europa, non rimanere in Serbia.” È preoccupato dell’atteggiamento tenuto verso i minori da parte degli stati Europei che spesso li tengono in centri di detenzione, picchiati o rispediti al paese di origine in modo forzato, in violazione delle convenzioni. Secondo Saint-Lot, la maggior parte dei minori non vuole restare in Serbia, e alcuni si stanno "demoralizzando, perché non vedono alcun cambiamento. Non vedono alcun futuro".

Emal ha tentato e fallito 18 volte a partecipare a ciò che i giovani rifugiati chiamano il ‘gioco’, che consiste nel trovare un passaggio verso l’Europa tra i confini sorvegliati dei paesi limitrofi. E’ determinato ad andare avanti, non appena potrà permettersi un altro paio di scarpe. "Numero 42”, indicando i calzini grigi sporchi sui piedi.

L'ultima luce del giorno trafiggeva il baldacchino a botte che ricopriva Emal e il suo amico di 16 anni, Faisal Saleem, mentre preparavano la cena. Emal ha utilizzato un voucher di 3000 dinari serbi (circa 27 dollari), ricevuto da una ONG e distribuito in un centro per rifugiati, per acquistare le provviste. Con il voucher ha acquistato qualche pezzo di pollo, olio da cucina, verdure e tre pagnotte di pane.
"Sono molto stanco; è molto dura" dice mentre metteva il pollo in una pentola annerita sul fuoco. "Bastonato in Bulgaria, picchiato in Iran, bloccato in Serbia. In tre settimane mi sono lavato una volta. A casa facevo la doccia ogni giorno".
Cucinare e badare a sé stessi, districarsi in un mondo sotterraneo di migranti, sopravvissuti alla guerra e conflitti, questi bambini stanno portando le speranze delle loro famiglie sulle spalle. Anche se la Serbia ospita 18 strutture governative che forniscono cibo e alloggio per i rifugiati, Emal e il suo amico preferiscono stare vicini al confine il più possibile per continuare a provare a passare.
I ragazzi sono consapevoli dei pericoli. Parlano di amici pugnalati e derubati dai serbi, di un pakistano di 16 anni, recentemente ucciso mentre cercava di saltare su un treno in arrivo, di giorni in cui erano affamati. "In questo giorno Dio ci ha dato cibo", ha detto Emal. "Un altro giorno ..."
Emal ha tagliato il pollo, poi ha aggiunto dei peperoni. Emal è il figlio maggiore. Non parla con sua madre, vedova, da quando gli è stato rubato il telefono, tre mesi prima. Il suo amico Saleem gli aveva offerto il suo telefono, ma Emal non riesce a ricordare il suo numero in Afghanistan. Sorrise sorpreso. "Prego per mia madre. Mi manca "disse. "Lei è brava a cucinare il pollo".

DIVENTARE UN UOMO SOLO

In una zona verde nel centro di Belgrado, che i rifugiati e i volontari chiamano parco afghano, il 15enne Inamullah Mohammed è seduto su una panchina accanto ad altri rifugiati, sperando di raccogliere suggerimenti su come entrare nell'UE.
"Sono qui due o tre volte a settimana perché se non chiedo consiglio, come faccio?" Ha detto. "Non posso restare".

Come Emal, Mohammed viene dalla provincia di Nangarhar dell'Afghanistan. Anche lui è figlio maggiore. È partito da casa da 18 mesi perché, ha detto, "i talebani volevano che mi unissi a loro", e anche se aveva trascorso la metà di quel tempo in Serbia, lo considerava ancora una sconfitta temporanea.
Mohammed viveva in un centro governativo per rifugiati, ma aveva trascorso un durissimo inverno in un magazzino abbandonato adiacente alla stazione ferroviaria centrale di Belgrado, a pochi passi dal parco afghano. Lui era accovacciato lì con altri ragazzi e uomini in uno spazio sporco senza riscaldamento, servizi igienici o elettricità.
Il magazzino è stato demolito a maggio, reso macerie come le zone di guerra dai quali i minori erano scappati. A suo avviso avrebbero dovuto ricostruire una bella struttura, ma per ora le rovine conservavano oggetti del percorso dei rifugiati: le coperte grigie, gli spazzolini da denti, le lattine di tonno vuote e le scritte in inglese sui muri delle banchine dei treni abbandonati. "Aiutami - aprite le frontiere" si legge su uno. Su un altro muro: "Sono anche una persona".
Nel magazzino Mohammed aveva imparato a farsi la barba, un rito di passaggio senza la guida di un padre o di un maschio più anziano o addirittura di un amico. Non aveva peli quando ha lasciato casa, ma adesso erano cresciuti i baffi. "Sono solo", disse. "Non ho trovato nessuno con cui posso condividere i miei sentimenti." La sua comunicazione principale era al telefono con il suo trafficante, un afghano che non aveva mai incontrato.

Mohammed è il figlio di un contadino. Non è mai andato a scuola. Suo padre ha venduto la propria terra per finanziare il viaggio di 8.000 dollari e sta prendendo prestiti per coprire le continue spese di suo figlio. Quell’investimento pesa molto su Mohammed. Vorrebbe guadagnare il denaro speso per lui e rimborsare suo padre, e magari ricomprare anche le sue terre. Al momento, però, sta aspettando un bonifico da casa per comprare un paio di scarpe. Come Emal, le sue ultime paia erano state sequestrate al confine.
Mentre parliamo, condivide i pensieri che lo avevano tenuto sveglio di notte durante il suo viaggio di 18 mesi. "Vedrò ancora i miei genitori? Un animale mi mangerà, o una macchina mi investirà, qualcuno mi sparerà o ucciderà? Cosa accadrà alla mia famiglia? Cosa gli faranno i talebani? "" Ho visto molte volte la morte ", dice. È stato derubato dell'orologio e del denaro ed è stato imprigionato in Bulgaria per sette mesi.
Solo una cosa sapeva con certezza: non voleva rimanere in Serbia. "Cosa devo fare qui?" ha detto, indicando alcuni serbi che camminavano nel parco. "Queste persone sono più povere di me. Gli afghani sono più ricchi di loro ".
Mohammed resta comunque dell’idea di arrivare in un paese dell'UE. "Ho provato più di 27 volte e sono stato deportato dalla Slovenia quattro volte. Voglio essere una buona persona. Voglio imparare qualcosa, imparare una professione. Se non riuscirò ad oltrepassare il confine, dovrò tornare in Afghanistan e sarò costretto a diventare un talebano ".


MINORI MATURATI CON L’ESPERIENZA


Delagha Qandagha, un bambino timido di otto anni, stava camminando senza meta, segnando il passo, quando lo incontrai presso il centro per rifugiati Adasevci. Un tempo adibito a motel (sulla facciata infatti ancora la vecchia insegna), Adasevci è la struttura serba più vicina al confine croato, vicino alla "giungla" di Saddam Emal. Le famiglie sono stipate nelle stanze, uomini e ragazzi ammassati in hangar coperti con teloni, bloccati da letti a castello.

Un gruppo di adolescenti e un operatore giocano fuori a pallavolo. Gli adulti si aggirano in quello che era l’atrio del motel attorno ad un hotspot Wi-Fi, mentre una bambina cammina docile con una busta di plastica in cui ha il carico da portare in lavanderia. Come la maggior parte delle ragazze rifugiate in Serbia, stava viaggiando con la sua famiglia. Saint-Lot di UNICEF sostiene che ci sono pochissime minori non accompagnate, in quanto diffusa è la minaccia di abusi sessuali nei confronti delle ragazze e anche per la cultura patriarcale conservatrice degli stati del sud asiatico e del medio oriente da cui proviene la maggior parte dei rifugiati.
Qandagha torna all'hangar, a casa sua. "Qui non c'è niente", dice. La maglietta grigia e la sciarpa nera intorno al collo non riescono molto a proteggerlo dal freddo del mattino. Gli viene la pelle d’oca, sulla sua pelle infetta dalla scabbia.
Ha lasciato Nangarhar un anno prima di arrivare lì, partito con un cugino di dieci anni e uno zio di 15 anni. Con sé non ha nulla di speciale, al di fuori dei suoi ricordi del mortaio, dei combattimenti e dei colpi dei talebani, ma anche di partitelle a cricket con gli amici e i pasti con i suoi genitori e i quattro fratelli minori. «Mi ricordo quei giorni felici», dice. "Ma qui sono triste."
Voleva arrivare in Francia perché aveva sentito da molti afghani che "in Francia c'è pace ". Anche in Serbia c’è pace in realtà, ma non rispecchia la sua immagine utopica dell'Europa.
Non aveva idea di dove fosse l'Europa prima che lui e i suoi giovani parenti intraprendessero la loro odissea, attraversando l'Iran e la Turchia fino in Bulgaria e finalmente in Serbia. Il posto più lontano da casa che aveva visitato era stato il Pakistan con suo padre, a vendere coperte.
Qandagha non aveva detto ai suoi genitori che lui suo cugino e lo zio erano stati picchiati, detenuti e derubati in Iran da "persone come i talebani, con le mitragliatrici". Né aveva detto loro che suo zio di 15 anni aveva nascosto il denaro nella biancheria intima di Qandagha, sperando che i ladri non avrebbero alzato le mani su un ragazzo piccolo e delicato. O che aveva pianto perché non voleva che la sua famiglia si preoccupasse per lui.
A Belgrado Qandagha aveva vissuto nello stesso magazzino sporco, fatiscente di Mohammed. Avevano acceso fuochi per mantenersi caldi e, dice, "i nostri volti erano neri quando ci svegliavamo la mattina".

A differenza di Saddam Emal, Qandagha non voleva partecipare al ‘gioco’. "Le strade sono chiuse. Nessuno attraversa il confine ", ha detto. A volte aveva voglia di tornare a casa. Non sapeva cosa riservasse per lui il futuro: non aveva un piano. "Niente", disse. "Ora non posso fare niente".

Autore: Rania Abouzeid
Foto:Muhammed Muheisen
Traduzione a cura di: Francesca Del Giudice e Leonardo Cavaliere

Migliaia di minori rifugiati bloccati alle porte d'Europa.

Migliaia di minori rifugiati bloccati alle porte dell'Europa. Dopo essere fuggiti dalla guerra e dalle difficoltà dei propri luog...
Pubblicato dal Ministero del Lavoro e del Welfare il Report di Monitoraggio relativo ai minori stranieri non accompagnati sul territorio Italiano.

Il Report fa riferimento ai dati censiti dalla Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione aggiornati al 31 agosto 2017.

L’EVOLUZIONE DELLE PROCEDURE E DEL QUADRO NORMATIVO


Durante il periodo di riferimento sono intervenute alcune novità normative in tema di minori stranieri non accompagnati. La più rilevante è l’entrata in vigore della legge 7 aprile 2017, n. 47 che ha introdotto una serie di modifiche alla normativa vigente in materia di minori non accompagnati con la finalità di definire una disciplina unitaria organica, che al contempo rafforzi gli strumenti di tutela garantiti dall'ordinamento e cerchi di assicurare maggiore omogeneità nell'applicazione delle disposizioni in tutto il territorio nazionale.

Con riferimento all’applicazione operativa della legge 7 aprile 2017, n. 47, è la Circolare del 28 agosto 2017 del Ministero dell’Interno, con la quale sono state date indicazioni applicative agli uffici territoriali, riguardo le novità normative introdotte dalla citata legge.

Sempre in tema di applicazione della legge n. 47 del 7 aprile 2017, è rilevante segnalare che l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha pubblicato le Linee guida per la selezione, la formazione e l’iscrizione negli elenchi dei tutori volontari. L’obiettivo delle Linee guida è quello di assicurare una base comune di intervento in tutto il territorio nazionale offrendo linee di indirizzo a livello nazionale che potranno essere opportunamente implementate alla luce delle esigenze e delle caratteristiche delle singole realtà territoriali regionali.

Con riferimento alle novità intervenute e livello internazionale si segnala l’Action Plan on Protecting Refugee and Migrant Children in Europe (2017-2019), adottato dal Consiglio d’Europa. Il Piano d'azione propone un sostegno concreto agli Stati membri in tutte le fasi del processo di migrazione, con particolare riguardo ai minori non accompagnati.

Il piano d’azione si basa su tre pilastri principali:

- garantire l'accesso ai diritti e alle procedure per i minori,

- fornire una protezione efficace,

- rafforzare l'integrazione dei minori che decidono di stabilizzarsi in Europa.

I DATI RELATIVI AI MSNA


Al 31 agosto 2017 risultano presenti in Italia 18.486 minori stranieri non accompagnati. Le presenze costituiscono il 33,6% in più rispetto allo stesso periodo di rilevazione dell’anno precedente e il 106,7% in più rispetto alle presenze del 2015


I minori stranieri non accompagnati sono in prevalenza di genere maschile (93,1%).

Rispetto all’età, il 7,1% dei minori ha meno di 15 anni, e quasi il 60% è prossimo al compimento del 18° anno di età; i sedicenni costituiscono poco più di un quinto mentre il 9,5% dei minori ha 15 anni.

Rispetto allo stesso periodo dei due anni precedenti, prosegue il trend di aumento dell’età dei MSNA, con l’aumento della quota di diciassettenni (+5,9% rispetto al 2015) e una diminuzione contenuta della quota di minori con meno di 15 anni.


Al 31 agosto 2017, i principali paesi di provenienza dei MSNA sono il Gambia (n=2.512), l’Egitto (n=1.925), la Guinea (n=1.772), l’Albania (n=1.630), la Nigeria (n=1.496) e la Costa d’Avorio (n=1.376). Considerate congiuntamente, queste sei cittadinanze rappresentano più della metà dei MSNA presenti (57,9%).

Rispetto alla distribuzione di queste nazionalità nello stesso periodo di rilevazione dei due anni precedenti, si osserva un incremento di minori provenienti da Gambia, Guinea, Nigeria e Costa d’Avorio, con la speculare diminuzione di minori albanesi ed egiziani.

Le restanti 5 cittadinanze maggiormente rappresentate registrano variazioni più contenute nel periodo dal 2015 al 2017: il numero di minori eritrei e somali diminuiscono del 3,7%, mentre la percentuale di minori provenienti da Mali, Senegal e Bangladesh è in leggero aumento.


La Sicilia si conferma come la Regione che accoglie il maggior numero di MSNA (42,9% del totale), seguita dalla Calabria (9,2%), dall’Emilia Romagna (5,8%), dalla Lombardia (5,5%), dal Lazio (5,1%) e dalla Puglia (5,1%).

Minori Straniere non accompagnate.

Le minori straniere non accompagnate presenti in Italia al 31.08.2017 sono 1.277, ovvero il 6,9% delle presenze totali di MSNA. Rispetto al 31 agosto dell’anno precedente, il peso della componente femminile sul totale delle presenze di MSNA è aumentato di 1,2 punti percentuali, nonostante tale incremento abbia avuto un andamento non lineare nel periodo considerato.

Il 52,6% delle minori presenti ha 17 anni e il 22,4% ha 16 anni, mentre le quindicenni rappresentano il 10%.

Rispetto allo stesso periodo di rilevazione dell’anno precedente, la quota di diciassettenni ha subìto un netto incremento, pari a 10 punti percentuali; un incremento minore si è registrato per la quota di minori di genere femminile con meno di 15 anni (+2,3%).


La maggioranza delle minori straniere non accompagnate proviene dalla Nigeria (589 minori, pari al 46,1% del totale delle presenze femminili), dall’Eritrea (192 minori, pari al 15%), dall’Albania (91 minori, pari al 7,1%) e dalla Somalia (89 minori, pari al 7%).


Fonte: Min. Del Lavoro e delle Politiche Sociali

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Report di Monitoraggio relativo ai minori stranieri non accompagnati sul territorio Italiano.

Pubblicato dal Ministero del Lavoro e del Welfare il Report di Monitoraggio relativo ai minori stranieri non accompagnati sul territorio ...
L'Asante Calcio è una squadra formata dai giovani migranti dei centri Azad ed Elom, gestiti dall'associazione palermitana Asante Onlus.

La squadra di calcio, che ha come sponsor Totò Schillaci, militerà nel campionato di terza categoria. 

L’Asante calcio è formata da 20 giocatori che vorrebbero trasformare la passione per il pallone in professione. 

«Lo scopo è aprire una via concreta di crescita, attraverso il gioco del calcio, a degli adolescenti che sono arrivati a Palermo da soli e pieni di aspettative». 

«È giusto dare un’opportunità in più ai giovani migranti fuggiti dalla loro terra in cerca di un futuro migliore - ha detto Schillaci - Il calcio aiuta a superare anche momenti difficili, è anche un modo per potersi divertire. A me il pallone ha cambiato la vita, mi auguro che possa farlo anche con questi giovani. Magari qualcuno lo possiamo portare pure al Palermo, chissà». 

Nella giornata di domenica 22 Ottobre i ragazzi dell'Asante Calcio sono stati in diretta TV col popolare programma sportivo Quelli che il calcio.

Perché portare questi ragazzi in tv? Per permettere loro di farsi conoscere a livello nazionale e quindi avere una reale possibilità professionale per il loro futuro, e anche per sensibilizzare sul tema dei migranti.

Un’esperienza sportiva, ma anche di integrazione sociale"Questa non è una squadra di giovani migranti ma di giovani palermitani", ha detto il sindaco Leoluca Orlando.

Per la prima volta una squadra di calcio, interamente composta da minori stranieri non accompagnati è iscritta alla FIGC.

Asante Calcio, la prima squadra di minori non accompagnati

L' Asante Calcio è una squadra formata dai giovani migranti dei centri Azad ed Elom, gestiti dall'associazione palermitana Asa...
Masnà, questo è il nome della squadra di rugby costituita da minori non accompagnati. Il nome ricorda il termine in vercellese di bambini, ragazzini e l'acronimo di Minori Stranieri Non Accompagnati. A Santhià (Vercelli) grazie al progetto del consorzio Cisas è stato possibile metter su una vera squadra di Rugby. Il rugby è entrato nella vita di questi giovani migranti - tutti di età compresa tra i 16 e i 17 anni - dei Cas di Santhià, Caresana, Borgo d’Ale, Alice Castello e Cigliano. Un’autentica scuola di vita, votata al contatto, all'unione, al gruppo, all’integrazione.

Il direttore Andrea Lux del CISAS dichiara  che «L'idea di affidarci al rugby va proprio in questa direzione: integrare - spiega -. Il nostro scopo è formare un team in cui non giocheranno soltanto i giovani richiedenti asilo ma anche ragazzi del nostro territorio. La palla ovale è lo sport che, per eccellenza, riesce a creare forza nell'unione».

 Daniele Tarasco, veterano santhiatese del rugby, caposaldo dell’Eminenza Grigia, formazione della selezione regionale piemontese Over 50, sarà colui che allenerà questi ragazzi.

 I primi sette ragazzi che parteciperanno a questo progetto provengono da Bangladesh, Burkina Faso, Nigeria, Costa d’Avorio, Mali.
«A novembre scatterà il campionato regionale di rugby a sette, e noi ci saremo, anche se abbiamo chiesto, per ovvie ragioni logistiche, di giocare sempre in trasferta - racconta Tarasco -. Questa particolare specialità è meno impegnativa e pressante rispetto a quella classica, composta da 15 giocatori per squadra. A cui, tuttavia, vogliamo arrivare presto, con tanti partecipanti, anche italiani. Per i ragazzi dei Cas, la palla ovale aiuta nella concentrazione, grazie all’applicazione degli schemi di gioco e all’obiettivo comune di arrivare alla meta e di fare la scelta giusta in condizioni di fatica». 

«Perché - prosegue Tarasco- il rugby viene usato come pratica sportiva per appianare le differenze. Tutti ci possono giocare, portando ognuno le proprie caratteristiche. Fisiche e psicologiche, le proprie individualità. Ognuno ha un ruolo all’interno della squadra e dà il proprio contributo per il suo funzionamento. Giocando, ci si accorge che si riesce a dare di più, molto di più di ciò che si ha dentro».


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Una squadra di rugby per i minori non accompagnati

Masnà , questo è il nome della squadra di rugby costituita da minori non accompagnati . Il nome ricorda il termine in vercellese di bam...
Arrivés avec la crise migratoire et ballotés dans des procédures complexes, les «mineurs non-accompagnés», ces jeunes migrants sans famille, posent un défi épineux aux pouvoirs publics, alors que leur nombre explose.

Qui sont les mineurs non-accompagnés ?

Les mineurs non-accompagnés (MNA) sont des étrangers de moins de 18 ans qui se trouvent en France sans adulte responsable. On parle aussi de «mineurs isolés étrangers», leur dénomination jusqu’en 2016.

Selon un rapport d’information au Sénat datant de juin, leur nombre a explosé ces dernières années: de 4.000 en 2010, ils sont passés à 13.000 en 2016 et on «pourrait dépasser 25.000» cette année.

Ce sont essentiellement des garçons (à 95%), âgés de 15 à 18 ans (84%) et originaires d’Afrique (70%).

Leur profil diffère sensiblement de celui des migrants adultes: beaucoup sont «mandatés» par leur famille, leur parcours «est bien souvent organisé par des filières», et ils cherchent plus «des opportunités économiques» que l’asile, affirme le rapport.

Quel parcours en France ?

Les mineurs, non soumis aux règles de séjour des étrangers, ne sont pas expulsables. Ils relèvent de l’aide sociale à l’enfance (ASE), donc des départements, dans un parcours complexe.

Lorsqu’un mineur arrive, il est évalué par le département qui a cinq jours en théorie pour mener des entretiens.

En cas de doute sur leur âge, le juge peut être saisi pour procéder à des tests osseux, très contestés par certains: une loi de 2016 a limité le recours à ces tests, sans le supprimer.

Si le jeune est reconnu mineur, le juge va décider son placement. Depuis 2016 une «clé» de répartition entre départements, révisée chaque année, est utilisée, sur la base de critères démographiques et d’efforts déjà consentis: ainsi le Nord devait accueillir 4,57% des MNA pour 2017, Paris 2,25% et la Lozère 0,11%.

S’il est reconnu majeur, le jeune peut saisir le juge en vue d’une réévaluation.

Quelles difficultés ?

Les difficultés sont d’une part financières. Chaque jeune isolé coûte 50.000 euros par an selon les départements, qui chiffrent à «un milliard d’euros» la facture totale pour 2017.

L’État compense à hauteur de 250 euros par jour pendant les cinq jours de l’évaluation. Mais dans certains départements la durée s’allonge: 60 jours en Seine-Saint-Denis, 30 à Paris...

L’État vient de donner un coup de pouce de 6,5 millions d’euros, jugé insuffisant par les départements qui rappellent la saturation généralisée des structures d’hébergement et d’accueil.

Autre problème, malgré un «référentiel» national fixé en 2017, les procédures ne sont pas harmonisées, notamment dans le recours aux tests osseux, très fréquent dans certains départements et bannis ailleurs.

Les résultats s’en ressentent: si 40% des évaluations concluent à la minorité à l’échelle nationale, on tombe à «15% dans certains départements» selon le rapport.

La clé de répartition, qui ne prend en compte que les mineurs confiés l’année précédente, est aussi critiquée: ainsi les Alpes-maritimes, qui voient arriver de nombreux migrants d’Italie, «continuent d’accueillir des mineurs réorientés depuis d’autres départements»...

Les associations, elles, dénoncent une méfiance préjudiciable aux jeunes, dont le récit est trop systématiquement mis en doute.

Elles s’inquiètent aussi du sort des jeunes évalués majeurs mais qui demandent une réévaluation: «Ils ne sont en fait pas admis dans les dispositifs pour majeurs et errent dans une zone grise qui peut durer 14 mois», assure Corine Torre de Médecins sans frontières.

Quelles solutions ?

«Il faut qu’on trouve une solution», a reconnu jeudi Édouard Philippe, en suggérant que l’État se dote «d’une capacité à décider notamment de la majorité ou de la minorité».

Une «phase de concertation» avec les départements a été lancée en septembre, autour de la phase d’évaluation et de mise à l’abri, et la lutte contre les trafics notamment.

Le rapport du Sénat plaide aussi pour des «partenariats» entre départements et État, voire des «plateformes spécifiques» pour l’évaluation et la mise à l’abri.

Les associations, elles, mettent en garde contre toute démarche qui sortirait les mineurs des dispositifs de protection de l’enfance. «Un enfant reste un enfant, avant d’être un migrant», martèle Mme Torre. 

Qui sont les mineurs isolés étrangers arrivés en France ?

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