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Non nascondo che avventurarmi nei meandri delle procedure amministrative per la richiesta del permesso di soggiorno di C. mi intimoriva non poco. Del resto, chi non ha paura dell’ingarbugliata burocrazia italiana? E, invece, l’esperienza presso l’Ufficio Immigrazione della Questura è stata una vera sorpresa…tanto che, in pochi giorni dalla richiesta dell’appuntamento, io e C. veniamo convocati dagli Uffici competenti per l’espletamento delle procedure previste.
Ci troviamo davanti al cancello dell’entrata riservata ai minori, un po’ in disparte rispetto all’ingresso principale dove ogni giorno si accalcano decine di persone in una specie di girone infernale. Si intravedono tratti somatici di ogni tipo, esseri umani provenienti da ogni angolo della Terra, ognuno con la propria storia spesso, purtroppo, carica di disperazione. Ad accompagnare C. c’è un operatore della struttura di accoglienza che ha preparato tutta la documentazione necessaria per poter richiedere il permesso di soggiorno per minore età: fotografie, passaporto, marca da bollo, copia del decreto di tutela, relazione inerente il percorso migratorio del ragazzo, versamento al MEF a nome del minore, e altra documentazione ritenuta utile al nostro obiettivo.
Inganniamo il tempo nella sala d’attesa chiacchierando un po’: C. mi racconta che ha imparato a cucinare la pasta al tonno, poi fantastichiamo un po’ sul futuro che l’aspetta con il diploma della terza media tra le mani. Non c’è molta gente questa mattina, forse siamo fortunati visto che dopo un po’ “il tutore” viene chiamato ad un colloquio individuale. La conversazione con il responsabile dell’Ufficio Minori si protrae per un tempo inaspettatamente lungo: introduco io dapprima la storia di C. poi ci soffermiamo sulla questione del “fenomeno migratorio dei minori albanesi”, ci confrontiamo sull’esperienza che sto vivendo in qualità di tutore e sulle difficoltà che sto riscontrando. Nonostante i miei iniziali timori gentilezza e disponibilità mi fanno sentire davvero a mio agio, ma è passata più di un’ora e trovo C. impaziente nella sala d’attesa e spaventato che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Lo tranquillizzo e procediamo insieme nell’ufficio deputato all’acquisizione delle impronte digitali del minore. Vedo C. ancora spaventato e un po’ in confusione, confonde la destra con la sinistra, mi lancia ogni tanto qualche occhiata per avere rassicurazioni che la procedura stia andando avanti bene. Poi, finalmente, le firme e il tanto agognato cedolino: da oggi C. potrà godere dei medesimi diritti riconosciuti al titolare di un permesso di soggiorno per minore età, in attesa del ritiro del documento ufficiale fra un paio di mesi. All’uscita si festeggia con succo di frutta e tanta felicità: C. potrà tirare un sospiro di sollievo per un anno intero, fino al compimento della maggiore età. Ma ancora non riesce a crederci!

Una Tutrice


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Sinceramente non credo di sapere da dove partire per instaurare un rapporto con C.. L’età difficile, le lingue diverse, i due mondi così lontani dai quali veniamo. Per fortuna whatsapp e i suoi emoticon mi vengono  in soccorso: azzardo qualche primo messaggino accompagnato da una faccetta che ride o da un occhiolino.  Chissà se risponde e cosa…Nasce così, timidamente, il nostro canale comunicativo: dico a C. di scrivermi se ha bisogno di qualcosa, devo cominciare a fargli capire chi sono.
L’altro giorno, infatti, durante un colloquio facilitato dal mediatore culturale, ha realizzato, sgranando gli occhi e sciogliendosi in un grande sorriso, che io sono il SUO tutore e non il tutore di tutti! Ma spiegargli concretamente cosa significhi tutto ciò non è facile nemmeno per me. Siamo tutti e due alle prime armi: io come tutore, lui come minore tutelato.
Prima ancora di cimentarmi tra scartoffie e procedure burocratiche, provo ad avviare un dialogo tra messaggi, telefonate, incontri al Centro per fare due chiacchiere. Parliamo di lui, ci concentriamo più sui suoi progetti futuri che sul passato così mortificante, ogni tanto accenniamo alla sua famiglia, ma cerco soprattutto di capire tra le righe quali sono i suoi interessi, le sue inclinazioni, i suoi sogni. C. è attento anche a me, mi chiede sempre come sto e come va il mio lavoro: faccio fatica, però, a spiegarglielo…troppo astratto per i suoi gusti!
Certo che questo ragazzo ha le idee già così chiare…Non ha nemmeno 17 anni ma ha progetti ben precisi: vuole rimanere in Italia e trovare un lavoro al più presto, possibilmente in un’officina meccanica o nella ristorazione. Purtroppo, però, oggi non è ancora pronto a decollare. Mancano una buona conoscenza dell’italiano e il titolo della terza media, senza i quali ogni velleità lavorativa si fermerebbe inevitabilmente. E di questo, C., non era molto consapevole. La sua aspettativa era un’altra, pensava di arrivare in Italia e mettersi a lavorare, guadagnare dei soldi, mandarli in Albania per aiutare la sua famiglia a vivere un po’ meglio. Era pronto a prendersi questo carico sulle spalle perché questa era la sua missione, l’unico suo obiettivo. Insieme ai bravissimi operatori del Centro cerchiamo allora di fargli capire quanto sia importante che lui parli e capisca bene l’italiano ed abbia un diploma che gli consenta di accedere poi ai corsi professionali. C. fa un po’ di resistenza, dice “sì ok” ma poi fa un po’ di testa sua, frequenta il corso di italiano ad intermittenza, spesso preferisce andare con i suoi amici e connazionali a fare un giro in centro città. Eh sì, anche se a volte me lo dimentico, C. non ha nemmeno 17 anni, ha voglia di divertirsi, conoscere delle ragazze, fare tardi la notte…come tutti i suoi coetanei, italiani e non.
Ma qual è il giusto punto di equilibrio su cui si deve assestare il mio rapporto con C.? Questa domanda mi attanaglia fin dai primi giorni di questa avventura. Senza dubbio devo trovare il modo di passare del tempo con lui per conoscerlo e indirizzarlo nel suo passaggio all’età adulta. Invitarlo a casa? Portarlo fuori a cena? Uscire a fare delle cose insieme? Però non voglio nemmeno essere inopportuna, non devo invadere i suoi spazi di 17enne attratto e distratto da altri pensieri e svaghi. E poi il baricentro della sua vita oggi è il Centro in cui è accolto, è lì che ci sono gli educatori, gli psicologi e gli assistenti sociali che si occupano del suo quotidiano. Senza dimenticare di stare attenti a non creare delle disparità fra ragazzi che hanno il tutore volontario, unico tutore ad essi dedicato, e quelli che sono ancora sotto la tutela pubblica e che questo rapporto individuale non ce l’hanno.
Cerco, anche se non con poche difficoltà, di trovare allora una opportuna via di mezzo, presente quando serve ma senza invasione degli spazi e dei ruoli cui compete la cura del ragazzo, nell’idea che al tutore volontario spetti l’arduo compito di dar vita ad una figura adulta di riferimento per Minori StranieriNon Accompagnati mai sperimentata fino ad ora… 

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Refugee Mushtaag Arab (17) with her guardian Monika Küpper (right)
Il primo incontro
Oggi ho appuntamento presso il Centro di Pronta Accoglienza (CPA) per incontrare per la prima volta C. G. Un insieme di emozioni mi accompagnano lungo il tragitto per arrivare a destinazione: curiosità, senz’altro, ma anche impazienza e forse un po’ di paura di non sapere come rompere il ghiaccio. Mi accoglie la responsabile del Centro perché, prima di presentarmi il ragazzo, vuole farmi una panoramica sul funzionamento e l’organizzazione della struttura: quanti ragazzi ci sono, quali sono le regole che i minori ospitati devono rispettare, quale tipo di assistenza viene loro garantita. Insomma un bombardamento di informazioni tutte nuove che non esito ad annotarmi visto che mi serviranno nella pratica quotidiana della tutela: devo ben sapere quando il ragazzo può uscire e quando deve rientrare, quanti soldi ha a disposizione o quali servizi gli spettano, qual è la sua giornata tipo. Entriamo poi nel merito della storia passata di C. G., io ancora non so molto di lui: ho letto qualcosa di fretta e furia nella sala d’attesa del Tribunale dei Minori la mattina in cui sono andata a giurare fedeltà dinnanzi al Presidente. Però mi mancano tante informazioni, vorrei sapere tutto. C. prima di approdare a questo CPA ha girovagato tra Turchia e Italia alla ricerca di un’opportunità lavorativa nonostante la sua giovane età. Preso il diploma di terza media, ha prima fatto un’esperienza in un’officina meccanica poi è sfortunatamente finito nel tunnel dello sfruttamento minorile in cui si è trovato costretto a lavorare 13-14 ore al giorno per un salario che non riesco nemmeno a pronunciare. Minore e senza tutele, l’unica arma che ha avuto per salvarsi è stato scappare alla volta della questura di un’altra città, il più lontano possibile da quel mondo e da quella umiliante sofferenza. Eppure in Albania C. G. ha ancora la sua famiglia, papà e mamma che cercano di portare avanti una sopravvivenza fatta di miseria e fatica. Una vita fatta di poche semplici cose che forse a lui stavano troppo strette. Difficile immaginare quale spinta possa aver avuto un ragazzo di 15 anni per decidere di lasciare gli affetti familiari, il suo paese, la sua lingua e preferire di lanciarsi nel vuoto alla ricerca di un futuro migliore…Eppure lui ha trovato la forza di farlo e ora è comparso qui davanti a me con un bel sorriso. E’ alto per la sua età e muscoloso, sembra timido ma contento di conoscermi. Non credo abbia capito chi sono ma non importa, ci sarà tempo per spiegarglielo e forse dimostrarglielo con azioni concrete. Provo a fargli qualche semplice domanda: “come stai?”, “cosa fai durante il giorno?”, “cosa ti piace fare, sport? musica? stare con gli amici?”. Risponde in un italiano un po’ zoppicante ma si fa capire anche senza mediatore culturale. Vedo che mi osserva e sorride ancora. Poi mi racconta un po’ di lui, della sua storia. Ripercorre alcuni momenti delicati della sua vita e i suoi occhi cominciano a luccicare non appena affiora nella sua mente quel periodo là…quello dello sfruttamento, del lavoro nero, delle 14 ore al giorno, della sua vita clandestina fingendosi maggiorenne. Mi dice che è stato bruttissimo e che quella non è vita e che non vuole più essere invisibile. Desidera una vita normale, con un regolare contratto di lavoro, poter avere una casa dove vivere un giorno con la sua fidanzata. Sembrano sogni semplici di un ragazzo che è dovuto maturare un po’ precocemente rispetto ai suoi coetanei. Mio nipote alla sua stessa età ha ben altri grilli per la testa!
Pero forse la speranza è che ora tutto questo brutto passato possa essere lasciato alle spalle: oggi c’è la legittima convinzione che il futuro gli stia sorridendo come lui sorride a me. E molto probabilmente starà a me, sua figura adulta di riferimento, aiutarlo a cogliere quest’opportunità.
E’ ormai ora di salutarci, ci scambiamo i numeri di telefono e mi ringrazia ripetutamente. Forse, allora, sta cominciando a capire chi sono…



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