Più
che una città, Melilla potrebbe essere definita una frontiera che è, anche, una
città. L’enclave spagnola in terra marocchina si presenta come una fortezza
militarizzata circoscritta per l’intero suo perimetro da alte barriere, filo
spinato e azioni di controllo e di polizia, tra le più arbitrarie e
discrezionali. Il nemico numero uno di Melilla pare essere rappresentato dai
migranti: migranti da tenere fuori ad ogni costo e con ogni mezzo.
La
gestione delle frontiere melillesi incarna a perfezione la politica d’asilo
spagnola ( e quella di esternalizzazione delle frontiere europea). Come di
recente denunciato anche dal CEAR - Comisión Española de Ayuda al Refugiado- la protezione a coloro che provengono da paesi diversi
dalla Siria è limitata al massimo.
Poiché
ai valichi di frontiera viene consentito il passaggio verso la Spagna quasi
esclusivamente ai rifugiati siriani, a quelli che provengono dall’Africa
sub-sahariana non rimane che oltrepassare il confine scavalcando la recinzione
multipla che lo delimita.
Tuttavia,
neppure questo tentativo estremo è sufficiente a garantire l’accesso al diritto
d’asilo. Infatti, la legge di sicurezza
cittadina del 2015, modificando quella organica sull’immigrazione che
garantiva il diritto di richiesta d’asilo nelle zone di confine, ha sancito che
tutti gli ingressi effettuati attraverso i punti di frontiera diversi dai
valichi ufficiali, siano da considerarsi irregolari e quindi oggetto di
provvedimenti di espulsione diretta.
I
cosiddetti “respingimenti a caldo” che sono stati così legittimati da tale
legge, e che sono in totale violazione con il principio di non refoulement, avvengono attraverso le porte di servizio
impiegate per la manutenzione delle recinzioni che delimitano il confine. In
tal modo non rimane alcuna traccia degli ingressi e delle tante persone a cui è
stato negato il diritto d’asilo, de jure
e de facto.
L’inespugnabilità
di queste frontiere euro-africane costringe migliaia di migranti di origine
sub-sahariana a tentare la ancor più pericolosa rotta della Libia oppure a
vivere, anche per anni, nelle foreste di Nador, la città marocchina che confina
con Melilla. Tra queste persone che vivono in condizioni estreme,
nell’estenuante attesa di riuscire a fare ingresso in Europa, ci sono
moltissimi minori stranieri non accompagnati.
Anche
per loro l’unico modo di entrare è quello di tentare il grande salto della
barriera…costi quel che costi! Considerate le violenze perpetrate dalla
gendarmeria e, data la pericolosità stessa delle recinzioni metalliche (sulle
quale si rischia di rimanere agganciati anche giornate intere o scenderne
feriti o mutilati) il prezzo di questi
salti, spesso, risulta essere molto alto.
Si
stima che i minori stranieri non accompagnati presenti a Melilla siano circa
500 e che circa un centinaio di loro viva per strada. Le ONG che lavorano sul
terreno denunciano da anni il grave stato di abbandono in cui vivono.
Vengono
chiamati fijos del Marruecos per via
della provenienza geografica della maggior parte di loro, il cui passaggio
della frontiera è agevolato dagli accordi che intercorrono tra i due stati
confinanti e che prevedono il solo
possesso del passaporto. In alcuni casi questi ragazzini vengono accompagnati
dagli stessi genitori che, non essendo in grado di provvedere al loro sostentamento
ed istruzione, si augurano così, di garantir ai propri figli un futuro migliore
in Europa.
I
centri di accoglienza dedicati ai minori sono caratterizzati da condizioni di
sovraffollamento e di grave mancanza di tutti quei servizi che dovrebbero essere
previsti a garanzia dei loro diritti di protezione, educazione e accompagnamento all’autonomia.
Con il
pretesto di una permanenza teoricamente transitoria e funzionale al
trasferimento sulla penisola iberica (e quindi all’ inserimento effettivo entro
un progetto di accoglienza) a questi minori non viene garantito neanche il
diritto allo studio. Anche se, in realtà, la loro permanenza a Melilla si
protrae, nella maggior parte dei casi,
fino al compimento della maggiore età, quasi nessuno di loro viene iscritto a scuola. E, una volta
compiuti i diciotto anni verranno espulsi.
Tale
fallace sistema di accoglienza favorisce il fenomeno dei niños
della calle, i minori stranieri non
accompagnati che abitano per strada.
Vivono
mesi interi nella zona del porto e sperano di riuscire a raggiungere l’Europa
agganciandosi o nascondendosi su uno dei
tir che si imbarca sui traghetti in partenza, ogni notte, verso Malaga.
Passano
le giornate mendicando per le vie del centro e dormono nella zona della
scogliera rimanendo così esposti a
qualsiasi pericolo per la loro salute e incolumità fisica, e facilmente,
finiscono nelle mani della malavita locale. Non hanno accesso alle cure e
vengono criminalizzati dalla comunità cittadina che li percepisce come un
pericolo per la sicurezza delle strade. Per tale ragione, la Guardia Civile
organizza ciclicamente delle vere e proprie retate, con tanto di impiego di
elicottero, al fine di “liberare” la zona del porto dalla loro presenza e
riaccompagnarli nei medesimi centri da cui sono scappati e dai quali si
allontaneranno nuovamente.
Attraverso
le testimonianze raccolte dalle diverse associazioni che si occupano di tutela dei minori, si
capisce come alla base della scelta di questi ragazzi che fuoriescono dal
sistema di accoglienza ci siano le insostenibili condizioni di vita nei centri,
i maltrattamenti psicologici e fisici che vi vengono perpetrati e la
consapevolezza di essere destinati a passare in queste strutture lunghi
periodi, senza mai ricevere alcun documento e senza mai essere trasferiti sulla
penisola iberica. Sono inoltre consapevoli del fatto che, quasi tutti loro, al
pari dei connazionali adulti, una volta divenuti maggiorenni saranno espulsi in
Marocco.
Ho
incontrato i niños della calle, una sera di Marzo, unendomi ai volontari di
un’associazione di Melilla che quotidianamente si occupa di andare a distribuire
loro del cibo.
Ci
hanno raggiunto in piccoli gruppi, fino ad arrivare ad essere circa una
sessantina; tutti di un’età compresa tra i 14 e i 20 anni.
I più
giovani sono stati gli ultimi ad arrivare, sembravano essere i più stanchi ed
infreddoliti e dimostravano al massimo 10 anni, anche se affermavano di averne
14.
Alcuni
di questi ragazzi apparivano evidentemente stremati e rimanevano in silenzio,
altri si sono resi subito utili ad aiutare la distribuzione del cibo e si sono
mostrati ben disposti al dialogo.
Le
loro città di provenienza: Agadir ,
Oujda, Fez. Il loro sogno: l’Europa del Nord, dove poter raggiungere parenti o
realizzare il “business” per “diventare ricchi” e mantenere le loro famiglia in
Marocco.
C’era
chi prima di partire andava ancora a scuola, chi lavorava già da qualche anno
oppure cercava lavoro. Parlavano del proprio paese con amore e amarezza e in
molti hanno annuito alla frase di Ahmed, che ha descritto il Marocco come “un posto bello, ma dove se non
hai soldi non mangi”.
Le
conversazioni con questi ragazzi duravano solo qualche minuto, era poi
sufficiente un attimo di distrazione per non ritrovare più alcuni di loro e poi
scorgerli nel gruppetto che si accingeva a raggiungere l’area del porto in cui
sostano i tir che attendono di imbarcarsi.
Si
sono allontanati in silenzio, come richiamati da un dovere, senza neppure congedarsi prima di andare a “tentare
la sorte”, forse perché fin troppo consapevoli dell'alta probabilità di dover
ritornare indietro e riunirsi al gruppo.
Alcuni
di loro hanno raccontato di aver provato ad imbarcarsi per ben 15 volte in 5
mesi.
La
condizione di vulnerabilità in cui sono relegati i minori stranieri non
accompagnati a Melilla è allarmante.
Lo
scorso febbraio, l’eurodeputata Marina Arbiol ha denunciato lo stato di abbandono e il fatto
che dietro al prolungarsi dei tempi di permanenza presso le strutture di
accoglienza ci sarebbe il tentativo del governo di raggiungere accordi di
riammissione con il Marocco, anche per i minori stranieri non accompagnati,
affermando che, quanto avviene a Melilla
è il riflesso della nefasta politica migratoria dello stato spagnolo.
Nefasta
si può definire l’intera politica migratoria dell’Unione Europea, nei cui Stati
e sulle cui frontiere, sempre più esternalizzate, vengono legittimate
numerose prassi che ledono la dignità e il rispetto dei diritti fondamentali di
donne, uomini e bambini, e che tradiscono gli stessi principi e ideali di
eguaglianza, libertà e solidarietà su cui essa si fonda e per i quali è nata.
Giovanna
Vaccaro
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I Minori Stranieri non Accompagnati
Più che una città, Melilla potrebbe essere definita una frontiera che è, anche, una città . L’enclave spagnola in terra marocchina si pre...