Nell'estate del 2016, la chiusura della frontiera con la Svizzera ha bloccato a Como centinaia di migranti. Con la speranza di riuscire a proseguire comunque il viaggio verso la loro meta - la Svizzera, la Germania o altri Stati del nord Europa - uomini, donne, famiglie, bambini e ragazzi, provenienti per la maggior parte da Eritrea, Somalia ed Etiopia hanno vissuto nel parco antistante la stazione ferroviaria, aiutati da una rete di volontari che hanno collaborato con le istituzioni nel realizzare servizi come la mensa o le docce e supplito alle carenze del sistema, laddove le risposte istituzionali si dimostravano inadeguate. Con l'apertura del “campo governativo”, affidato alla gestione di Croce Rossa, verso la metà di settembre, l'emergenza è rientrata e il flusso di migranti – che in realtà è proseguito – è diventato invisibile alla città. E altrettanto invisibili sono diventati i problemi ad esso collegati. Primo fra tutti la gestione dei minori stranieri non accompagnati. 

I minori soli - alcuni dei quali molto giovani, sui 12/13 anni - transitati da Como sono tantissimi. I volontari si sono resi conto da subito che, come emerge da tutte le ricerche, i ragazzini eritrei, somali ed etiopi non mostravano alcun desiderio di restare in Italia, focalizzati ostinatamente sul loro progetto di arrivare in altri Stati europei, dove spesso hanno parenti o amici. Per un'estate intera abbiamo incrociato questi ragazzini per strada, in stazione, in mensa, alle docce, in qualche parrocchia, ma andare oltre i sorrisi e poche frasi di circostanza era molto difficile. Una diffidenza comprensibile (considerando le condizioni del viaggio che hanno affrontato), gli ostacoli linguistici (con chi non parla inglese non puoi comunicare se non ci sono mediatori) e una presenza discontinua, data dalla estrema mobilità di questi ragazzi, rendevano complicato instaurare una relazione di fiducia. Pochissimi di loro hanno scelto di restare e di presentare una richiesta di asilo, avviando un percorso che garantisce loro diritti e tutele. Quelli che vengono presi in carico dal Comune, hanno un tutore legale e sono collocati in comunità, dove sono seguiti da personale specializzato, possono frequentare corsi di italiano e di formazione. Tutti gli altri – la stragrande maggioranza – continuano a restare nell'ombra.

Sul bilancio del Comune di Como la voce di costo dei msna pesa come un macigno. Impossibile pensare che possa prendere in carico tutti i msna che transitano dalla nostra città. In realtà il Comune prende in carico solo i minori che vengono segnalati dalla Polizia e attualmente ne gestisce circa 120. Non disponendo di una struttura propria per l'accoglienza di questi ragazzi, è costretto a collocarli in diverse comunità di accoglienza, anche fuori provincia, o addirittura fuori regione quando sul territorio non ci sono più posti, con un pesante aggravio di costi e di lavoro, lavoro che può anche rivelarsi del tutto inutile, nei casi, tutt'altro che rari, in cui il ragazzo scappi poco dopo il suo arrivo in comunità.

Durante l'estate i minori hanno trovato accoglienza soprattutto in una parrocchia di periferia che offriva loro un luogo in cui dormire, in assenza di luoghi di accoglienza più istituzionali. Qui gruppi di volontari, tra cui diversi avvocati, si sono prodigati per fornire informazioni legali e assistenza nelle pratiche per i ricongiungimenti familiari, soprattutto per chi dichiarava di avere parenti in Svizzera.

A settembre, con l'apertura del campo governativo, l'accoglienza dei msna in città è diventata oggetto di dibattito perchè non era chiaro se i minori potessero accedere al campo, non essendo il campo governativo una struttura che potesse offrire le garanzie previste dalla legge per l'accoglienza dei minori. Alla fine la scelta prefettizia è stata quella di permettere l'accesso dei minori (probabilmente perchè non esisteva un'alternativa praticabile). Il campo governativo – che conta 300 posti, ma nei momenti di grande affluenza ha raggiunto quasi 400 presenze – è diventato, quindi, un campo “misto”, in cui i minori convivono con famiglie e con uomini e donne adulti, senza avere a disposizione nessun servizio mirato o personale specializzato. Il campo offre agli ospiti un servizio di mediazione e orientamento legale – affidato a Caritas – che ha l'obiettivo di informare in merito alle diverse possibilità offerte dalla normativa vigente e quindi permettere agli ospiti di scegliere in modo consapevole se fermarsi in Italia o proseguire il viaggio. Chi sceglie di restare viene accompagnato nella formulazione della domanda di asilo in questura, fino all'inserimento in un Centro di Accoglienza Straordinaria del territorio (a Como e provincia non sono presenti centri SPRAR. Se però i ragazzi dichiarano la loro volontà di proseguire il viaggio non vengono più seguiti. Possono restare nel campo, e tentare e ritentare di passare la frontiera in modo illegale, ma nessuno si occupa di loro. Non hanno in mano nessun documento, neppure il permesso per minore età (che dovrebbe essergli rilasciato a prescindere), non sono seguiti sotto il profilo psicologico e non hanno accesso a nessun tipo di attività di socializzazione. In un'intervista di pochi giorni fa, Medici Senza Frontiere – presente a Como con i suoi operatori fin dall'estate scorsa – evidenzia in modo critico l'assenza di sostegno psicologico, di mediatori linguistici e di progetti di accompagnamento e intrattenimento per i minori ospiti del campo.

L'episodio più grave registrato in questi mesi – emblematico delle criticità della situazione - ha riguardato il tentato suicidio di un ragazzo etritreo di 15 anni che ha tentato di impiccarsi in un container del campo. Salvato in extremis grazie all'allarme lanciato da un amico, è stato portato in ospedale. Dimesso due giorni dopo, è stato riportato nel campo, senza prevedere alcun supporto psicologico.

In questo periodo ci sono stati diversi minori ricoverati in ospedale e ogni volta si sono presentati numerosi problemi, tuttora irrisolti. Da una parte la mancanza dei mediatori linguistico culturali rende difficile il rapporto medico – paziente, dall'altra non è pensabile che dei ragazzini possano stare in ospedale giorni o settimane senza nessuno che si occupi di loro, anche solo per un cambio di biancheria o un po' di compagnia. Anche in questo caso la rete dei volontari supplisce la mancanza di risposte istituzionali, ma ci sono interventi – come la mediazione linguistica – che devono essere affidati a professionisti, ma che nessuno vuole di fatto accollarsi. Non Croce Rossa, non Caritas, non gli ospedali.

I problemi che riguardano l'accoglienza dei msna sono molti, alcuni dei quali si sono resi evidenti nell'esperienza comasca di questi mesi. C'è però un punto essenziale su cui non si riflette abbastanza e cioè la necessità di occuparci di tutti i minori e non solo di quelli che scelgono di “entrare nel sistema”, che hanno un tutore, che sono in carico ai servizi sociali, che sono accolti in una comunità. Quando leggiamo i numeri dei minori stranieri che ogni anno scompaiono, inghiottiti dal nulla, esposti a rischi, abusi e violenze, non possiamo far altro che inorridire. Ma questo non basta. Occorrono interventi che si rivolgano a tutti i minori, soprattutto a quelli che scappano, che non vogliono fermarsi, che rifiutano di essere aiutati. Dobbiamo pensare a strutturare (e finanziare, perchè è impossibile pensare che i Comuni si facciano carico anche di questo) servizi di bassa soglia rivolti a questi ragazzi, ai quali possano accedere senza registrazioni e senza nessun tipo vincolo, dove operatori e volontari abbiano modo di entrare in relazione con loro, stabilire un legame di fiducia e convincerli a restare e utilizzare i servizi, le tutele e le opportunità che lo Stato italiano mette loro a disposizione. Se non andremo in questa direzione, non potremo far altro che leggere numeri di ragazzini dispersi nel nostro Stato, nelle nostre città, nelle nostre strade, e inorridire.

Chiara Bedetti - volontaria 

Minori non Accompagnati invisibili alla Città. Il Caso di Como.

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L' Ungheria ha approvato la norma con cui intende automaticamente detenere i migranti richiedenti asilo, compresi i minori. I campi container saranno creati lungo la frontiera meridionale.
Questa norma avrà effetti terribili, sia dal punto di vista fisico che psicologico per i migranti che ne saranno coinvolti, in particolare per i minori migranti.
E' utile ricordare che le leggi internazionali e comunitarie giustificano l'eventuale detenzione di rifugiati e richiedenti asilo solo in alcuni casi, e solo se strettamente necessario. Questo impone alle autorità di valutare se vi sono misure non coercitive, quindi non detentive, per raggiungere gli stessi obiettivi, sulla base di una valutazione delle circostanze particolari del singolo.
Nel caso dei minori, in base a quanto affermato dalla dichiarazione del fanciullo, ratificata anche dall'Ungheria, non dovrebbero mai essere detenuti. La detenzione non è mai nel migliore interesse di un bambino.


Di seguito una rassegna dei principali quotidiani Europei sull'argomento.

​Hungary to detain all asylum seekers in container camps

Hungarian parliament approves law allowing all asylum seekers to be detained

Hungary to detain migrants in border camps, alarming U.N.

UNHCR deeply concerned by Hungary plans to detain all asylum seekers

Hungarian parliament approves systematic detention of asylum-seekers


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I Minori Stranieri non Accompagnati

Ungheria, approvata la legge per detenere tutti i richiedenti asilo, compresi i bambini.

L' Ungheria ha approvato la norma con cui intende automaticamente detenere i migranti richiedenti asilo, compresi i minori. I campi co...
La mia è una storia di conquista, speranza, sofferenza e volontà che inizia in Gambia, un piccolo stato tropicale nel quale sono cresciuto e ho vissuto con la mia grande famiglia e dal quale ho deciso di partire  per scoprire un’altra parte del mondo.
La mia storia inizia da uno zainetto con dentro l’essenziale: due paia di pantaloni,  due magliette e una cuffia di lana, pane secco e burro di arachidi; in tasca un cellulare vecchio modello e i soldi nascosti nelle mutande.
Tanta la paura di non farcela, consapevole che non avrei rivisto la mia famiglia per un lungo periodo; ma uno spirito intraprendente mi ha spinto a mettermi in gioco e rischiare. Rischiare di non sopravvivere, di non abbracciare più la mia famiglia, di vedere il mio futuro sfumare tra la polvere del deserto, le onde del mare e le strade dissestate.
Proprio da qui è iniziato il mio lungo viaggio con la voglia di costruire un futuro nuovo, un percorso di riscatto e di rinascita grazie alla volontà di scommettere su una vita migliore.
Non posso dire che sia stato facile, ma sono stato fortunato e ce l’ho fatta.
Il sogno e la realtà, però, sono cose molto diverse. Ho incontrato, nel mio viaggio, tanti ragazzi pieni di speranza che avevano il mio stesso desiderio: arrivare in Europa e, da lì, costruire una vita migliore per se stessi ma anche per la loro famiglia. Il pensiero che dava forza  era quello di poter aiutare chi era rimasto a casa. 
Quando sono arrivato in Italia, anche se il peggio era passato, sapevo che mi aspettavano nuove difficoltà da affrontare: un posto dove stare, un lavoro da cercare per guadagnarmi da vivere, una lingua sconosciuta da imparare.  Sono molte le persone che mi hanno dato una mano e a cui sono grato; grazie a loro sto realizzando il mio sogno: andare a scuola e lavorare. Penso di avere fatto anch’io la mia parte, perché nella vita non puoi soltanto pensare di ricevere, devi anche dare. Io ho messo tutta la mia volontà e determinazione, impegnandomi a frequentare un corso per imparare l’italiano, lavorando nello stesso tempo. Sono felice di quello che ho raggiunto, sono felice di non essermi perso in strade che all’inizio possono sembrare più facili e brevi ma che sono sbagliate. So di avere intrapreso una strada lunga ma giusta, ho fiducia in me stesso. La mia famiglia mi manca, ma so che un giorno, forse nemmeno troppo lontano, avrò la gioia di condividere con loro la mia esperienza.

Jerreh Jaiteh


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Minori stranieri non accompagnati, una storia di conquista, speranza, sofferenza e volontà. La Storia di Jerreh Jaiteh

La mia è una storia di conquista, speranza, sofferenza e volontà che inizia in Gambia, un piccolo stato tropicale nel quale sono cresci...
Oltre un milione di migranti irregolari dovranno essere rimpatriati. Questo il diktat contenuto nella raccomandazione inviata dalla Commissione Europea agli Stati membri. Tra i migranti da rimpatriare ci sono anche i minori non accompagnati che dovrebbero, prima di essere deportati nel proprio paese di origine, rinchiusi in centri di detenzione amministrativa. In violazione alla Convenzione dei diritti del Fanciullo, firmata e ratificata da tutti gli Stati Europei, nel documento si afferma che “gli Stati membri possono usare la detenzione di minori non accompagnati e famiglie con minori”. Si aggiunge, per lavarsi la coscienza, “per il più breve tempo possibile” e comunque gli Stati “dovrebbero assicurare valide alternative alla detenzione per i bambini”.
Le misure sollecitate dalla Commissione europea sui rimpatri rischia di incoraggiare gli Stati UE ad accelerare i rimpatri, anche di bambini, con tutele procedurali ridotte e attraverso un aumento dell'utilizzo di sistemi detentivi. Amnesty International ha criticato la proposta, dichiarando, per bocca di Iverna McGowan, capo dell'ufficio di Amnesty International presso l'Ue, "La detenzione dei migranti irregolari, alcune delle persone più vulnerabili in Europa, dovrebbe essere l'ultima risorsa”. La portavoce di Amnesty ha aggiunto che le recenti dichiarazioni dei Leader politici Europei contro le spregevoli politiche migratorie di Trump sono destituite di ogni significato. La proposta della Commissione contiene tutta l’ipocrisia di una classe dirigente incapace di affrontare il fenomeno migratorio.
In definitiva, la proposta a firma Avramovulos è un altro passo verso i periodi più bui della Storia d’Europa.

Leonardo Cavaliere

I Minori Non Accompagnati possono essere detenuti

Oltre un milione di migranti irregolari dovranno essere rimpatriati. Questo il diktat contenuto nella raccomandazione inviata dalla Commi...
Da un gommone che ha attraversato il Mediterraneo alle coste calabresi di Vibo Valentia, fino a un posto di lavoro da Dongiò, il ristorante di via Corio, in zona Porta Romana a Milano. Dall’ospitalità a Villa Amantea, casa famiglia di Trezzano che accoglie i giovani profughi e progetta con loro un futuro in Italia, fino a un appartamento dove iniziare a costruirsi un futuro. Daouda, ivoriano, ora appena maggiorenne, racconta la sua storia tra i tavoli del ristorante. “Il mio sogno era ed è quello di fare una vita migliore di quella di prima. Lentamente ci sto riuscendo. A me non interessano i soldi, ma trovare un lavoro. Mi sono sentito accolto, i volontari mi hanno preso con loro”, dice Daouda, aprendo le mani come a indicare aiuto e sostegno.

I volontari raccontano di essersi subito accorti del talento del loro ospite, quando è arrivato un anno fa, e della manualità che sviluppava soprattutto in cucina. “Nella casa di Trezzano noi insegnavamo i piatti della nostra cucina – dicono i volontari - lui spiegava i piatti della sua tradizione, a base di riso, manioca, pesce..”. Dopo la borsa lavoro della Regione, Daouba ha così ottenuto un contratto di tirocinio di sei mesi, in uno dei pochi ristoranti milanesi che ancora producono nel proprio laboratorio la pasta. Un riconoscimento per le sue qualità, ma anche della sua voglia di integrazione.

“Un ragazzo serio, disponibile, un gran lavoratore – dice Antonio Criscuolo, che gestisce con la famiglia il ristorante, aperto nel 1987 –. Ha imparato subito a fare dei piatti anche molto complicati. Dopo una settimana di lavoro era già bravo a impastare, e ora di questo si occupa solo lui, con quindici o venti chili di semola al giorno da lavorare. Ma ormai è bravo anche con gli gnocchi, la pasticceria, i condimenti fatti a mano”.

Quando è arrivata la proposta di dare un lavoro a Daouda, al ristorante non c’era necessità di un nuovo dipendente, ma la famiglia ha subito accettato. “Ognuno deve fare qualcosa di suo per migliorare il mondo in cui vive – spiega Antonio, a sua volta figlio di immigrati arrivati a Milano dalla Calabria -. Non avevamo bisogno, ma sapevamo che l’impegno era solo per sei mesi. Avevamo fatto un progetto simile con un italiano, ma non era andata bene. Ma Daouba ci ha subito sorpreso, ed è rimasto con noi. Si è inserito alla perfezione. Ci sono giorni cui noi pensiamo a un menù, ma poi lui dice “facciamo quest’altra cosa”. E il menù lo decide lui”.

Con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, Daouba ora ha lasciato Villa Amantea, che da più di un anno si occupa di minori stranieri non accompagnati nell'ambito del progetto SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Grazie all’aiuto del suo datore di lavoro, ha trovato un piccolo bilocale in periferia che può pagarsi con il proprio stipendio. Come per lui, la rete di servizi messa in campo dal comune di Trezzano, dal Centro provinciale per l’istruzione adulti (che organizza corsi di alfabetizzazione per migranti) e da Villa Amantea, nata in due ville confiscate alla ‘ndrangheta, funziona anche per altri migranti che a Milano hanno ottenuto la borsa lavoro.
E ci sono anche altri esercenti che, venuti a conoscenza della storia d’integrazione di Daouba, si sono fatti avanti. Come per un bar in via Lanzone che ha offerto una borsa lavoro a un ragazzo di sedici anni dello Sri Lanka. “Aiuta in cucina, nelle pulizie, pensiamo di assumerlo”, conferma la titolare, Francesca Bonfioli. "Conoscevo lo strumento dello stage, poi Antonio ci ha messo in contatto con l’associazione, e l’esperimento sta funzionando” 

Milano, storia di Daouda, dal gommone nel Mediterraneo a un lavoro da chef

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